Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4158 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31748-2007 proposto da:

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIA

COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARAPELLE ROBERTO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 983/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/09/2007 R.G.N. 838/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato MENGHINI MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI MASSIMO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30.11.2006, il Tribunale di Torino aveva rigettato il ricorso presentato da R.G. nei confronti dell’Agenzia del Territorio, con cui erano stati impugnati i due licenziamenti intimatigli rispettivamente il 13.10.2005 (addebiti per violazioni penalmente rilevanti sanzionate disciplinarmente: reati in massima parte contro la P.A., commessi per lo più, in concorso con altri, presso l’Ufficio del Territorio di Parma nel periodo da aprile 1997 a novembre 1998 – approvazioni di mappali dietro compensi ricevuti per pratiche -) ed il 29.11.2005, in relazione alla mancata comunicazione del proprio domicilio durante la malattia appena terminata, non essendo stata reperita la Clinica Santa Rosa in (OMISSIS) dove egli aveva comunicato di essere stato ricoverato per 100 giorni.

Con sentenza della Corte di Appello di Torino del 26.9.2007, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia del Territorio ed in riforma della sentenza impugnata, veniva dichiara la nullità di entrambi i licenziamenti intimati al R., con condanna dell’appellante a reintegrare il predetto nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dal 14.10.2005 sino alla reintegra, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Osservava la Corte che il G.U.P. aveva affermato che erano stati acquisiti dagli inquirenti elementi sufficienti per il rinvio a giudizio, ma aveva fatto applicazione dell’art. 425 c.p.p., comma 2, e, riconosciuta la sussistenza di attenuanti, aveva dichiarato l’avvenuta estinzione dei reati per prescrizione; che gli atti di polizia giudiziaria acquisiti in primo grado dovevano ritenersi meri elementi di indagine, frutto dell’attività di polizia giudiziaria, sottratta ad ogni esame in contraddittorio, in assenza dell’esercizio di ogni difesa dell’indagato; che neanche poteva rilevare, ai fini dell’ affermazione di responsabilità del dipendente, la sentenza della Corte dei Conti, con la quale il predetto era stato condannato a risarcire la somma di Euro 3.974,52, nessun accertamento ulteriore essendo stato disposto dalla Corte dei Conti rispetto a quelli disposti in ambito penale.

Quanto al secondo dei provvedimenti espulsivi, esso risultava emesso dopo l’avvenuta risoluzione del rapporto, onde doveva considerarsi privo di ogni effetto per l’impossibilità di adempiere alla sua funzione, attesa l’insussistenza di un rapporto di lavoro in atto.

L’efficacia retroattiva della sentenza che accerti l’illegittimità del primo licenziamento non valeva a far acquisire efficacia al secondo licenziamento, operando la retroattività solo in relazione alla ricostituzione del rapporto e non anche ai comportamenti o manifestazioni di volontà datoriali verificatesi nell’arco di tempo in cui il rapporto di lavoro era cessato.

Propone ricorso per cassazione l’Agenzia per il Territorio, affidando l’impugnazione a tre motivi.

Resiste con controricorso il R., che ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Assume che non era stato fatto buon governo della prova, atteso che le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria potevano essere liberamente valutate dal giudice concordando con altri elementi di prova e che nella specie il R., in sede di dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare, aveva confermato di avere ricevuto somme di denaro dalle persone ascoltate nel corso di indagini investigative. Anche la sentenza della Corte dei Conti poteva costituire argomento di prova e la contumacia nel giudizio contabile doveva essere valutata ai fini considerati. Pone, a conclusione della parte argomentativa, quesito di diritto (vero è che gli artt. 115 e 116 c.p.c. vanno interpretati nel senso che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, procedendo alla relativa valutazione secondo il suo prudente apprezzamento e che non può pretermetterne la valenza istruttoria?).

o Con il secondo motivo la società lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e art. 2119 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Richiama sentenze di legittimità di orientamento contrario a quello affermato dalla Corte di Appello di Torino in ordine alla necessità di impugnativa del secondo licenziamento, la cui mancanza sarebbe ostativa alla reintegra del lavoratore. Formula quesito di diritto riferito alla possibilità di intimare il secondo licenziamento in base ai motivi posti a fondamento di un precedente recesso, risolvendosi detta rinnovazione in un negozio diverso dal precedente.

