Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4146 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 09/02/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 09/02/2022), n.4146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22168-2016 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOLAMETTO 2,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CACCESE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGI RUSSO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASALUCE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2266/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/04/2016 R.G.N. 2304/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2266/2016, pubblicata il 5 aprile 2016, confermava la decisione del Tribunale di S. Maria. Capua Vetere che aveva rigettato le domande di S.M., Segretario del Comune di Casaluce, volte ad ottenere il pagamento di quanto effettivamente pagato al difensore per il compenso professionale, pari alla somma di Euro 26.146,28, a titolo di rimborso delle spese legali sostenute dalla ricorrente per difendersi nel processo penale per i delitti di cui agli artt. 323 e 479 c.p., conclusosi con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste del GUP del Tribunale di S. Maria C.V.;

2. la Corte territoriale, premesso l’inquadramento della figura del Segretario comunale, distinto il rapporto organico e quello di servizio connotanti tale figura e ricostruite le funzioni svolte, riteneva che il Segretario comunale, sia pur in relazione alla durata del suo incarico, fosse da considerare un dipendente dell’Ente e che pertanto il rimborso delle spese legali sostenute nel procedimento penale a suo carico competesse al Comune di sua utilizzazione, nel cui interesse il Segretario svolge la sua attività funzionale;

evidenziava che non vi fosse stata alcuna contestazione sull’an della pretesa azionata dalla S. nei confronti del Comune, avendo quest’ultimo Ente espressamente riconosciuto il suo diritto al rimborso delle spese legali, ma che il Tribunale avesse errato nel dichiarare cessata la materia del contendere a seguito del pagamento parziale del Comune (pari ad Euro 4.131,00) perché rimaneva controversa la questione sul quantum debeatur;

riteneva che spettasse alla ricorrente l’onere di dimostrare che l’importo riconosciuto dal Comune non era satisfattivo del suo diritto ma che nel caso concreto alcuna prova fosse stata fornita dalla stessa;

assumeva che, a fronte dell’attenta analisi effettuata dal Tribunale sull’attività difensiva espletata dal difensore della S. in sede di procedimento penale, l’importo riconosciuto a titolo di rimborso spese apparisse congruo e satisfattivo;

evidenziava che, pur volendo assimilare il Segretario comunale ad un mandatario, non poteva applicarsi neppur l’art. 1720 c.c., perché la necessità di effettuare spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato, non vi è dunque alcuna causalità tra gli obblighi del mandatario e la perdita economica, di cui il mandatario non può pretendere il rimborso in capo al mandante (Comune);

3. ricorre per la cassazione della sentenza S.M. sulla base di un unico motivo;

4. il Comune di Casaluce è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con un unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa e contraddittoria motivazione della sentenza” in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

censura la sentenza impugnata per aver posto in capo alla ricorrente l’onere probandi sul quantum debeatur, sostenendo che il diritto al rimborso delle spese legali ha natura di diritto soggettivo e come tale non ha bisogno di ulteriori allegazioni;

lamenta il mancato riconoscimento da parte del Giudice di una valutazione effettiva dello svolgimento dell’attività di patrocinio sulla base delle risultanze di causa, della gravità oggettiva del capo di imputazione penale e della parcella allegata a dimostrazione del compimento dell’attività difensiva svolta;

sostiene che il Comune non aveva contestato la parcella prodotta in giudizio e che, in ogni caso, fosse un obbligo dell’Ente richiedere iil parere di congruità all’Avvocatura dello Stato ma che tale richiesta non era mai stata avanzata;

assume, inoltre, che la gravità oggettiva del capo di imputazione sia chiara dimostrazione dell’attività svolta dal difensore e che ha errato la Corte nel non considerare la parcella quale elemento di rimborso per quanto sopportato dal mandatario nel compimento dei propri doveri nei confronti dell’Ente;

chiede il risarcimento del danno per l’illecito comportamento della PA, da liquidare in via equitativa, per il mancato rispetto dei principi di buona fede e correttezza;

2. il motivo non è fondato;

2.1. esso, come risulta evidente dalla stessa rubrica prima richiamata, contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di norme di diritto nonché di vizi di motivazione, senza alcuna specifica e adeguata indicazione, nell’illustrazione dei rilievi, di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, così non consentendo una corretta identificazione del devolutum e dando luogo alla convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, ‘di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità’ (v. Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242; Cass. 13 luglio 2016, n. 14317; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862);

infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto così come accertato dai giudici del merito, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte, non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata ‘male’ applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente sussumibile nella norma (v. Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348), sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto (sostanziale o processuale) presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti;

nel motivo in esame mal si comprende in quali sensi convivano i differenti vizi denunciati, articolati in una intricata commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti, argomentazioni giuridiche, frammenti di sentenza impugnata, rendendo il motivo medesimo inammissibile per difetto di sufficiente specificità;

