Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4140 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 18/02/2020), n.4140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26379-2018 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIACCI GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO-COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 1828/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto in data 26 luglio 2018 il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso proposto da Pierre Sabarzona, cittadino del Burkina Faso, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, a sensi dell’art. 1.A della Convenzione di Ginevra, del diritto alla protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, e del diritto alla protezione umanitaria, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, una volta condivisa la valutazione di non credibilità espressa dalla Commissione territoriale, rilevava l’inesistenza di una minaccia grave e individuale nei confronti del migrante, osservava che nel paese di origine del ricorrente non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno che legittimasse il riconoscimento della situazione sussidiaria, non ravvisava ragioni per accordare la protezione umanitaria, dato che un eventuale rimpatrio non avrebbe compromesso l’esercizio dei diritti umani e la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita personale, e, di conseguenza, rigettava le domande proposte;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia Pierre Sabarzona al fine di far valere due motivi di impugnazione;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa;

Diritto

CONSIDERATO

Che:

3.1 il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo di ricorso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione della L. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè dell’art. 32 medesimo testo normativo, violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 nonchè del D.Lgs n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente ed all’omessa attivazione dei doveri informativi officiosi”, assume che il Tribunale di Ancona avrebbe omesso di valutare adeguatamente, alla luce dei criteri indicati dalla sentenza n. 26887/2013 di questa Corte, la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria;

3.2 il motivo è manifestamente infondato;

il ricorrente, nel lamentare che il Tribunale non abbia adeguatamente apprezzato la riconducibilità dei fatti esposti alle condizioni previste dalla legge per il rilascio di una delle misure di protezione richieste procedendo ai controlli a cui fa cenno la decisione citata, consistenti nell’indagine circa il contesto in cui la situazione personale si era verificata, soprassiede sul fatto che nel caso di specie, a differenza che nel precedente citato, il racconto del migrante è stato ritenuto non credibile; la constatazione dell’inverosimiglianza del racconto esimeva il Tribunale dal compiere un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione di carattere pregiudizievole prospettata dal ricorrente;

il giudice infatti, mentre è anche d’ufficio tenuto a verificare – come ha fatto nel caso di specie il Tribunale – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, non può invece essere chiamato (nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo) a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5 (Cass. 3016/2019);

pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione personale persecutoria o di grave danno nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018);

4.1 il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violaione el o falsa applicnione di norme di diritto D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 3 TU Immigrazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, lamenta che il Tribunale non abbia tenuto in adeguato conto – ai fini della concessione della protezione umanitaria, il cui riconoscimento non era limitato alle sole condizioni soggettive del richiedente – del fatto che il rimpatrio non sarebbe potuto avvenire in piena dignità e avrebbe comportato la compromissione di diritti e libertà fondamentali e inviolabili del migrante;

4.2 il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile; 4.2.1 quanto al mancato esame delle condizioni di rientro in Burkina Faso ai fini della domanda relativa alla concessione della protezione umanitaria, se è ben vero che il giudizio di non credibilità della narrazione del richiedente non precludeva di per sè la valutazione di diverse circostanze che concretizzassero una situazione di vulnerabilità (Cass. 10922/2019), occorre tuttavia rilevare che a tal fine non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine;

in vero il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente;

ne consegue che a tal fine non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità;

4.2.2 ciò chiarito è sufficiente poi constatare come, a fronte dell’accertamento del Tribunale circa l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione, il mezzo si limita a deduzioni astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano nella sostanza a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda presentata;

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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