Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41591 del 27/12/2021

Cassazione civile sez. I, 27/12/2021, (ud. 30/09/2021, dep. 27/12/2021), n.41591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17164/2014 proposto da:

Consorzio Cooperative Costruzioni – CCC società cooperativa, in

persona del legale rappresentante pro tempore, Fallimento (OMISSIS)

S.p.a., in persona del curatore avv. F.C. P., Fallimento

(OMISSIS) S.a.s., in persona del curatore prof. D.P.A.,

Proctema S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in Roma, Piazza dei Carracci n. 1, presso

lo studio dell’avvocato Alessandri Alessandro, rappresentati e

difesi dall’avvocato Colombo Marco, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Regione Calabria;

– intimata –

avverso la sentenza n. 600/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2021 dal cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO MAURO, che ha concluso per il rigetto del ricorso (come da

requisitoria);

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Colombo Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 6 maggio 2013, in accoglimento dell’impugnazione della Regione Calabria, annullava il lodo arbitrale del 28 marzo 2006, che l’aveva condannata a pagamenti vari a favore di imprese appaltatrici, cui era commissionata la realizzazione e gestione di un impianto di trattamento dei rifiuti e depurazione delle acque reflue. La ragione della nullità del lodo era la irregolare costituzione del collegio arbitrale composto da tre anziché da cinque arbitri, come invece previsto dalla L.R. n. 18 del 30 maggio 1983, n. 18, art. 15 richiamato dall’art. 11 del contratto di appalto stipulato in data 29 luglio 1988.

La Corte, andando di contrario avviso rispetto alla decisione degli arbitri che avevano rigettato l’eccezione di nullità del lodo, ha osservato che il collegio arbitrale era privo di potestas iudicandi per violazione delle regole imperative di composizione e il lodo affetto da nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 2; che, con riguardo alla composizione del collegio arbitrale, la clausola compromissoria aveva carattere ricognitivo della fonte legale cogente costituita dall’art. 15 L.R. succitata, la quale era in vigore al momento dell’istanza di accesso agli arbitri in data 28 febbraio 1998 e non era stato abrogato dalla successiva Legge statale 11 febbraio 1994, n. 109 (art. 32), né travolto dalla, nella specie inconferente, sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 1995 dichiarativa della parziale illegittimità per altre ragioni – dell’analogo L.R. Puglia 16 maggio 1985, n. 27, art. 61 in tema di composizione e nomina del collegio arbitrale; che il citato art. 15 L.R. Calabria riproduceva l’art. 45 del capitolato generale approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (che prevedeva la composizione del collegio arbitrale con cinque arbitri), la cui applicazione agli appalti stipulati da enti statali diversi dallo Stato era prevista dalla stessa legge regionale Calabria, in base al richiamo ivi contenuto nell’art. 14.

Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il Consorzio Cooperative Costruzioni CCC società cooperativa sulla base di tre motivi e memoria; la Regione Calabria non ha svolto difese.

Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta e ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni e, in particolare, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 32 (sopravvenuta alla succitata L.R. del 1983), che conteneva principi fondamentali della materia dei lavori pubblici, vincolanti per il legislatore regionale, determinando l’automatica abrogazione delle disposizioni con essa incompatibili, quali sono la L.R. n. del 45 del 1983, art. 15 e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 43 con l’effetto di rendere inoperante la clausola compromissoria di cui all’art. 11 del contratto di appalto che all’art. 15 rinviava e legittima la composizione del collegio arbitrale giudicante con tre membri.

Il motivo è infondato.

E’ da ricordare in via generale che il principio secondo il quale il capitolato generale per le opere pubbliche ha valore normativo e vincolante soltanto per gli appalti stipulati dallo Stato, e non riguarda gli appalti stipulati da enti pubblici diversi, in relazione ai quali le sue previsioni, in quanto richiamate in contratto, costituiscono clausole negoziali operanti per volontà pattizia, trova deroga quando una specifica norma di legge prevede l’applicazione di detto capitolato anche agli appalti stipulati da enti diversi dallo Stato.

Va rilevato che la L.R. n. 18 del 1983, art. 14 dispone che all’esecuzione delle opere pubbliche o di pubblico interesse di cui alla stessa legge si applicano tra l’altro, per quanto non espressamente derogato, le norme del capitolato generale di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, e che l’art. 15 della stessa legge disciplina al comma 1 la composizione del collegio arbitrale, prevedendo, con una disposizione che ricalca quella di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 45 che ne facciano parte cinque membri, per ognuno dei quali indica la necessaria qualifica ed il sistema di nomina (peraltro, con la sentenza n. 30 del 2017, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art. 15 L.R. Calabria del 1983, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedeva che, tra i cinque componenti, uno fosse nominato dall’ente locale territoriale, diverso dalla regione, che fosse parte della controversia, analogamente a quanto deliberato della Corte costituzionale con la sentenza n. 33 del 1995, a proposito dell’art. 61 L.R. Puglia che dettava nella materia analoghe modalità di composizione del collegio arbitrale).

Tale quadro normativo consente agevolmente di rilevare che la clausola compromissoria contenuta nel contratto, esaurendosi in un semplice richiamo alla legge regionale, non si sovrappone ad essa per assumere la funzione di fonte negoziale autonoma dell’arbitrato, ma si sostanzia in un mero riferimento con carattere ricognitivo alla fonte legale costituita dalla norma regionale speciale e dal capitolato generale, che pertanto si pone come unica fonte eteronoma dell’arbitrato stesso (cfr., sul punto, Cass. n. 11177 del 2001).

