Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4145 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. II, 22/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 22/02/2010), n.4145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.G.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TREBBIA 3,

presso lo studio dell’avvocato CASSESE ANTONIETTA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GALFANO FRANCO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA

DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato FERRETTI GIAN ALBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CANNIZZO MAURIZIO, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 956/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

29.6.07, depositata il 22/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2009 dal Dott. D’ASCOLA Pasquale;

E’ Presente il P.G. in persona del Dott. PRATIS PIERFELICE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il tribunale di Marsala con sentenza del 30 ottobre 2002 accoglieva la domanda proposta da L.G.V. avverso A.G. per negare l’esistenza di servitu’ di passaggio su un proprio terreno sito in contrada (OMISSIS); ordinava al convenuto anche la rimozione di un pozzo nero posto a distanza illegale. Dichiarava la carenza di legittimazione passiva dell’altra convenuta A.B.. In parziale riforma della sentenza, la Corte d’appello di Palermo il 22 ottobre 2007, fermo il resto, dichiarava che l’appellante A. era titolare della servitu’ di passaggio in contestazione.

L.G.V. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 20 marzo 2008 al quale A. ha resistito con controricorso. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio; ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso si impernia su tre motivi: il primo, stando alla rubrica, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per la presenza di tutti i possibili vizi di motivazione e violazione del divieto di retroattivita’ della legge. Il secondo(oltre ai vizi di motivazione denuncia violazione degli artt. 1158, 1161, 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.; il terzo lamenta la violazione degli artt. 1141, 1144, 1158, c.c. e dell’art. 116 c.p.c..

Nessuno dei tre motivi presenta la formulazione dei quesiti di diritto previsti a pena di inammissibilita’ dall’art. 366 bis c.p.c..

In memoria parte ricorrente asserisce che il quesito di diritto sarebbe presente, perche’ essa avrebbe indicato per ciascun motivo sia la normativa violata o falsamente applicata, sia l’errore nel quale e’ incorsa la Corte di appello. Indica anche le pagine del ricorso in cui ogni quesito sarebbe stato formulato. Il Collegio, esaminato il ricorso, non puo’ che confermare quanto rilevato nella relazione depositata ex art 380 bis c.p.c.. Non vi e’ infatti nel ricorso ne’ un quesito esplicito (Cass. 7258/07), cioe’ graficamente e topograficamente separato dallo svolgimento del motivo e formulato in termini tali per cui dalla risposta negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 20360/07), ne’ una parte distinguibile, isolabile dal contesto del motivo e avente caratteristiche di sintesi tali da assolvere la funzione del quesito. Il fondamento dell’art. 366 bis c.p.c. sta nell’esigenza di rendere piu’ agevole la lettura del ricorso per Cassazione e, quindi, la pronta identificazione delle questioni da risolvere, nella prospettiva di una decisione rapida, che non si attardi nella ricerca degli aspetti critici della decisione impugnata, che la parte interessata non abbia chiaramente illustrato (Cass. 27130/06). Inoltre il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che e’ inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis c.p.c., si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneita’ a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. SU 26020/08). Nessuna di queste indispensabili caratteristiche risulta assolta dai tre motivi esposti, che non contengono (ed infatti la memoria non e’ riuscita a distinguerli e a proporli testualmente nell’ambito del testo) la formulazione di un quesito propriamente inteso. Altrettanto vale, a maggior ragione, con riguardo all’indicazione specifica del fatto controverso e ai denunciati vizi di motivazione. La inammissibilita’ di motivi di ricorso multipli allorquando non contengano specificamente e separatamente il quesito e la specifica indicazione del fatto controverso e’ il primo ostacolo all’ammissibilita’ del motivo.

Le Sezioni Unite (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) hanno poi chiarito che la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Allorche’ nel ricorso per Cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve pertanto essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (Cass. 8897/08;

16002/07). Tale formulazione non si rinviene nella deduzione dei motivi di ricorso, svolta con narrazione complessa, senza concentrare in un punto riassuntivo la censura specificamente dedotta, benche’ la prospettazione unitaria dei due profili (violazione di legge e vizio di motivazione) di per se’ sia foriera di confusione tra gli argomenti dedotti e imponga il massimo di chiarezza e specificita’ delle censure.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

 

 

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