Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41505 del 24/12/2021
Cassazione civile sez. VI, 24/12/2021, (ud. 01/12/2021, dep. 24/12/2021), n.41505
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso per regolamento di competenza iscritto al numero 16488
del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da:
G.R.A. (C.F.: (OMISSIS)) G.A.L. (C.F.:
(OMISSIS)) rappresentate e difese dall’avvocato Vincenzo d’Errico
(C.F.: DRR VCN 65S03 E791K);
– ricorrenti –
nei confronti di:
INTESA SANPAOLO S.p.A. (C.F. dichiarato: (OMISSIS)), in persona del
legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale rappresentante
di S.G.A. S.p.A. (C.F.: (OMISSIS));
SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. S.p.A. (C.F.:
(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimati –
avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Napoli n. cronol.
1359/2021, del 10 maggio 2021;
sulle conclusioni scritte del P.G., in persona del Dott. Vitiello
Mauro, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio del 1
dicembre 2021 dal consigliere relatore Dott. Tatangelo Augusto.
Fatto
FATTI DI CAUSA
G.R. (deceduto nel corso del giudizio di merito, che è stato proseguito dalle sue eredi G.A.L. e G.R.A.) ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, nel corso di una procedura esecutiva per espropriazione immobiliare promossa nei suoi confronti da Intesa Sanpaolo S.p.A., in proprio e quale mandataria di S.G.A. S.p.A., chiedendo altresì la condanna delle società opposte per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
Le sue domande sono state rigettate dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
La Corte di Appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato con ordinanza definitiva la litispendenza, in relazione ad un precedente giudizio di opposizione all’esecuzione, proposto dal medesimo esecutato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, e definito dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza n. 51/2012, confermata in appello con sentenza n. 4315/2015 (della stessa Corte di Appello di Napoli), proseguito con ricorso per cassazione dichiarato inammissibile con sentenza (di questa Corte Suprema) n. 32137/2019, avverso cui pende giudizio revocatorio.
Avverso l’ordinanza dichiarativa della litispendenza, la G. e la G. propongono istanza di regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c., sulla base di due motivi.
Non hanno svolto attività difensiva nella presente sede le società intimate.
Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., comma 2.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Con il secondo, si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. e dei principi affermati da Cass. Sez. Un. Data pubblicazione 24/12/2021 27846/2013 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Assume carattere pregiudiziale ed assorbente l’esame del secondo motivo del ricorso, con il quale si contesta la attuale pendenza del giudizio, preventivamente instaurato, che secondo la corte territoriale avrebbe determinato la situazione di litispendenza.
2. Come emerge dalla stessa decisione impugnata, il giudizio instaurato preventivamente, di opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, (opposizione a precetto), che avrebbe oggetto identico al presente, è stato definito in primo grado con il rigetto dell’opposizione; l’appello dell’opponente è stato rigettato e, in sede di legittimità, il ricorso avverso la decisione di secondo grado (proposto dalle eredi dell’opponente) è stato dichiarato inammissibile con sentenza di questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 32137 del 10/12/2019), avverso la quale pende attualmente giudizio di revocazione, promosso ai sensi degli artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c..
Ai sensi dell’art. 39 c.p.c., il presupposto necessario ai fini della dichiarazione di litispendenza, con la contestuale cancellazione della causa dal ruolo, è che il giudizio preventivamente adito sia ancora pendente al momento della decisione e non sia stato definito con sentenza passata in giudicato, cioè con sentenza ormai non più soggetta ai mezzi di impugnazione ordinari: in caso contrario, si determina infatti una situazione in cui non può operare l’istituto della litispendenza di cui all’art. 39 c.p.c., ma deve eventualmente tenersi conto degli effetti del giudicato, ai sensi dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c..
Peraltro, in base all’art. 391 bis c.p.c., comma 5, “la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che rigetti o dichiari inammissibile il ricorso avverso la pronuncia che ha definito il giudizio presupposto determina “ipso facto” passaggio in giudicato di tale pronuncia, senza che rilevi la penData pubblicazione 24/12/2021 denza del termine per impugnare la sentenza della Corte Suprema per revocazione, come previsto dall’art. 391 bis c.p.c., comma 5, norma tutt’ora vigente, non essendo stata modificata sul punto né dal D.Lgs. n. 40 del 2006, né dal D.L. n. 168 del 2016 e dalla relativa legge di conversione L. n. 197 del 2016″ (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11737 del 03/05/2019, Rv. 653510 – 02; nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 3083 del 03/04/1996, Rv. 496772 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7116 del 30/07/1997, Rv. 506343 – 01).
