Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4143 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4143 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 5436-2017 proposto da:
TII3ERIO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO RICCI;

– ricorrente contro
CASSA di RISPARMIO di SAN MINIATO SPA, in persona del
legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato
FABIO PONTESILLI, rappresentato e difeso dall’avvocato
ALBERTO FABBRI;

– controrícorrente nonchè contro
ITALFONDIARIO SPA, TIBERIO MARA;

Data pubblicazione: 21/02/2018

- intimate avverso la sentenza n. 1860/2016 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, emessa il 22/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 13/12/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Ric. 2017 n. 05436 sez. M3 – ud. 13-12-2017
-2-

rilevato che, con sentenza resa in data 15/11/2016, la Corte
d’appello di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto da MPS
Gestione Crediti Banca s.p.a. e dalla Cassa di Risparmio di San
Miniato s.p.a., e in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto
la domanda originariamente proposta dalle banche appellanti per la
dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il

immobili in favore del fratello Antonio Tiberio;
che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha
ritenuto sussistenti i presupposti per l’accoglimento dell’azione
revocatoria originariamente proposta dalle banche attrici, in
considerazione del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie e della
relativa conoscenza, da parte dei disponenti;
che, avverso la sentenza d’appello, Antonio Tiberio propone
ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
che la Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.a. e l’Italfondiario
(quale mandataria di Sestino Securitisation s.r.I., a sua volta
successore di MPS Gestione Crediti Banca s.p.a.) resistono con
controricorso;
che Mara Tiberio non ha svolto difese in questa sede;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla
proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le
parti non hanno presentato memoria;
considerato che, con il primo motivo, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2901
c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte d’appello
erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’eventus damni a
carico delle banche creditrici, tenuto conto della persistenza della
garanzia creditoria in ragione della sostituzione del compendio
immobiliare ceduto da Mara Tiberio con il credito pecuniario riferito al
pagamento del relativo prezzo;
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quale Mara Tiberio (debitrice delle attrici) ha ceduto taluni beni

che il motivo è manifestamente infondato;
che, al riguardo, nel ritenere sussistente il requisito dell’eventus
damni quale conseguenza del negozio dispositivo posto in essere da
Mara Tiberio, la corte territoriale si è correttamente allineata al
consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cui

fondamento dell’azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale
compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma
soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il
soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una
variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una
modificazione qualitativa di esso;
che, a tal proposito, la sostituzione di un immobile con il denaro
derivante dalla compravendita comporta di per sé una rilevante
modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione
della maggiore facilità di cessione del denaro (cfr., ex plurimis, Sez.
3, Sentenza n. 1896 del 09/02/2012, Rv. 621268 – 01);
che, con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale
erroneamente fondato la presunzione dell’esistenza della
consapevolezza del terzo acquirente sulla base di indizi privi di
gravità, precisione e concordanza;
che il motivo è inammissibile;
che, con il motivo in esame, il ricorrente – lungi dal denunciare
l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice

a quo,

della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa:
operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma
di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito,
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questo Collegio ritiene di dover dare continuità), ai sensi del quale, a

la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto
l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza
n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del
30/12/2015, Rv. 638171), non potendo dirsi coinvolta, nella
prospettazione critica del ricorrente, alcuna eventuale falsa

sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso;
che, infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione
delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento
del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il
meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun
modo considerarsi priva,

icto ()culi,

di quella minima capacità

rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento
ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a
fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza;
che, pertanto, nel caso di specie, al di là del formale richiamo,
contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio
di violazione e falsa applicazione di legge,

l’ubi consistam delle

censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi
nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte
territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova
complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le
parti ritenuti rilevanti;
che tale operazione critica appare con evidenza diretta a
censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta,
di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze
probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a
denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il
provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve
ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare
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applicazione della norma richiamata sotto il profilo dell’erronea

come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione,
un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella
ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la
sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del
18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011,

minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della
legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di
fatti decisivi controversi tra le parti;
che, in ogni caso, osserva il Collegio come il motivo risulti
complessivamente articolato in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. con
specifico riferimento ai limiti e ai modi in cui la denuncia di violazione
o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. è
suscettibile di concreta prospettazione in sede di legittimità (cfr. Sez.
3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008, Rv. 603893 – 01; v., altresì,
Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017, Rv. 645496 – 02);
che, in particolare, nel caso di specie, l’odierno ricorrente risulta
aver totalmente trascurato di dimostrare come, con riferimento a
ciascuno dei paradigmi normativi della gravità, precisione e
concordanza, gli stessi sarebbero stati effettivamente violati,
essendosi integralmente sottratto alla necessità di dimostrare la
carenza o l’inidoneità del ragionamento probatorio del giudice a quo a
svolgere, in astratto, quella specifica inferenza logica viceversa
concretamente tratta;
che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la
complessiva manifesta infondatezza delle ragioni d’impugnazione
proposte dal ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso,
cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna
società controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, secondo la liquidazione di cui dispositivo, oltre al

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Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti

pagamento del doppio contributo ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater
del d.P.R. n. 115 del 2002;

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di
ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,

spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro
200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile — 3, il 13 dicembre 2017.

sidente
le Frasca

liquidate, per ciascuna parte, in complessivi euro 4.000,00, oltre alle

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