Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41490 del 24/12/2021

Cassazione civile sez. II, 24/12/2021, (ud. 09/11/2021, dep. 24/12/2021), n.41490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2514/2017 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO NANIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA CIMMINO;

– ricorrente –

contro

B.G., T.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA G. PALUMBO, 3, presso lo studio dell’avvocato CARLA CAPRI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA PETRUCCI;

– controricorrenti –

e contro

F.F., S.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4833/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/11/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. G.E. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4833/2016 della Corte d’appello di Roma, depositata il 28 luglio 2016.

Resistono con controricorso B.G. e T.R..

Gli intimati F.F. e S.P. non hanno svolto attività difensive.

2. La Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame avanzato da G.E. contro la sentenza n. 5784/2010 del Tribunale di Roma, con la quale la G. era stata condannata, su domanda di B.G., T.R. e di Gr.Fr. (la quale ultima aveva poi rinunciato alla domanda), alla rimozione di un torrino in muratura realizzato sulla terrazza dell’edificio condominiale di via SS. Quattro, n. 45, in Roma. Questo torrino consisteva in una scala a chiocciola interna che consentiva l’accesso diretto alla terrazza dall’appartamento di proprietà G.. Per il Tribunale, il medesimo torrino cagionava un mutamento materiale della struttura della terrazza condominiale, imponendo su di essa una servitù a vantaggio della proprietà esclusiva sottostante, senza che vi fosse il necessario consenso di tutti i condomini. La sentenza di primo grado aveva altresì respinto la domanda di B.G. e di T.R. attinente ad un lucernaio realizzato sulla terrazza, nonché la domanda di manleva spiegata da G.E. nei confronti dei terzi chiamati F.F. e S.P., danti causa della convenuta e costruttori del manufatto oggetto di lite. La Corte d’appello ha affermato che il torrino, per le sue dimensioni (mq. 2,42), rende una parte non trascurabile della terrazza totalmente inutilizzabile dagli altri condomini, attraendo la stessa nella sfera di esclusiva disponibilità della G.. Al riguardo della invocata garanzia dovuta dai venditori, la sentenza impugnata ha osservato che la compratrice, al momento della stipula del contratto di acquisto dell’unità immobiliare del 13 luglio 1995 con F.F. e S.P., fosse stata messa a conoscenza della “apertura di un lucernaio e di una botola (protetta da un sovrastante piccolo manufatto) sul terrazzo condominiale, opere eseguite in assenza di concessione nell’anno 1992”, con ciò assumendo il rischio di una evizione parziale.

3.La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e art. 380 bis.1 c.p.c..

La ricorrente ha presentato memoria.

4. Il primo motivo del ricorso di G.E. denuncia (paragrafo 1.1.) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 102 e 331 c.p.c., nonché “dei vigenti principi in materia di litisconsorzio necessario processuale”, stante l’assenza nel giudizio di appello della litisconsorte necessaria Gh.Fr., attrice – unitamente a B.G. e T.R. – in primo grado, la quale aveva poi rinunciato “alla domanda ed azione” nel verbale di udienza del 26 novembre 2007. Di seguito, il primo motivo di ricorso (paragrafo 1.2) deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, nonché “dei vigenti principi in materia di interpretazione del giudicato”: si sostiene che, se anche la Corte d’appello avesse ritenuto “operativa” la rinuncia della Gh., essa avrebbe comunque dovuto tener conto del “giudicato interno” costituito dalla pronuncia di primo grado resa anche nei confronti della stessa rinunciante.

4.1. Il primo motivo di ricorso è totalmente infondato.

Ciascuno dei singoli condomini è legittimato ad esercitare, senza necessità di litisconsorzio con gli altri comunisti, le azioni a difesa della cosa comune (nella specie, la domanda di natura reale ex art. 1102 c.c., avente quale fine il ripristino dello “status quo ante” di una cosa comune illegittimamente alterata da altro condomino) sia nei confronti dei terzi, che di ogni altro partecipante alla comunione (fra le tante. Cass. Sez. 2, 08/02/1982, n. 734; Cass. Sez. 2, 07/03/2003, n. 3435).

