Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4142 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4142 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 4893-2017 proposto da:
MOCETTI ENZO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 22,
presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, che lo
rappresenta e difende;

– ricorrente contro
CRUCIANI CLAUDIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LAURENTINA 203, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA
BULTRINI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA GIARDINI;

– controricorrente nonchè contro
REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

Data pubblicazione: 21/02/2018

avverso la sentenza n. 392/2016 della CORTE D’APPELLO di
PERUGIA, depositata il 05/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 13/12/2017 dal Consigliere Dott. NIARCO

DELL’UTRI.

Ric. 2017 n. 04893 sez. M3 – ud. 13-12-2017
-2-

rilevato che, con sentenza resa in data 5/9/2016, la Corte
d’appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice
di primo grado ha rigettato la domanda proposta da Enzo Mocetti per
la condanna di Claudio Cruciani al risarcimento dei danni
asseritamente subiti per effetto degli inadempimenti in cui il Cruciani
sarebbe incorso nell’esecuzione dei compiti di consulente tecnico

instaurata a carico del Mocetti;
che al giudizio ha altresì partecipato la Reale Mutua Assicurazioni
s.p.a., chiamata in causa dal Cruciani a fini di manleva;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha
evidenziato l’inammissibilità di talune domande formulate in primo
grado dal Mocetti (siccome proposte tardivamente con la memoria ex
art. 183, co. 6, c.p.c.), rilevando, nel resto, la mancata
dimostrazione, da parte dell’attore, di un preciso nesso di causalità
tra i pretesi inadempimenti del consulente tecnico d’ufficio e il danno
lamentato dall’attore, tenuto conto del carattere meramente ipotetico
della circostanza per cui, ove il consulente avesse espletato
diversamente il proprio incarico, l’attore avrebbe evitato le
conseguenze dannose denunciate;
che, avverso la sentenza d’appello, Enzo Mocetti propone ricorso
per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
che Claudio Cruciani resiste con controricorso;
che la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a. non ha svolto difese in
questa sede;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla
proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le
parti non hanno presentato memoria;
considerato che, con il primo motivo, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione dell’art. 183, co. 6, c.p.c. (in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale
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d’ufficio nominato nel quadro di una procedura esecutiva immobiliare

erroneamente ritenuto che, attraverso le domande proposte con le
memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c., l’attore avrebbe determinato una
sostanziale mutatio libelli, invece di un’ammissibile emendatio libelli;
che il motivo è inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, sulla base dell’onere di

cassazione (previsto, oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma
primo, n. 5, anche per quello di cui al n. 3\ della stessa disposizione
normativa), il ricorrente che denunzi la violazione o falsa applicazione
di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a
specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la
violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto
condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L,
Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);
che, sul punto, è appena il caso di ricordare come tale principio
abbia ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni
Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del
05/07/2013), le quali hanno affermato che la prescrizione dell’art.
366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema
decidendum, attraverso la preclusione per il giudice dì legittimità di
porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle
emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal
ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero
richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella
narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza
n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075);
che il rispetto delle citate disposizioni del codice di rito esige che il
ricorrente specifichi il contenuto dell’atto richiamato, eventualmente
riproducendolo nella sua interezza allegandolo a pena
d’improcedibilità in base alla previsione del successivo art. 369,

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indicazione specifica quale condizione di ammissibilità del ricorso per

comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008, Rv.
605631);
che nella violazione di tale principio deve ritenersi incorso
l’odierno ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso
che lo stesso, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente

domande contenute nella memoria ex art. 186, co. 6, c.p.c., ha
tuttavia omesso di fornire alcuna indicazione circa l’effettivo
contenuto completo degli atti in forza dei quali la corte territoriale
sarebbe incorsa nell’errore denunciato, con ciò precludendo a questa
Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure
formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione
proposto;
che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di dettare
alcuna effettiva motivazione a fondamento della decisione assunta,
con particolare riguardo alla valutazione nel merito della domanda
risarcitoria originariamente proposta dall’attore;
che il motivo è manifestamente infondato;
che, al riguardo, l’articolazione argomentativa dettata dalla corte
territoriale a fondamento della decisione impugnata costituisce un
discorso motivazionale sufficientemente congruo e adeguato, rispetto
al tenore delle domande proposte e della decisione assunta;
che, infatti, la corte d’appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità
di talune pretese tardivamente avanzate dall’attore, in ragione
dell’obiettivo ampliamento del thema decidendum determinato in
sede introduttiva, ha evidenziato, sulla scia della decisione del primo
giudice, come l’attore avesse omesso di fornire alcuna prova
adeguata della circostanza secondo cui l’eventuale condivisione delle
relative argomentazioni avrebbe determinato con certezza un diverso
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rilevato una pretesa mutatio libelli con la proposizione delle ulteriori

esito, con riguardo alle conseguenze dell’azione esecutiva subita dal
Mocetti;
che, pertanto, il rigetto della domanda risarcitoria deve ritenersi
conseguenza della mancata dimostrazione del nesso di causalità tra il
comportamento addebitato al consulente tecnico dell’ufficio e i danni

che, in ogni caso, secondo quanto espressamente dedotto in
motivazione, la corte territoriale ha evidenziato come le
considerazioni fatte proprie dal consulente dell’ufficio erano state
avvalorate e dunque suffragate dalle testimonianze assunte nel corso
del giudizio di primo grado;
che, conseguentemente, il complesso dell’indicato sviluppo
argomentativo deve ritenersi tale da integrare una motivazione piena
ed effettiva della decisione impugnata, dovendo pertanto escludersi la
fondatezza della censura sul punto avanzata dal ricorrente;
che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per avere la corte territoriale fondato la propria decisione
sulla base di un’errata valutazione dei fatti, essendosi limitata a
richiamare le motivazioni della sentenza del giudice di primo grado,
senza procedere a un’adeguata valutazione delle circostanze
sottoposte al suo esame ai fini del riconoscimento del danno
originariamente invocato dall’attore;
che la censura è inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come al caso di specie
(relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del
11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
(quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.I
n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del
quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti”;
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denunciati dall’attore;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza
di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il
sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della
motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto
irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa

cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del
giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale)
o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che
abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi
istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là
dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez.
Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830);
che, pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il
principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito
richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa,
l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile,
siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini
dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato
della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo
all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta
aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un
discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità

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e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di

argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logicogiuridica unicamente rilevanti in questa sede;
che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la
manifesta infondatezza delle ragioni d’impugnazione proposte dal
ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la

delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione
di cui dispositivo;

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore
del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile — 3, il 13 dicembre 2017.

(“TI Pesidente
le Frasca

condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente,

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