Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4145 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/02/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 21/02/2011), n.4145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10366-2008 proposto da:

I.P.O.S.T. – ISTITUTO POSTELEGRAFONICI GESTIONE COMMISSARIALE FONDO

BUONUSCITA POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PASUBIO 15, presso lo studio dell’avvocato BUZZELLI DARIO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 494/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/04/2007 R.G.N. 738/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato BUZZELLI DARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI MAURIZIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 16 aprile 2007, ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato l’IPOST – Gestione Commissariale Fondo Buonuscita lavoratori Poste Italiane – al ricalcolo dell’indennità di buonuscita corrisposta a M.G., da computarsi al 28 febbraio 1998 in base al trattamento retributivo in godimento alla (successiva) data di cessazione del rapporto di lavoro, e al pagamento delle conseguenti differenze, determinate in Euro 883,45 oltre accessori e spese del grado.

La Corte ha ritenuto di condividere, perchè conforme al tenore letterale delle disposizioni legislative in materia e rispondente a criteri di equità, il principio secondo cui l’indennità di buonuscita del dipendente postale va liquidata sulla base del trattamento economico finale percepito dal lavoratore alla data del collocamento in pensione.

Avverso questa decisione l’IPOST ricorre per cassazione con un motivo.

L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, l’IPOST denuncia violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 53, comma 6, e del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 3, e premessa una sintetica ricognizione degli interventi legislativi che avevano interessato l’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni a far tempo dal 1993, sostiene che il testo della prima norma denunciata impone di ritenere che la buonuscita del dipendente postale, da calcolarsi alla data di trasformazione dell’Ente Poste Italiane in società per azioni (28 febbraio 1998), deve avere come base di computo il trattamento retributivo in godimento a tale data e non quello finale percepito al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Al termine del motivo è stato enunciato il quesito di diritto.

Il motivo è manifestamente fondato alla stregua della recente sentenza di questa Corte 26 novembre 2008 n. 28281, nella quale, sulla scorta anche dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 366 del 2006, il cui contenuto è stato confermato dalla successiva ordinanza n. 444 del 2007, è stato esaminato ogni aspetto della questione, pervenendosi alla conclusione che la data alla quale occorre fare riferimento per il calcolo della buonuscita è quella del 28 febbraio 1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura non più detta indennità ma il trattamento di fine rapporto. In particolare, è stato ritenuto del tutto improponibile il confronto con la normativa che ha disciplinato il passaggio dei dipendenti del disciolto ONMI agli enti locali, trattandosi di situazioni non comparabili. Infatti, mentre a questi ultimi va liquidato un complessivo trattamento di fine servizio di carattere previdenziale, in relazione all’intera durata dell’unico rapporto e in base all’ultima retribuzione percepita presso l’ente di destinazione, con applicazione dei distinti elementi di calcolo previsti, riguardo ai due periodi di lavoro presso l’ONMI e presso gli enti locali, dai rispettivi ordinamenti, per i quali rileva sempre l’ultima retribuzione (Cass., sez. un., 25 novembre 1993 n. 11647 e 8 agosto 1995 n. 8682), ai dipendenti postali spetta il trattamento di fine rapporto, avente natura retributiva, di cui l’importo della buonuscita costituisce soltanto una componente.

L’irrilevanza degli incrementi retributivi successivi al 28 febbraio 1998 deriva anche dal fatto che da tale data non sono più dovuti contributi dal datore di lavoro (art. 53, comma 6, cit.), mentre quelli a carico dei lavoratori, dovuti fino al 31 dicembre 2002 (L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 68, comma 4), non sono più correlati all’ammontare della indennità (Corte cost. n. 259 del 2002). Per quanto riguarda la perdita del potere di acquisto, la Corte costituzionale ha rilevato, a chiusura della sentenza n. 366 del 2006, che la violazione dell’art. 36 Cost. non deriva automaticamente dalla mancata previsione di un meccanismo di adeguamento di una componente del trattamento retributivo complessivo, allorchè la svalutazione monetaria abbia avuto un andamento normale, come accaduto negli anni successivi alla trasformazione dell’Ente Poste in s.p.a.. Alle medesime conclusioni è pervenuta la ancor più recente sentenza di questa Corte 6 agosto 2009 n. 17987.

Il ricorso va dunque accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda del lavoratore.

Quanto alle spese processuali, quelle dei giudizi di merito possono essere interamente compensate fra le parti, ricorrendo giusti motivi in considerazione della novità della questione all’epoca in cui fu instaurata la controversia, e del consolidamento della giurisprudenza di legittimità nei termini di cui innanzi solo di recente.

Quelle del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda; compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna il M. al pagamento, in favore dell’IPOST, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 22,00 per esborsi e in Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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