Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4159 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/02/2011, (ud. 14/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13644-2007 proposto da:

B.P., già elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

REGINA MARGHERITA 2 90, presso lo studio dell’avvocato GENOVESE

ROSALBA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GOZZI

PIERO, REGGAIONI ROBERTO giusta delega in atti, e da ultimo presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GUASTALLA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO

77, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVO EDOARDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DELLA CAPANNA ENRICO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 464/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/04/2006 R.G.N. 1346/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato PONTECORVO EDOARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. B.P., agente di polizia municipale del Comune di Guastalla, impugnava dinanzi al Collegio di disciplina, ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, il licenziamento senza preavviso disposto con provvedimento notificato il 27 aprile 2000 in relazione al procedimento penale instaurato nei suoi confronti, conclusosi con sentenza penale di condanna, per falsità ideologica continuata commessa nella attestazione di estinzione di sanzioni amministrative relative a violazioni del codice della strada. Con lodo del 30 maggio 2000 il predetto Collegio di disciplina, revocata la sospensione del licenziamento conseguente all’impugnazione, confermava la sanzione disciplinare.

2. Tale decisione veniva impugnata dalla dipendente sia dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, sia dinanzi alla Corte d’appello di Bologna; il Tribunale dichiarava la propria incompetenza stante il carattere rituale del lodo, mentre l’impugnazione proposta alla Corte d’appello veniva dichiarata inammissibile con la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione. In particolare, la Corte di merito, premesso che si trattava di arbitrato rituale soggetto alla disciplina di cui all’art. 828 c.p.c., rilevava che l’impugnazione era stata proposta oltre il termine prescritto da tale disposizione, con riferimento sia alla data di notificazione del lodo, sia alla data della precedente proposizione dell’impugnazione del lodo dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia; nè poteva rilevare, per impedire la decadenza, l’avvenuta proposizione, in modo tempestivo, del richiamato giudizio ordinario, che si trattava di giudizi del tutto indipendenti per i quali non poteva operare alcuna translatio.

3. Di questa decisione la dipendente domanda la cassazione deducendo due motivi di impugnazione. Il Comune di Guastalla resiste con controricorso, precisato con successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 828 e 428 c.p.c., nonchè vizi di motivazione. Si domanda alla Corte, formulandosi al riguardo specifico quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., di affermare che la notificazione del lodo disposta dal segretario del collegio arbitrale, e non dalla parte, è inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dei medesimi articoli e dell’art. 50 c.p.c., nonchè vizi di motivazione. Si sostiene che il ricorso proposto tempestivamente dinanzi al giudice ordinario, con gli effetti della translatio judicii conseguente alla declaratoria di incompetenza, consentiva ai sensi degli artt. 353 e 387 c.p.c. la proposizione della seconda impugnazione dinanzi alla Corte d’appello.

3. Il primo motivo è inammissibile. La statuizione della sentenza impugnata riguardo al decorso del termine utile per impugnare, con conseguente decadenza dall’impugnazione del lodo, si fonda su una duplice ratio, riferita alla decorrenza del termine con riferimento sia alla notificazione del lodo sia alla data di proposizione della domanda dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia. Orbene, mentre viene impugnata la prima ratio, con quesito di diritto relativo alla inefficacia della notificazione del lodo non eseguita a cura di parte (sia pure senza adeguata specificazione circa le modalità di tale notifica), è rimasta priva di censura la concorrente affermazione della Corte d’appello circa la rilevanza della prima impugnazione, proposta dinanzi al giudice ordinario, ai fini della decorrenza del termine per proporre la seconda impugnazione. E ciò, in via preventiva, toglie ogni interesse alla unica censura proposta, che il giudicato interno formatosi sull’altra ragione della decisione – parimenti determinante – precluderebbe, comunque, l’eventuale riforma della sentenza impugnata (ove la medesima censura fosse ammissibile).

4. Il secondo motivo è infondato. In tema di arbitrato nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nella ipotesi di proposizione al tribunale, anzichè alla corte d’appello, della impugnazione per nullità del lodo arbitrale emesso dal consiglio di disciplina ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, trattandosi di incompetenza per grado, non opera il principio secondo il quale la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della impugnazione, determinando la cosiddetta translatio iudicii, e l’impugnazione è invece inammissibile (cfr. Cass. n. 16772 del 2005). A tale principio si è attenuta la sentenza della Corte di merito, che perciò si sottrae alla proposta censura.

5. In conclusione il ricorso è respinto. Si compensano le spese in ragione della particolarità della controversia e della difficoltà delle questioni esaminate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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