Ove più condomini, come avvenuto nel caso in esame, agiscono nello stesso processo verso altro condomino ai sensi dell’art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo disciplinato dall’art. 103 c.p.c., sicché la rinuncia all’azione da parte di uno soltanto degli attori comporta l’estinzione dell’azione e la cessazione della materia del contendere limitatamente al rapporto processuale scindibile per il quali la rinuncia medesima è intervenuta. Ne consegue che il giudizio prosegue tra le altre parti senza che nessun effetto abbia nei loro confronti l’estinzione del processo conseguente alla rinuncia (trattandosi, peraltro, di pronuncia assolutamente inidonea ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere) e senza che, comunque, in sede di impugnazione trovi applicazione il meccanismo di cui all’art. 332 c.p.c. (e non quello di cui all’art. 331 c.p.c.), neppure rilevando l’eventualità che la medesima prosecuzione del giudizio porti ad un esito favorevole, potenzialmente idoneo a riflettersi anche nella sfera giuridica del rinunciante (Cass. Sez. 3, 18/06/1975, n. 2446; Cass. Sez. 1, 08/02/1977, n. 552).

5. Il secondo motivo del ricorso di G.E. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., nonché “dei principi vigenti in materia di utilizzo da parte del singolo condomino dei beni comuni”. La censura si incentra sul “remoto orientamento” giurisprudenziale richiamato nella sentenza impugnata, che avrebbe invece disatteso “l’attuale orientamento”, segnalando le circostanze di fatto ignorate in motivazione anche alla stregua della espletata CTU, quali le modeste dimensioni del torrino, la posizione marginale dell’opera, la carenza di pregiudizio alla stabilità ed al decoro architettonico dell’edificio, la mancata incidenza sulla destinazione di copertura della terrazza, la conseguita sanatoria da parte dell’Autorità amministrativa. La ricorrente invoca anche il diritto che l’art. 1127 c.c., riconosce al proprietario dell’ultimo piano di elevare nuovi piani o nuove fabbriche, tra le quali non può certo rientrare un torrino di modeste dimensioni.

5.1. Anche il secondo motivo è infondato.

La Corte d’appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il torrino oggetto di causa, per le sue dimensioni (mq. 2,42), rende una parte non trascurabile della terrazza totalmente inutilizzabile dagli altri condomini, attraendo la stessa nella sfera di esclusiva disponibilità della G. e cagionando un mutamento materiale della struttura del bene condominiale, con l’imporre sullo stesso una servitù a vantaggio della proprietà esclusiva sottostante.

5.2. Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

5.3. La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

Proprio perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, il condomino che si serve della terrazza condominiale nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l’art. 1117 c.c., lo fa nell’esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù. Viceversa, dall’uso della cosa comune a favore del fondo di proprietà esclusiva oltre i limiti segnati dall’art. 1102 c.c., può discendere, nel concorso degli altri requisiti di legge, l’usucapione di una servitù a carico della proprietà condominiale (cfr. Cass. Sez. 2, 13/08/1985, n. 4427).

5.4. La costruzione da parte di un condomino di un torrino che contiene una scala a chiocciola e crea un accesso diretto riservato, collegato con l’unità immobiliare di proprietà esclusiva, su una terrazza condominiale, costituisce una modifica strutturale del terrazzo rispetto alla sua primitiva configurazione e dà luogo, per la porzione di terrazzo occupata, all’assoggettamento ad un uso estraneo a quello originario comune, che viene soppresso; la modifica può peraltro determinare l’appropriazione da parte del condomino della superficie del torrino. Tale modifica, certamente non riconducibile all’esercizio del diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell’ultimo piano dello edificio condominiale, è illegittima ove realizzi una alterazione unilaterale della funzione e della destinazione di porzione della terrazza comune, integrando una violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento spettanti agli altri condomini (Cass. Sez. 2, 09/05/1983, n. 3199; Cass. Sez. 2, 19/11/2004, n. 21901).

