Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4144 del 16/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 16/02/2017, (ud. 30/11/2016, dep.16/02/2017), n. 4144
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29494/2015 proposto da:
T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI
PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA
RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO
D’ADAMO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro temprore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERAI E DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 4381/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,
emesso il 27/11/2014 e depositato il 10/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
30/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.
Fatto
IN FATTO
Con atto notificato il 10.12.2015 T.M. propone ricorso per cassazione avverso il decreto in data 10.12.2014 emesso ai sensi della L. n. 89 del 2001 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012), col quale la Corte d’appello di Lecce aveva riconosciuto al ricorrente la somma di Euro 6.250,00 a titolo di equa riparazione per la durata irragionevole di una causa civile svoltasi innanzi al Tribunale di Foggia, oltre alle spese. Somma, quest’ultima, poi corretta dalla Corte d’appello in quella di Euro 8.250,00 con ordinanza ex artt. 287-288 c.p.c., depositata il 26.5.2015.
A sostegno del ricorso deduce tre motivi d’annullamento (il primo per omessa pronuncia sulla domanda di ristoro dei danni anche patrimoniali, il secondo sulla misura dell’indennizzo liquidato per i danni non patrimoniali e il terzo sull’importo delle spese liquidate a proprio favore).
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso ed eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione perchè proposta oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c..
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso è inammissibile perchè proposto, con atto notificato il 10.12.2015, oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. (come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17) dalla pubblicazione del decreto impugnato, avvenuta il 10.12.2014.
A nulla vale, contrariamente a quanto opina parte ricorrente nella propria memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la circostanza che il decreto sia stato corretto con ordinanza del 26.5.2015; che l’art. 288 c.p.c., comma 4, disponga che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione; e che, dunque, rispetto a quest’ultima data il ricorso sarebbe tempestivo.
Infatti, secondo la giurisprudenza del tutto costante di questa Corte, l’art. 288 c.p.c., comma 4, nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l’errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poichè, in tale ultima ipotesi, un’eventuale correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione (Cass. nn. 22185/14, 19668/09, 22658/04, 11429/96 e 2491/86).
2.1. – Nella specie, è di tutta evidenza l’errore materiale in cui era incorsa la Corte d’appello nell’indennizzare il ritenuto ritardo di nove anni. Infatti, mentre nella motivazione del decreto impugnato è stata esattamente indicata la somma di Euro 8.250,00, così ottenuta in ragione di un moltiplicatore annuo di Euro 750,00 per i primi tre anni e di Euro 1.000,00 un ogni anno successivo al terzo, nel dispositivo era stata, invece, indicata la somma complessiva di Euro 6.250,00.
Evidenza dell’errore, questa, che eliminava ab origine qualsivoglia dubbio sull’effettivo contenuto della decisione.
3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.
5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 800,00 oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017