Nell’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 27846 del 12/12/2013, Rv. 628456 – 01) che, a composizione di un precedente contrasto, ha individuato l’esatta estensione della nozione di litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c., affermando che, “a norma dell’art. 39, comma 1, c.p.c., qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell’impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o dell’art. 337, comma 2, c.p.c., a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi”, si chiarisce, poi, espressamente che “l’istituto della litispendenza… e’…… espressione della regola, sovraordi-nata al sistema del processo, secondo cui de eadem re ne bis sit actio; tale regola delimita il diritto di azione nella sua dimensione pubblica, in quanto, cioè, esso sia volto ad ottenere dallo Stato la prestazione della giurisdizione, e nella sua dimensione privata, in quanto diretto verso altro soggetto che si voglia sottoporre alle statuizioni del giudice. In tale prospettiva, la regola della litispendenza, intesa come effetto della consumazione del diritto di azione, ha lo stesso fondamento, ovvero appaga le stesse esigenze, della regola del giudicato, sicché la prima dovrebbe espandersi finché non funzioni già l’altra. Supponendo, cioè, la cosa giudicata una sentenza irrevocabile, la litispendenza, che preserva gli stessi interessi propri della prima, sarebbe tenuta ad occupare, e quindi a regolare, tutta la vicenda processuale che precede la regiudicata. Pertanto, in nome della realizzazione dell’obiettivo del ne bis in idem, tra eccezione di litispendenza e eccezione di giudicato non possono lasciarsi spazi vuoti. In sostanza, la pendenza della lite, che si determina dall’attimo in cui la domanda sia regolarmente proposta, cessa soltanto quando si consegua una sentenza definitiva non impugnabile con mezzi ordinari (col che all’eccezione di litispendenza subentra quella di giudicato), oppure si verifichi l’estinzione della domanda”.
E’ chiaro, dunque, in base a tale impostazione sistematica, che litispendenza e giudicato si escludono vicendevolmente e che, laddove il giudizio preventivamente instaurato sia stato definito con sentenza passata in giudicato (cioè non più soggetta a mezzi di impugnazione ordinari), nel giudizio avente il medesimo oggetto ed instaurato successivamente non può essere dichiarata la litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c., ma esso deve essere deciso dal giudice adito, il quale dovrà ovviamente farlo tenendo conto dell’identità del rapporto giuridico sostanziale rispetto a quello già oggetto di decisione definitiva e, quindi, applicando i principi che disciplinano l’efficacia del giudicato e le relative preclusioni, ai sensi dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c..
E’ del resto pacifico (e va ribadito, per quanto possa occorrere) che la speciale ipotesi di revocazione prevista in relazione alle sentenze della Corte di Cassazione dall’art. 391 bis c.p.c., con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, costituisce un mezzo di impugnazione straordinario, che non impedisce la formazione del giudicato, né nel periodo in cui pende termine per la proposizione dell’impugnazione, né successivamente, dopo che l’impugnazione stessa sia stata effettivamente proposta. Oltre a derivare tale conclusione dai principi sulle impugnazioni straordinarie, è infatti riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, sia indirettamente (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3083 del 03/04/1996, Rv. 496772 – 01), sia espressamente (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7116 del 30/07/1997, Rv. 506343 – 01, in motivazione) che, al di là della formulazione letterale, la norma in esame nega l’effetto impeditivo della formazione del giudicato non solo alla pendenza del termine, ma anche alla stessa proposizione del ricorso per revocazione. Rafforza poi la medesima conclusione anche la stessa previsione di cui all’art. 391 bis c.p.c., comma 6, che impedisce la sospensione dell’esecuzione della sentenza eventualmente passata in giudicato e impone senza deroghe il regolare svolgimento del giudizio di rinvio anche in caso di impugnazione per revocazione della pronuncia della Corte di Cassazione.
In altri termini, solo l’accoglimento dell’impugnazione per revocazione della pronuncia di legittimità, con l’esperimento in senso favorevole al ricorrente del giudizio rescissorio, determina il venir meno del giudicato e, quindi, la riespansione della possibile applicazione della disciplina in tema di litispendenza.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: “in caso di successiva proposizione di due giudizi aventi identico oggetto, non è possibile la dichiarazione di litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c. da parte del giudice di quello instaurato per secondo, laddove in relazione al primo giudizio si sia già formato il giudicato, ivi inclusa l’ipotesi che tale giudicato consegua ad una pronuncia della Corte di Cassazione avverso la quale penda l’impugnazione per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4 (ovvero penda il termine per proporla)”.