Infine, deduce, con il terzo motivo, la contraddittorietà della motivazione della pronuncia impugnata in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La corte aveva enfatizzato il fatto che il GUP si era limitato ad affermare semplicemente che vi sarebbero stati elementi sufficienti per il rinvio a giudizio, laddove lo stesso, nel valutare la bontà dell’attività investigativa compiuta, aveva precisato che era stata accertata la partecipazione, remunerata in denaro o in altre utilità dei dipendenti, alla istruzione di pratiche catastali, per cui, secondo la ricorrente, doveva ravvisarsi sul punto un difetto di motivazione. Assume, pertanto, l’inidoneità della motivazione a giustificare la decisione in essa contenuta.

Rileva la Corte che il primo motivo si palesa inammissibile in quanto con lo stesso si censura la valutazione condotta dal giudice del gravame in ordine a materiale indiziario acquisito, asserendo impropriamente la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 riferito alla nullità della sentenza e del procedimento. Quand’anche riferita a vizio diverso da quello denunziato la censura si rivelerebbe in ogni caso priva di fondamento, avendo il giudice del gravame proceduto alla valutazione in ordine alla rilevanza degli elementi acquisiti in sede di sommarie informazioni di polizia giudiziaria, alla luce anche di quanto ritenuto dal GUP, che aveva evidenziato la idoneità dei detti elementi e delle dichiarazioni sommarie a fondare unicamente una richiesta di rinvio a giudizio del R., ma non anche la responsabilità panale del predetto per i fatti ascrittigli. D’altro canto, la valenza degli elementi indiziari acquisiti era stata esaminata dalla corte del merito anche in relazione alla circostanza che nel giudizio contabile che aveva interessato il dipendente nessun ulteriore accertamento era stato disposto, rilevandosi ulteriormente che l’Agenzia non aveva provato la responsabilità del dipendente in ordine agli addebiti disciplinari contestatigli. Anche il quesito, nei termini in cui risulta formulato, appare indirizzato ad una conclusione di carattere assertivo e non risponde ai canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c., atteso che lo stesso deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sìa del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. 30.9.2008 n. 24339, cui adde, tra le tante, Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044)).

Quanto al secondo motivo di impugnazione, va richiamata l’esistenza di pronunzie di contrario segno rispetto a quelle richiamate a fondamento della censura (tra le altre, cfr. Cass. 5092/2001 e Cass. 10394/2005), che valorizzano maggiormente – con argomentazioni che questa Corte condivide – il dato normativo ed il valore costitutivo della pronunzia di annullamento del licenziamento ritenuto illegittimo. La doglianza per come prospettata risulta inoltre inidonea a confutare le motivazioni addotte sul punto dalla sentenza della corte territoriale. Ed invero, il rilievo avanzato, se pure nella parte argomentativa pone riferimento alla circostanza che il dipendente aveva omesso ingiustificatamente di comunicare il proprio domicilio in costanza di malattia, richiama precedente giurisprudenziale affatto inconferente, relativo alla rinnovazione del licenziamento in base ai motivi posti a fondamento di un precedente licenziamento inficiato di nullità o comunque inefficace, sottolineandone la configurabilità per risolversi detta rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente e per non essere riconducibile la stessa all’ipotesi di inammissibilità della convalida del negozio nullo, ai sensi dell’art. 1423 c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti “ex tunc”, ma non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della loro autonomia negoziale al fine di regolare i loro interessi. La inconferenza della censura si palesa maggiormente nella formulazione del quesito posto in calce alla parte espositiva della doglianza, laddove la fattispecie viene ricondotta, come già detto, a quella di una rinnovazione del recesso effettuata sulla base degli stessi motivi posti a fondamento di un precedente licenziamento inficiato di nullità o comunque inefficace, che evidentemente nulla ha a che vedere con l’ipotesi considerata.

Infine, l’ultima delle doglianze attiene ad una dedotta ingiustificata valorizzazione effettuata dalla corte del merito della valutazione espressa dal g.u.p., laddove il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se ne ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sta riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello operato da giudice e conforme a quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass 23.12.2009 n. 27162).

Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo del Giudice d’appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, anche tale motivo deve essere disatteso.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in applicazione della regola della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, di cui Euro 33,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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