Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4141 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 17/02/2021), n.4141

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27490-2016 proposto da:

MACH SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LAZZERI CLAUDIA;

– ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2236/2016 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 21/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Ma.ch. s.r.l. impugnava l’avviso di liquidazione con cui l’agenzia dell’entrate, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, aveva elevato il valore di un fabbricato ad uso autorimessa sito in Roma acquistato con atto del 19 ottobre 2010 da Euro 200.000 ad Euro 630.000. La commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva parzialmente il ‘ricorso riducendo il valore accertato del 25%. La commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello della contribuente e l’appello incidentale dell’agenzia delle entrate sul rilievo che l’Ufficio aveva determinato il valore del bene sulla base dei valori OMI tenendo conto anche delle quotazioni del listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e si era avvalso di indagini finanziarie. Tuttavia i valori indicati dall’Ufficio erano stati correttamente ridotti del 25% dai giudici di primo grado dato che i valori OMI di riferimento riguardavano superfici adibite a box singoli mentre il bene di cui si tratta era un garage seminterrato di vetusta costruzione sito in zona periferica e sul quale si riversavano le acque reflue di un giardino esterno.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a tre motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Sostiene che la CTR ha ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento basato sui valori OMI poichè tali valori erano supportati dalle quotazioni del listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e da indagini finanziarie. Sennonchè l’agenzia delle entrate non aveva mai specificato nel corso del giudizio di quali indagini finanziarie si trattasse e neppure aveva prodotto il listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma. Ne conseguiva che la CTR aveva posto alla base della decisione prove non acquisite al giudizio.

2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 in quanto la CTR ha ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento benchè esso fosse basato sui valori OMI che sono privi di valenza probatoria.

3. Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per carenza di motivazione della sentenza impugnata, non avendo là CTR esplicitato le ragioni per le quali non era attendibile la perizia di parte da cui si evinceva che, in considerazione delle caratteristiche particolari dell’immobile, il valore accertato avrebbe dovuto essere abbattuto del 50%.

4. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato per la ragione che la CTR ha posto alla base della propria decisione un fatto che la contribuente non aveva mai contestato, ovvero che i valori OMI corrispondevano a quelli che si evincevano dalle quotazioni del listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e da indagini finanziarie. Ed invero dalla narrativa del ricorso si evince che la contribuente si era doluta unicamente dell’improprio riferimento ai valori OMI e del fatto che occorreva tener conto della perizia di parte al fine di determinare correttamente il valore del bene oggetto dell’accertamento.

Questa Corte, invero, ha già affermato il principio secondo cui anche nel processo tributario – in quantò caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonchè dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili – è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il processo civile e che trova fondamento non solo nell’art. 115 c.p.c., ma anche nel carattere dispositivo di tale processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nonchè nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 c.p.c., che impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.” senza che assumano rilevanza, in senso contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo (Cass. n. 23710 del 01/10/2018; Cass. n. 1540 del 24/01/2007).

5. Il secondo motivo è parimenti infondato. Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha precisato che: “In tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamehto al diritto dell’Unione Europea; ha eliminato la-presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. n. 2155 del 2019; Cass. n. 9474 del 2017). Il principio è applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea (Cass. n. 11439 del 2018). Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (Cass. n. 25707 del 2015). Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri (Cass. n. 18651 del 2016; Cass. n. 11439 del 2018; Cass. n. 21813 del 2018). Ne consegue che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale ed, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene.

Sennonchè nel caso di specie l’avviso di accertamento non è fondato solo sui valori OMI ma anche sul fatto che essi corrispondevano a quelli che si evincevano dalle quotazioni del Hstino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e da indagini finanziarie. Mette conto considerare che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 prevede che l’ufficio finanziario possa procedere alla rettifica del valore indicato nell’atto con riferimento non solo alle compravendite aventi ad oggetto beni similari o al reddità netto di cui l’immàbile sia suscettibilè ma anche ad ogni ‘altro elemento, sicchè compete al giudice di merito la valutazione della valenza probatoria degli elementi indicati.

Va rammentato, invero, che questa Corte ha precisato che, in tema di imposta di registro e di INVIM, deve escludersi che, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 3, – là dove prevede che l’ufficio, ai fini della rettifica del valore dei beni immobili, può fare ricorso a vari parametri, “nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” -, si configuri un criterio di valutazione non autonomo (alternativo agli altri e idoneo, al pari di essi, a sorreggere l’accertamento), ma semplicemente integrativo rispetto agli altri due criteri in precedenza contemplati dalla norma (il criterio comparativo e quello del reddito). A tal riguardo, l’interposizione della congiunzione “nonchè” non presenta, di per sè, alcuna caratteristica lessicale decisiva, posto che alla menzionata congiunzione non è estraneo il significato di “e anche” (Cass. n. 1961 del 26/01/2018; Cass. n. 2951 del 10/02/2006).

Nel caso di specie la CTR ha ritenuto che il valore fosse stato legittimamente calcolato dall’Ufficio essendo basato sui valori OMI la cui congruità traeva supporto dalle quotazioni del listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e dalle indagini finanziarie.

6. Il terzo motivo è inammissibile. La riforma del 2012 ha l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”. In proposito dovrà tenersi conto di quanto questa Corte ha già precisato in ordine alla “mancanza della motivazione”, con riferimento al requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4: tale “mancanza” si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modi) talmente contraddittorio da non per.mettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009).

Nel caso di specie la CTR ha motivato la decisione dell’abbattimento del valore determinato dall’Ufficio nel limite del 25% avendo ritenuto condivisibili le valutazioni effettuate dalla CTP, per il che non si profila il vizio denunciato.

7. Il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese processuali che liquida in Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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