Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4155 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5807-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO,(DIREZIONE AFFARI

LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE), che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE

EDOARDO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/02/2006 r.g.n. 1572/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

Udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI DOMENICO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 41/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Vercelli respingeva la domanda proposta da A.R. nei confronti della s.p.a. Poste italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la società dal 2-7-1997 al 29-9-1997 e dal 1-6-1999 al 30-9-1999, con conseguente costituzione di un rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società alla riammissione in servizio della lavoratrice e al pagamento delle retribuzioni non percepite.

In particolare il primo giudice riteneva che il rapporto di fosse risolto tra le parti per mutuo consenso.

L’ A. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame e chiedeva in via incidentale l’accertamento della legittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 7-2-2006, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto decorrente dal 2-7-1997 e conseguentemente l’esistenza tra le parti da tale data di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; condannava, inoltre, la società a riammettere in servizio la lavoratrice e a corrisponderle, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate dal 31-3-2004 oltre accessori.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

La A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1427 ss. e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte d’Appello erroneamente ha disatteso l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso, nonostante la “prolungata inerzia della resistente” che “non può che essere interpretala come espressione di un definitivo disinteresse alla prosecuzione del rapporto di lavoro”.

Il motivo non merita accoglimento.

In base al principio più volte dettato da questa Corte, che il Collegio intende qui riaffermare, “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Peraltro, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Orbene sul punto la Corte d’Appello, dopo aver premesso che “il mero trascorrere del tempo non è di per sè sintomatico” e che la risoluzione per mutuo consenso è “configurabile in presenza di comportamenti significativi delle parti, che denotino la volontà concorde di entrambe di ritenere definitivamente risolto il rapporto di lavoro”, ha rilevato che, “posto che spettava alla società appellata, che aveva eccepito la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali potesse ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto fra loro, la s.p.a. Poste Italiane avrebbe dovuto dedurre e provare un comportamento della sig.ra A. che costituisse chiara ed univoca manifestazione, rivolta nei confronti della stessa società appellata, della sua volontà di rinunciare alla ricostituzione del rapporto di lavoro con le Poste Italiane.

Tale prova non è stata fornita…..Non appare quindi configurabile, nella fattispecie, la risoluzione del contratto per mutuo consenso”.

Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito in aderenza al principio sopra richiamato, risulta congruamente motivato e resiste alla censura della società ricorrente.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 420 e 434 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, e L. n. 230 del 1962, art. 3 nonchè vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte d’Appello si sarebbe pronunciata oltre i limiti della domanda, ponendo a fondamento della decisione fatti e profili giuridici non dedotti nel ricorso introduttivo (affermando che la società non aveva fornito i dati relativi alla situazione d’organico riferita all’ufficio di applicazione della sig.ra A., ed in particolare una comparazione fra le assenze del personale per ferie e le presenze di personale assunto a tempo determinato), laddove la lavoratrice si era limitata a contestare la mancanza nel contratto dell’indicazione del nome del sostituito.

Il motivo è infondato.

Con il ricorso introduttivo la lavoratrice aveva espressamente contestato che la assunzione a termine de qua (dal 2-7-1997) fosse riconducitele alla motivazione addotta, tant’è che, sul punto, la società aveva anche replicato specificamente (come si legge anche nella sentenza di primo grado).

La Corte d’Appello, ritenuto che fosse necessaria la prova della necessità di espletamento de servizio in concomitanza di assenze per ferie, con riferimento allo specifico ufficio o filiale di adibizione, ha affermato che la società non ha fornito tale prova, nella specie non avendo prodotto alcun documento idoneo a dimostrare se nel periodo in esame il numero dei giorni di ferie goduti dai dipendenti a tempo indeterminato nella filale di (OMISSIS) fosse stato superiore a numero di giornate lavorative svolte dai dipendenti assunti a termine presso la stessa filiale.

In tal modo la Corte di merito, semplicemente argomentando in ordine alla valutazione della prova circa la riconducibilità o meno della assunzione de qua alla causale addotta, non è incorsa in alcuna ultrapetizione.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 e L. n. 56 del 1987, art. 23 e artt. 1362 e ss.

c.c., nonchè vizio di motivazione, in sostanza deduce che il nesso causale tra la necessità di assumere personale a termine per coprire il fabbisogno estivo di personale e la stipula dei contratti a termine è stato convenzionalmente pattuito, per cui il datore di lavoro deve provare soltanto che la assunzione de qua e avvenuta nel periodo giugno-settembre.

Il motivo è fondato.

Osserva il Collegio che questa Corte Suprema, decidendo in tema di contratti a termine stipulati ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), oltre a ritenere non necessaria la indicazione del nominativo del lavoratore sostituito (v. fra le altre, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), in base al principio della “delega in bianco” conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, ha anche più volte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Peraltro è stato anche affermato (v. fra le altre Cass. 28-3-2008 n. 8122) che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”.

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte va qui confermato così accogliendosi il terzo motivo.

La impugnata sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, che, statuendo anche sulle spese, provvedere attenendosi ai principi sopra richiamati, esaminando anche le questioni ulteriori non trattate nell’impugnata sentenza (riguardanti la legittimità o meno del termine del contratto successivo).

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo, cassa la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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