Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4145 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 09/02/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 09/02/2022), n.4145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21297-2016 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSIO ARIOTTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 139/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/03/2016 R.G.N. 442/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 139/2016, pubblicata il 10 marzo 2016, confermava le decisioni del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda di R.S., dipendente MIUR, volta a far dichiarare l’illegittimità della trattenuta del 2,50% operata dall’Amministrazione sull’80% delle retribuzioni mensili e, per l’effetto, condannare il MIUR alla restituzione delle somme trattenute illegittimamente;

2. la Corte territoriale, al fine di inquadrare correttamente la vicenda in esame, rammentava che la dipendente, assunta successivamente all’1/1/2001, era assoggettata al regime del trattamento di fine rapporto, come stabilito dall’art. 2120 c.c., e dalla L. n. 297 del 1982, e non al “vecchio” regime di t.f.s.;

precisava che la trattenuta operata in busta paga non riguardava il t.f.s. ma era stata determinata dall’Amministrazione con funzione compensativa, essendo stata operata al fine di garantire la parità retributiva tra “vecchi” e “nuovi” assunti secondo le previsioni del D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 1, commi 2 e 3;

ricordava che ai dipendenti MIUR veniva corrisposto il t.f.s. – indennità di buonuscita, e che a tal fine veniva applicato il c.d. contributo per opera di previdenza, ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37, che prevedeva una aliquota del 9,60%, di cui il 2,50% a carico del dipendente;

precisava che, a seguito della riforma del sistema pensionistico italiano, si era stabilito il passaggio dal sistema di calcolo delle pensioni retributivo, basato sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi, a quello contributivo, basato sull’ammontare dei contributi versati;

evidenziava che la L. n. 335 del 1995, in particolare, e le successive disposizioni attuative avevano esteso ai dipendenti pubblici l’istituto del t.f.r. agli assunti a partire dal 1 gennaio 1996 e a coloro che, assunti in precedenza, avevano deciso di aderirvi;

rilevava che, in presenza di un regime di t.f.r., la retribuzione netta non subiva alcuna rivalsa e che, pertanto, la retribuzione netta dei dipendenti in nuovo regime di t.f.r. sarebbe stata superiore agli altri dipendenti in “vecchio” regime di t.f.s.;

rammentava, altresì, che, al fine di ristabilire un regime paritario di retribuzione netta tra tutti i dipendenti, il D.P.C.M. 20 dicembre 1999, in attuazione della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, aveva previsto per il nuovo regime di t.f.r. una riduzione sulla retribuzione lorda in misura pari al contributo previdenziale abolito;

assumeva che la scelta amministrativa non era frutto di una imposizione unilaterale ma era stata avallata dall’Accordo Quadro concluso in materia di t.f.r. per i dipendenti pubblici tra l’ARAN e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative;

riteneva che la trattenuta sul nuovo regime di t.f.r. non fosse dovuta ai sensi della L. n. 152 del 1968, art. 11, e del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37, che opera solo per i dipendenti in regime di t.f.s., ma che tale trattenuta risultasse comunque legittima nel rispetto della invarianza retributiva prevista dalla normativa adottata a seguito del passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo e, dunque, della parità di trattamento tra i dipendenti di “vecchio” e “nuovo” regime;

4. R.S. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo;

5. il MIUR non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con un unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o errata applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 6, e della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, anche in relazione all’art. 45 TUPI, nonché la violazione degli artt. 23 e 36 Cost.;

censura la sentenza impugnata per il significato attribuito all’espressione “invarianza della retribuzione netta” contenuta nella L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19;

sostiene che l’interpretazione della Corte territoriale è in contrasto con lo stesso significato letterale dell’espressione di “invarianza” contenuta nella L. n. 448 del 1998, perché, difatti, la riduzione della grandezza determina un mutamento incompatibile con il termine stesso di “invarianza”;

lamenta la mancata considerazione da parte del Giudice territoriale della circostanza che la L. n. 335 del 1995, dispone una contrattazione per singoli comparti e non per generalizzata applicazione, come previsto invece nel D.P.C.M. 20 dicembre del 1999;

denuncia la irragionevolezza di un raffronto tra i due sistemi di calcolo (t.f.r. e t.f.s.), in quanto non confrontabili perché ontologicamente diversi, e l’irragionevolezza del criterio di parità di trattamento, evidenziando che nel momento del pensionamento dei dipendenti non sussisterà più alcuna disparità tra gli stessi;

lamenta la violazione degli artt. 23 e 36 Cost., sia sotto il profilo della riserva di legge in materia di retribuzione e limitazioni sia sotto quello della irriducibilità della retribuzione;

sostiene che, in ogni caso, non assume rilevanza l’accordo tra ARAN e sindacati, non sussistendo alcuna delega circa la riduzione della retribuzione contrattuale;

2. il motivo è infondato come da precedenti di questa Corte (Cass. n. 23115 del 2019; Cass. n. 25171 del 2019; Cass. n. 25678 dei 2019; Cass. n. 27383 del 2019) ai quali si intende dare continuità;

2.1. come osservato in detti precedenti, la problematica posta con il ricorso è stata esaminata dalla Corte Cost. nella sentenza n. 213 del 2018, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 26, comma 19, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto;

la Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza, né determina la violazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di una sua singola componente;

2.2. né possono trarsi argomenti a favore della tesi del ricorrente dalla precedente sentenza della Corte Cost. n. 223 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente (pubblico) della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37, comma 1;

tra la fattispecie posta all’attenzione del Giudice delle leggi nella decisione del 2012 e quella qui esaminata esistono nette differenze, sia con riferimento ai presupposti fattuali, sia in relazione ai parametri normativi esaminati;

la prima riguarda la posizione di dipendenti in regime di t.f.s., regolamentata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, disposizione (successivamente abrogata, a decorrere dal 1 gennaio 2011, dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 98) che determina, dal gennaio 2011, l’applicazione dell’aliquota del 6,91% sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta del 2,50% a carico del dipendente, in tal modo determinando una disparità di trattamento rispetto a quello applicato ai privati non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro;

in questa sede, invece, ci si riferisce a dipendenti pubblici assoggettati al regime del t.f.r. fin dall’assunzione a tempo indeterminato, per i quali è venuta meno la rivalsa del 2,50%, posto che l’aliquota contributiva del 9,60% è stata posta a carico esclusivo del datore di lavoro, con la conseguenza che la trattenuta del 2,50% (effettuata tramite una riduzione della retribuzione lorda pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso) trae origine dal combinato disposto della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 5, 6, 7, e della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, ulteriormente definiti dalla normativa contrattuale collettiva e regolamentare sopra citata ed ha proprio la finalità dii evitare disparità di trattamento tra dipendenti (pubblici) in regime rispettivamente di t.f.r. e di t.f.s.;

3. segue coerente il rigetto del ricorso;

4. nulla spese in mancanza dello svolgimento di attività difensiva da parte del MIUR;

5. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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