Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4154 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 18/02/2020), n.4154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26268-2018 R.G. proposto da:

ANTONINI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

D.G.F., rappresentata e difesa, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv. Massimo CLEMENTE, presso il cui

studio legale sito in Roma, alla via Salaria, n. 292, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, C.F. (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 533/12/2018 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata in data 01/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/11/2019 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di una cartella di pagamento delle somme risultanti da avviso di pagamento emesso dall’Ufficio delle dogane di Roma e ritualmente notificato, con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che la cartella di pagamento era congruamente motivata e che erano condivisibili le argomentazioni svolte dai giudici di prime cure in ordine alla motivazione dell’atto presupposto e alla non necessità della sua allegazione alla cartella impugnata. Riteneva, inoltre, palesemente infondata l’eccezione di compensazione dei presunti crediti in quanto la pratica di rimborso era stata sospesa in attesa dell’esito della controversia sulla cartella impugnata.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la società contribuente con due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso, con cui è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, è inammissibile sotto diversi profili.

Un primo profilo di inammissibilità del mezzo di cassazione in esame discende dalla molteplicità ed eterogeneità delle censure mosse alla sentenza impugnata (per vizio assoluto di motivazione, per omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della cartella per mancata allegazione dell’atto prodromico, per difetto di motivazione della stessa), così come ricavabile dalle argomentazioni svolte a sostegno del motivo di ricorso, che così si pone in insanabile contrasto con la regola di chiarezza (già posta dall’art. 366 bis c.p.c. abrogato, ma desumibile dall’obiettivo del sistema di attribuire rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito), dall’altro, ammetterne l’ammissibilità significherebbe affidare alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (cfr. Cass. n. 18021 del 14/09/2016; Cass. n. 21611 del 20/09/2013).

Il secondo profilo di inammissibilità discende dalla violazione del principio di autosufficienza prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la ricorrente, fatta eccezione per l’affermazione, del tutto insufficiente, che la cartella impugnata recava come causale di addebito la frase “entrate diverse”, ha trascurato di riprodurre nel ricorso il contenuto della cartella di pagamento che assume essere priva di motivazione, sia con riguardo alla pretesa sostanziale, facendo riferimento ad un atto non allegato alla stessa, che al calcolo degli interessi. In tal modo risulta impedito a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito in ragione del tipo di vizio denunciato (error in iudicando) il vaglio di fondatezza della censura.

E’ noto infatti che “In applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, ai fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso” (Cass., Sez. 1 -, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018 (Rv. 647747) e che “In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento” (ma lo stesso è a dirsi per quanto riguarda la cartella di pagamento), “è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 16147 del 28/06/2017, Rv. 644703).

Si è quindi precisato che “I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277).

A ciò aggiungasi che nel caso di specie, la ricorrente ha anche omesso l’allegazione al ricorso della copia della cartella impugnata, come avrebbe potuto fare in ossequio al Protocollo d’intesa tra questa Corte ed il CNF.

Quanto poi all’omessa allegazione alla cartella dell’avviso di pagamento sulla cui base quella era stata emessa, dal contenuto della sentenza impugnata, non censurata sul punto dell’avvenuta notifica dell’atto prodromico alla società contribuente, discende la palese infondatezza della censura anche sotto il profilo dell’omessa pronuncia dei giudici di appello sulla relativa questione, da ritenersi invece implicitamente rigettata.

Anche il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla “illegittimità ed erroneità della sentenza per travisamento dei fatti” in ordine all’eccezione di estinzione del credito erariale per intervenuta compensazione dello stesso, è inammissibile per difetto di autosufficienza non avendo la ricorrente trascritto il contenuto dell’atto adottato in autotutela dall’amministrazione doganale che la CTR, proprio sulla base della documentazione prodotta in giudizio, ha accertato avere contenuto sospensivo dell’erogazione del credito chiesto a rimborso dalla società contribuente

In estrema sintesi il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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