In altri termini, la clausola arbitrale inserita nel contratto era non già correlata ad una scelta di volontaria ricezione del capitolato generale approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962 (il cui art. 45 prevedeva un collegio di cinque membri, seppur diversamente nominati), altrimenti non applicabile, bensì ad un preciso obbligo di legge: ed infatti la L.R. Calabria n. 18 del 1983, all’art. 14, considerava obbligatorie le disposizioni del detto capitolato, fatte salve quelle di cui all’art. 15 successivo che dettava una disciplina legale e speciale in tema di composizione e nomina del collegio arbitrale (cfr. Cass. n. 13246 del 2011).

La suindicata individuazione della fonte dell’arbitrato rende necessario verificare l’incidenza della normativa statale sopravvenuta, in tema di definizione per via arbitrale delle controversie concernenti i lavori pubblici, sulla disciplina legale richiamata, dovendosi precisare che il dato temporale di riferimento deve essere identificato nel momento della proposizione della domanda di accesso agli arbitri, e che pertanto non rilevano ai fini del decidere i successivi interventi del legislatore nazionale e regionale. Ciò significa che occorre avere riguardo all’incidenza della Legge-Quadro n. 109 del 1994, come modificata dal D.L. 3 aprile 1995, n. 101 convertito in L. 2 giugno 1995, n. 216 sull’assetto normativo richiamato nell’art. 11 del contratto.

Su tale questione questa Corte si è già pronunciata in senso opposto a quanto sostenuto nel ricorso, enunciando il seguente principio con riferimento alla L.R. Puglia n. 27 del 1985, art. 61 valido senz’altro anche rispetto all’analogo L.R. Calabria n. 18 del 1983, art. 15: in tema di appalto di opere pubbliche, la Legge Quadro n. 109 del 1994, art. 32 come modificata dal D.L. n. 101 del 1995 (convertito nella L. n. 216 del 1995), nella parte in cui disciplina – mediante rinvio alle norme del codice di procedura civile in materia di arbitrato – la definizione delle controversie per via arbitrale, con particolare riferimento alla composizione del collegio ed alle modalità di designazione dei suoi componenti, non esprime principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell’art. 117 Cost., non essendo diretto a realizzare nel detto settore un interesse unitario che richieda attuazione su tutto il territorio nazionale, così da produrre effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario; ne consegue che la norma citata deve ritenersi priva di efficacia direttamente abrogativa – prevista dalla L. 10 febbraio 1953, n. 62, art. 10 per le leggi statali che modificano i detti principi fondamentali, nei confronti delle leggi regionali preesistenti con esse incompatibili – della L.R. Puglia n. 27 del 1985, art. 61 che disciplina la composizione ed il sistema di nomina del collegio arbitrale ricalcando le disposizioni contenute nel capitolato generale approvato con il D.P.R. n. 1063 del 1962 (cfr. Cass. n. 3620 del 2004).

Correttamente, pertanto la sentenza impugnata ha ritenuto che gli arbitri nominati secondo le previsioni del codice di rito, e non secondo la legge all’epoca applicabile, fossero privi di potestas iudicandi.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 5 c.p.c. in tema di perpetuatio iurisdictionis, in ragione del fatto che il vizio originario nella composizione del collegio arbitrale sarebbe stato sanato per effetto della normativa sopravvenuta L. n. 80 del 2005, ex art. 5, comma 16 septies, che aveva fatto salve le procedure arbitrali in corso al 15 maggio 2005.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui richiama impropriamente il qui non pertinente principio della perpetuatio iurisdictionis e infondato nella parte in cui invoca l’effetto sanante – che è tema non trattato nel giudizio di merito e quindi nuovo – connesso alla previsione di cui alla L. n. 80 del 14 maggio 2005, di conversione del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (art. 5, comma 16 septies), disposizione quest’ultima comunque abrogata dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 256.

Il terzo motivo denuncia l’illegittimità costituzionale della L.R. n. 18 del 1983, art. 15 per violazione dei principi in tema di riserva di legge e giurisdizione, di volontarietà dell’arbitrato anche rispetto alla nomina degli arbitri, di parità di trattamento delle parti e di nomina da parte di uno dei soggetti in contesa di suoi dipendenti come arbitri.

Il motivo è inammissibile, ponendo questioni che non si specifica se e quando siano state sollevate e trattate dinanzi al giudice di merito e astrattamente formulate con modalità che non consentono di apprezzarne la rilevanza, considerandosi a proposito della censura relativa alla pretesa obbligatorietà dell’arbitrato che è il Consorzio ad avere agito in sede arbitrale. Ne’ incide la sentenza costituzionale n. 30 del 2017 che, come si è detto, si colloca su un piano ben diverso, avendo dichiarato l’illegittimità dell’art. 15 L.R. del 1983 – della quale peraltro la Corte costituzionale non ha rilevato vizi sul piano della competenza legislativa – nella parte in cui non prevede che tra i cinque componenti del collegio arbitrale uno di essi sia nominato dall’ente territoriale, diverso dalla regione, che sia stato parte della controversia.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo la Regione Calabria svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

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