2.2. il motivo presenta anche altro profilo di inammissibilità;

la Corte d’appello, dopo aver dato atto che il Comune di Casaluce aveva espressamente riconosciuto il diritto al rimborso della S. con deliberazione di legittimità del debito fuori bilancio adottata in data 23/12/2008 (“sicché alcun dubbio sussiste in ordine all’an della pretesa azionata” – v. pag. 3 della sentenza -), ha ritenuto congruo a satisfattivo il rimborso effettuato dal Comune, non solo perché la ricorrente non aveva dato prova e dimostrazione di quanto effettivamente speso ma anche in base all’analisi effettuata in primo grado sul quantum dovuto;

a fronte della suddetta valutazione di merito (già, come tale, incensurabile in sede di legittimità) la ricorrente ha opposto una diversa lettura delle risultanze di causa senza, peraltro, riportare in ricorso il contenuto degli atti richiamati ovvero senza alcun preciso riferimento alla esatta collocazione degli stessi nei fascicoli di causa;

lungi, infatti, dal dedurre specificamente l’erronea applicazione da parte della Corte territoriale di una regola di giudizio, si è limitata a postulare una condivisione della propria tesi attraverso una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove;

2.3. va, in ogni caso, osservato che il personale con qualifica di Segretario comunale o provinciale, pur appartenendo al genus dell’impiego statale, ne costituisce una species, regolamentata da un ordinamento particolare (così già la L. n. 604 del 1962) in correlazione con la peculiare caratteristica della non coincidenza dell’amministrazione datrice di lavoro (lo Stato) con quella che ne utilizza le prestazioni instaurando il relativo rapporto organico (l’ente locale);

il suddetto ordinamento è stato poi sostituito con quello recato dalla L. n. 127 del 1997, e dal D.P.R. n. 465 del 1997 (le norme relative al regime definitivo sono state poi trasfuse nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nel quale amministrazione datrice di lavoro dei segretari è diventata l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, avente personalità giuridica di diritto pubblico, restando confermata la peculiarità della non coincidenza dell’amministrazione datrice di lavoro con quella che ne utilizza le prestazioni (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 102);

sotto questo ultimo profilo, il Segretario è a tutti gli effetti un dipendente dell’Ente locale, sia pure in via temporanea in relazione alla durata dell’incarico ed allo stesso si applicano le regole del pubblico impiego in generale ovvero quelle specifiche degli enti locali in quanto applicabili e compatibili;

2.4. ed allora va ricordato che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720 c.c., comma 2, non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cass. 27 settembre 2016, n. 18946; Cass. 4 luglio 2017, n. 16396);

infatti, il legislatore e le parti collettive, nel porre a carico dell’erario una spesa aggiuntiva, hanno dovuto contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti, per ragioni di servizio, in un procedimento penale con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’amministrazione;

la necessità di realizzare un giusto equilibrio fra detti opposti interessi ha ispirato le varie discipline dettate per ciascun tipo di rapporto e di giudizio (D.P.R. n. 268 del 1987, art. 67, per i dipendenti degli enti locali; D.L. n. 67 del 1997, art. 18, applicabile ai dipendenti statali; D.L. n. 543 del 1996, art. 3, in tema di giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti; le previsioni dei contratti collettivi del personale pubblico contrattualizzato dettate per i differenti comparti), sicché è stato affermato, e va qui ribadito, che in ragione della specificità e della diversità delle normative, si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali (Cass. 13 marzo 2009, n. 6227);

