Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41589 del 27/12/2021

Cassazione civile sez. I, 27/12/2021, (ud. 10/12/2021, dep. 27/12/2021), n.41589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14100/2019, proposto da:

F.K., rappresentato e difeso dall’avvocato Serena Brachetti,

in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 771/2018 della Corte d’appello di ROMA,

depositata il 7/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2021, da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 771/2018, emessa in data 7/2/2018, ha respinto il gravame proposto, D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19 da F.K., cittadino (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado, del settembre 2017, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale del 2016, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, in quanto il padre, appartenente ad una setta segreta, intendeva sacrificarlo quale figlio primogenito) non era credibile, per genericità ed incongruenze, e non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Paese d’origine non era interessato da situazione di violenza indiscriminata, in base alle fonti citate dalla Commissione territoriale; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.

Avverso la suddetta sentenza, F.K. propone ricorso per cassazione, notificato il 19/4/2019, affidato a sei motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione); con ordinanza interlocutoria n. 15687/21, la causa è stata rinviata a Nuovo Ruolo in attesa della decisione di questa Corte a Sezioni Unite sulla protezione per ragioni umanitarie. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 13 Dir. 2005/85/CE, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 10, comma 4, L. n. 241 del 1990, art. 21 octies in relazione alla nullità del procedimento amministrativo e giurisdizionale per non essere stata la relata di notifica del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale tradotta in lingua comprensibile al richiedente; 2) con il secondo motivo, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, art. 1 della Convenzione di Ginevra ratificata con L. n. 722 del 1954, nonché della L. n. 39 del 1990, art. 1 sia l’omessa motivazione, per non avere la corte d’appello svolto il ruolo attivo nell’istruzione della domanda, verificando d’ufficio la presenza e il pericolo rappresentato in (OMISSIS) dalle sette segrete, e ritenendo che la mancata indicazione da parte del richiedente del nome della setta davanti alla commissione territoriale, poi indicato nel ricorso in esame con quello degli (OMISSIS), non giustificasse la mancata applicazione del principio dell’onere probatorio attenuato ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato per non avere la corte territoriale, in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, assunto informazioni in merito alla denunciata mancanza di una effettiva tutela sia a livello di forze di polizia che di sistema giudiziario, che contraddistingue la società (OMISSIS); 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria per non avere la corte territoriale adeguatamente considerato la situazione del (OMISSIS), area dalla quale proviene il ricorrente e che risulta caratterizzata da elevato rischio di atti terroristici, confermati dal report 2017 di Human Rights Watch, e confermati dal sito internet (OMISSIS) del Ministero degli affari esteri; 5) con il quinto motivo, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, sia l’omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione al mancato riconoscimento della protezione internazionale in ragione del non adeguato esame della documentazione medica prodotta dal ricorrente ed attestante la contusione al polso sinistro derivante dalla violenta aggressione patita dal padre; 6) con il sesto motivo, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione al diniego della protezione umanitaria, per non avere la corte territoriale considerato quale serio motivo umanitario l’esposizione, in caso di rimpatrio forzoso del ricorrente, al rischio per la sua incolumità derivante dai numerosi attacchi terroristici che interessano la (OMISSIS) ed al contempo considerato la concreta ed effettiva integrazione sociale raggiunta in Italia desumibile dall’allegata documentazione riguardante il regolare contratto di locazione ed il contratto di lavoro quale collaboratore domestico.

2. Preliminarmente, deve essere rilevata l’inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto proposto oltre i termini perentori previsti dal codice di procedura civile.

Invero, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, come modificato dalla L. n. 79 del 2009, il termine c.d. lungo per la proposizione del ricorso per cassazione è fissato in sei mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza impugnata, a pena di decadenza. Nella specie, a fronte dell’avvenuta pubblicazione della sentenza d’appello in data 7/2/2018 (resa avverso ordinanza del Tribunale di Roma in data 25/9/2017, come si evince dalla sentenza della Corte d’appello e dallo stesso ricorso per cassazione), il ricorso per cassazione risulta notificato via PEC il 19/4/2019, ampiamente oltre il decorso del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., anche considerata la sospensione del termine nel periodo feriale.

Questa Corte ha di recente affermato (Cass. 14821/2020) che “nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate “ratione temporis” secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado. Ne deriva, pertanto, che, ai fini del decorso di tale termine, non assume alcun rilievo la tardiva comunicazione del deposito della decisione impugnata da parte della cancelleria” (conf. Cass. 19640/2021).

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

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