5.5. Anche la più recente interpretazione di questa Corte afferma che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente (Cass. Sez. 2, 29/01/2021, n. 2126; Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14107; si vedano anche Cass. Sez. 6 – 2, 04/02/2013, n. 2500; Cass. Sez. 6-2, 25/01/2018, n. 1850; Cass. Sez. 6-2, 21/02/2018, n. 4256).

E’ evidente come l’accertamento circa la significatività della parte del terrazzo che sia resa inutilizzabile per innestarvi opere a vantaggio esclusivo di una proprietà individuale, ovvero l’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità non per violazione dell’art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all’art. 360 c.c., comma 1, n. 5.

5.6. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo di ricorso, riferito esclusivamente al parametro della violazione di norme di diritto (il quale suppone la deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla legge e non della fattispecie concreta emergente dalle risultanze di causa) è in realtà volto a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie. La ricorrente ambisce una rivalutazione dei fatti difforme da quella operata dal giudice di merito, sia in punto di consistenza strutturale delle opere, sia con riguardo alla loro dislocazione, ma ciò suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione, in maniera da pervenire ad una diversa validazione e legittimazione inferenziale degli elementi probatori, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

5.7. Quanto al riferimento fatto sul finire del secondo motivo all’art. 1127 c.c., è noto che le opere realizzate da un condomino su parti comuni poste all’ultimo piano di un edificio comportano l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1120 c.c., in caso di conforme delibera assembleare di approvazione, ovvero, dell’art. 1102 c.c., ove tali modifiche dei beni comuni siano state eseguite di iniziativa dei singoli condomini. Mentre costituisce sopraelevazione, disciplinata dall’art. 1127 c.c., la realizzazione di nuove opere, consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, nonché la trasformazione di locali preesistenti mediante l’incremento di volumi e superfici nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano (Cass. Sez. 2, 15/06/2020, n. 11490).

5.8. Ne’ ha rilevanza la dedotta sanatoria amministrativa: si tratta, infatti, di atto che attiene all’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, e cioè all’aspetto formale dell’attività edificatoria, e che non è invece di per sé risolutivo del conflitto tra i proprietari privati interessati in senso opposto alla costruzione, conflitto da dirimere pur sempre in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e i limiti posti dall’art. 1102 c.c..

6 Il terzo motivo del ricorso di G.E. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1484 c.c., “dei principi vigenti in materia di vendita ed evizione”, dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. e dei “principi vigenti in materia di interpretazione”. La ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha desunto l’assunzione del rischio di un’evizione parziale da parte della compratrice G. sul presupposto della conoscenza della realizzazione di opere abusive da parte dei suoi danti causa al momento della stipula del contratto di acquisto dell’unità immobiliare del 13 luglio 1995 con F.F. e S.P.. Il motivo sottolinea l’irrilevanza dell’elemento soggettivo ai fini dell’operatività dell’art. 1484 c.c., dovendosi riconoscere al compratore il diritto a far valere l’evizione per il mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato. Si trattava, peraltro, di clausola (art. 6 del contratto di vendita) posta tra le dichiarazioni della parte veditrice, mancando, invece, la dichiarazione della compratrice di comprare “a proprio rischio e pericolo”. Anche sotto il profilo delle regole interpretative, viene contestato che vi fosse una pattuizione deponente per la rinuncia dell’acquirente alla garanzia per evizione.

Il quarto motivo di ricorso allega poi l’omesso esame circa un fatto decisivo, consistente nella garanzia per evizione che i venditori avrebbero prestato alla compratrice, assicurando di aver realizzato le opere legittimamente e con il consenso di tutti i condomini.