2.5. ciò detto, discutendosi nella specie del quantum di tale rimborso, appare risolutivo che non sia stata allegata al ricorso per cassazione la parcella di cui pur diffusamente si discute e la stessa sentenza penale con il relativo “gravosissimo” capo di imputazione (che nella prospettazione del ricorrente documenterebbe “l’imponente compito svolto dal difensore”), che non siano state puntualmente indicate le attività svolte da detto difensore, che non sia stata adeguatamente contrastata l’affermazione della Corte partenopea secondo la quale la S. non aveva fornito elementi probatori per dimostrare di aver diritto all’ulteriore somma richiesta (limitandosi la ricorrente nella parte del ricorso relativa ai ‘fatti di causà – a fare riferimento ad una avvenuta regolarizzazione del compenso professionale del proprio difensore a mezzo di assegno circolare per la complessiva somma di Euro 26.146,48, regolarmente fatturata senza che, però, risulti quando ed in che termini la relativa questione sia stata tempestivamente sottoposta ai giudici di merito ed in ogni caso senza riprodurre il contenuto dei relativi atti e senza fornire indicazioni sulla loro allocazione nei fascicoli di merito);

2.6. si aggiunga che, come precisato da questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 13861 del 2015 cit.), l’entità del rimborso delle spese per il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell’ufficio, ai sensi del D.L. n. 67 del 1997, art. 18, conv. con modif. dalla L. n. 135 del 1997, va riconosciuta nei limiti dello ‘strettamente necessariò secondo il parere di congruità, di natura consultiva, dell’Avvocatura erariale, che – nella prospettiva di un contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente – non può limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe forensi, ancorata ai minimi tariffari, né mirare a tenere indenne da ogni costo l’interessato, ma, nel valutare le necessità difensive del funzionario in relazione alle accuse mosse ed ai rischi del processo penale, nonché la conformità della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione;

la valutazione tecnica dell’Avvocatura erariale trascende, dunque, la mera verifica di conformità della parcella del difensore alla tariffa professionale e la sola determinazione del quantum da rimborsare, ma attinge tutti i presupposti giuridici della pretesa di rimborso, investendo le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, commisurate alle somme delle quali si chiede il rimborso (v. anche Cass. 3 gennaio 2008, n. 2; Cass. 23 gennaio 2007 n. 1418);

2.7. questa Corte ha anche affermato che “la procedura espressamente prevista per l’amministrazione statale sia applicabile in via analogica anche agli altri enti pubblici, fatti salvi i necessari adattamenti, tra cui la sostituzione del parere obbligatorio e vincolante dell’Avvocatura dello Stato (quando non sia consentita l’utilizzazione di tale organo) con quello della struttura interna, eventualmente esistente, nell’ordinamento dell’ente; in caso di mancanza di un’avvocatura interna o di altra analoga istituzione, l’organo di gestione può direttamente provvedere, motivatamente, allo stesso modo” (v. Cass. 19 agosto 2013, n. 19195);

2.8. nella specie è dirimente che, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, il diritto della S. alla ulteriore somma richiesta “e’ stato escluso dal primo Giudice all’esito di una analitica e dettagliata valutazione delle attività compiute dall’avv. Luigi Russo, difensore di fiducia della ricorrente, nel procedimento penale di cui si parla” e la stessa Corte territoriale ha ritenuto che “l’importo riconosciuto, dunque, dal Comune appare congruo e più che satisfattivo dell’interesse azionato”;

si tratta di valutazione, basata su dati fattuali e coerente con quel contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente di cui sopra si è detto, non idoneamente contrastata dalla ricorrente;

2.9. né invero risulta che siano stati espressamente denunciati già con l’atto introduttivo del giudizio vizi procedurali concernenti la mancanza del parere di congruità da parte dell’Avvocatura dello Stato ovvero che abbia formato oggetto di specifico rilievo innanzi alla Corte d’appello l’affermazione del Tribunale secondo la quale, in mancanza di tale parere, il giudizio di congruità ben poteva essere espresso dal giudice (v. pag. 1 della sentenza impugnata), emergendo, anzi, dallo stesso ricorso per cassazione che “appare legittimo ed indiscutibile che debba essere il Giudice adito a compiere una valutazione sull’attività processuale esperita dall’avvocato della creditrice, sulla base del parametro della tariffa penale, nonché della natura, della complessità della causa, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, della durata del processo, della qualità dell’opera professionale prestata e del vantaggio arrecato al cliente” (sulla possibilità del vaglio del giudice ordinario sul parere tecnico, laddove reso, per il necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione, si veda Cass. n. 1418 del 2007 già citata);

2.10. anche la pretesa afferente al risarcimento del danno è del tutto generica e priva di ogni riferimento agli elementi posti a fondamento dell’asserito pregiudizio, circostanza questa che esclude ogni possibilità di liquidazione equitativa;

3. segue coerente il rigetto del ricorso;

4. nulla spese in mancanza dello svolgimento di attività difensiva da parte del Comune intimato;

5. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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