3. E’ opportuno precisare che non può ritenersi di ostacolo a tale conclusione – direttamente discendente dai principi affermati da questa stessa Corte sui rapporti tra litispendenza e giudicato e sulla natura e gli effetti della revocazione per errore di fatto delle sentenze di legittimità – il possibile inconveniente pratico per cui, in caso di accoglimento dell’impugnazione per revocazione della sentenza di legittimità e a seguito del giudizio rescissorio, si potrebbe infine formare un giudicato sostanziale sul rapporto di segno diverso e finanche contrario a quello sulla base del quale sia stato frattanto eventualmente deciso il giudizio successivamente instaurato con il medesimo oggetto.
Si tratta, infatti, di una situazione che può sempre verificarsi all’esito dell’esperimento dei mezzi di impugnazione di carattere straordinario (e che può del resto verificarsi anche nel caso in cui, al momento della decisione del secondo giudizio, il termine per la proposizione dell’impugnazione per revocazione di cui all’art. 391 bis c.p.c. sia semplicemente pendente, caso nel quale è espressa ed insuperabile la indicazione normativa nel senso della sussistenza del giudicato, che esclude la litispendenza).
L’ordinamento offre del resto i criteri in base ai quali individuare, in tale eventualità, la prevalenza tra le due successive decisioni e i mezzi idonei al loro coordinamento, in conformità ai principi fin qui esposti, per cui le regole in tema di litispendenza e giudicato sono dirette ad “appagare le medesima esigenza” e, segnatamente, il principio secondo cui “de eadem re ne bis sit actio”, che – nel caso di giudizi con identico oggetto – si traduce in quello della “consumazione del diritto di azione”, ovviamente con riguardo all’unico rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguenza che, evidentemente, dovrà essere in ogni caso la decisione sul merito della controversia, cioè quella relativa proprio all’unico rapporto sostanziale dedotto in giudizio, a prevalere, non certo quella adottata in base al criterio di natura processuale e formale del preesistente giudicato, e ciò a maggior ragione nel caso in cui tale preesistente giudicato sia successivamente venuto meno in conseguenza dell’esperimento di un mezzo di impugnazione straordinario.
4. Non possono, infine, condividersi le osservazioni del procuratore generale su una pretesa irrilevanza del secondo motivo del ricorso, in virtù dell’esito presumibilmente sfavorevole alle ricorrenti che avrebbe l’opposizione, nel merito, in caso di applicazione dei principi sopra esposti (dovendo farsi riferimento alla precedente sentenza già passata in giudicato, di rigetto dell’opposizione stessa).
In virtù della natura del presente mezzo di impugnazione, che non mira alla definizione del merito della controversia ma è destinato esclusivamente ad individuare il giudice cui spetta il potere ed il dovere di adottare la relativa decisione, e tenuto altresì conto che, nella specie, tale decisione non è affatto intervenuta, in virtù della dichiarazione di litispendenza operata dalla corte di appello, con conseguente cancellazione della causa dal ruolo, si impone esclusivamente, nella presente sede, un ordine di prosecuzione del giudizio davanti alla corte territoriale, affinché la controversia sia decisa, in base ai principi sin qui esposti.
5. In definitiva, l’insussistenza di una situazione di contemporanea pendenza dei due giudizi in relazione ai quali la corte territoriale ha ravvisato identità di oggetto – per essere uno dei due giudizi definito con sentenza passata in giudicato – è di per sé ostativa alla dichiarazione di litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c., come fin qui esposto.
Ciò comporta che la pronuncia impugnata deve ritenersi, per ciò solo, emessa in violazione dell’art. 39 c.p.c., con assorbimento delle questioni poste con il primo motivo del ricorso (relative all’effettiva identità dell’oggetto dei due giudizi promossi dal G.), trattandosi di questioni che – per quanto sin qui osservato – andranno esaminate e decise dal giudice di secondo grado ai fini della pronuncia sul merito dell’appello e che non possono, di conseguenza, essere prese in esame in sede di regolamento di competenza.
6. Va ordinata la prosecuzione del giudizio davanti alla Corte di Appello di Napoli per l’esame del merito della controversia, sulla base dei principi sopra esposti.
Le spese del presente procedimento per regolamento di competenza possono essere integralmente compensate tra le parti, data la sostanziale novità, la peculiarità e l’oggettiva incertezza interpretativa in ordine alla questione processuale affrontata.
P.Q.M.
La Corte:
pronunciando sul ricorso per regolamento di competenza, ordina la prosecuzione del giudizio davanti alla Corte di Appello di Napoli;
spese del presente procedimento compensate.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2021