6.1. Il terzo motivo di ricorso è fondato e l’accoglimento dello stesso determina l’assorbimento del quarto motivo, il quale perde così immediata rilevanza decisoria.

6.2. L’esperimento vittorioso dell’azione reale intentata da un condomino in base al disposto dell’art. 1102 c.c., ed avente quale fine il ripristino dello “status quo ante” di una cosa comune illegittimamente alterata, nei confronti del compratore di un immobile, in cui già prima della vendita esisteva uno stato di fatto lesivo a danno di terzi, determina in favore del medesimo compratore l’applicazione dell’art. 1484 c.c., (evizione parziale) quando si risolva, come nella specie, nella soppressione di una parte dell’immobile acquistato, che in sostanza equivalga alla perdita parziale del relativo diritto di proprietà, giustificandosi, invece, l’applicazione dell’art. 1489 c.c., quando l’eliminazione della situazione antigiuridica importi soltanto una restrizione qualitativa del godimento dell’immobile, inalterata restandone la consistenza materiale dell’intero acquisto (cfr. Cass. Sez. 2, 02/08/1975, n. 2947; Cass. Sez. 2, 06/12/1984, n. 6402; Cass. Sez. 2, 21/12/2012, n. 23818; Cass. Sez. 2, 18/10/2019, n. 26627). Pertanto, se l’acquirente agisca in garanzia contro il venditore dell’edificio (come pure è avvenuto nel caso in esame), è superflua l’indagine circa la non apparenza del diritto fatto valere dal terzo sulla cosa e circa l’ignoranza di tal diritto da parte dell’acquirente, in quanto tali requisiti sono richiesti solo per l’esperimento dell’azione ex art. 1489 c.c., e non per l’azione di evizione parziale (Cass. Sez. 1, 31/01/1968, n. 318; Cass. Sez. 2, 26/11/1973, n. 3196).

La garanzia per evizione opera, invero, per il solo fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, la quale comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio, indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore o dalla buona fede dell’acqbirente e, quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, ove la stessa effettivamente si verifichi (Cass. Sez. 2, 19/03/2015, n. 5561; Cass. Sez. 6 – 2, 10/10/2011, n. 20877; Cass. Sez. 2, 18/10/2005, n. 20165; Cass. Sez. 2, 24/04/1993, n. 4853).

6.3. A differenza di quanto affermato dalla Corte d’appello di Roma (secondo la quale, poiché la compratrice al momento della stipula del contratto del 13 luglio 1995 con F.F. e S.P., era stata messa a conoscenza delle opere eseguite nell’anno 1992, la stessa aveva così assunto il rischio ed il pericolo di una evizione parziale), deve ribadirsi che, nel caso di evizione (totale o parziale), la responsabilità del venditore non è esclusa dal semplice fatto che al compratore fosse nota l’esistenza del diritto del terzo sulla cosa ed il conseguente pericolo di evizione, e sussiste sempre per il venditore l’obbligo di restituire il prezzo pagato e di rimborsare le spese, anche se sia stata pattuita l’esclusione dalla garanzia, salvo il caso di vendita convenuta a rischio e pericolo del compratore, ai sensi dell’art. 1488 c.c., non potendosi peraltro tale convenzione aleatoria automaticamente desumere, come fatto nell’impugnata sentenza, dal fatto che il compratore fosse stato informato circa l’esistenza della causa di evizione (Cass. Sez. 2, 26/11/1973, n. 3196; Cass. Sez. 2, 09/01/1964, n. 40; anche Cass. Sez. 2, 09/01/2013, n. 314).

7. In definitiva, deve accogliersi il terzo motivo di ricorso, dichiararsi assorbito il quarto motivo e rigettarsi i primi due motivi. La sentenza impugnata viene cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che deciderà la causa uniformandosi ai principi enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il quarto motivo, rigetta i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2021

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