Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4140 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 22717-2010 proposto da:

S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TIZIANA MELONI, giusta delega in calce all’atto di

costituzione di nuovo procuratore, che viene allegato in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, PROCURATORE

GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE PRESSO

LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 20/2010 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

9.4.2010, depositata il 07/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

per il ricorrente è solo presente l’Avvocato Tiziana Meloni.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- S.M. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a quattro motivi – contro la sentenza della Corte di appello di Cagliari depositata il 7.7.2010 con la quale è stato respinto il suo reclamo contro la sentenza del Tribunale che aveva accolto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministro dell’Interno e aveva rigettato il ricorso proposto dal S. contro il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Roma, richiesta perchè aveva ucciso il proprio fratellastro di tre anni, investendolo accidentalmente e per tale motivo era stato oggetto di ripetuti tentativi di omicidio ad opera della madre di bambino ucciso, con l’aiuto di un gruppo di uomini incappucciati armati di coltello.

Il ricorso è stato notificato, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. al ricorrente, al Ministero dell’Interno e al P.G. presso la Corte di appello di Cagliari. Gli intimati non hanno svolto difese.

1.1.- Parte ricorrente ha depositato memoria di costituzione di nuovo difensore (avv. Tiziana Meloni) con revoca del precedente, estensore del ricorso, avv. Luca Salvatore Pennisi, e con procura sottoscritta da S.M. con firma del medesimo autenticata dal nuovo difensore.

2. – Giova preliminarmente dichiarare la inesistenza di nuova costituzione di difensore e la inefficacia della revoca del precedente, posto che l’avv. Tiziana Meloni si è costituita con procura in calce a memoria defensionale e non con scrittura privata autenticata, come imponeva la previsione dell’art. 83 c.p.c. nel testo applicabile ai giudizi quale quello in disamina, che venne proposto in Tribunale il 18.12.2008, instaurati prima della entrata in vigore della nuova norma di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 9, lett. A (4.7.2009). In tal senso è l’orientamento di questa Corte (Cass. 7241 e 17604 del 2010).

2.1.- Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 35 c.p.c., commi 2 e 9 (D.Lgs. n. 25 del 2008?); art. 75 c.p.c.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4 in relazione al D.L. n. 416 del 1990, 39/90.

Deduce che erroneamente il Tribunale ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno e altrettanto erroneamente la Corte di appello ha omesso di rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.. A ciò dovrebbe provvedere la Cassazione ai sensi dell’art. 383 c.p.c. 2.1.1.- Il ricorrente è privo di interesse a dedurre la legittimazione di soggetto, rispetto al quale si è formato il giudicato interno circa il difetto di legittimazione.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e relativo vizio di motivazione perchè la Corte di merito ha dapprima ritenuto necessario richiedere informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale del Paese d’origine del ricorrente e, successivamente, ha ritenuto sufficiente una scheda generale aggiornata al 2008. Quindi ha deciso in assenza di informazioni aggiornate.

2.2.1.- La censura è infondata perchè il provvedimento impugnato da atto delle risultanze degli accertamenti svolti nel senso che “dal 2008” la situazione nel Paese di origine del ricorrente si è normalizzata.

Il ricorrente neppure deduce che via sia stato un successivo peggioramento.

2.3.- Con il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 3 perchè la Corte ha omesso di valutare la documentazione prodotta dal ricorrente.

2.3.1.- La censura è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, non indicando, il ricorso nè quale documentazione sia stata prodotta nè il suo contenuto.

Tra l’altro, la censura attiene alla motivazione.

2.4.- Con il quarto motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e vizio di motivazione circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo la Corte valutato come sufficienti le violenze subite dal ricorrente da una parte dei componenti dell’etnia alla quale appartiene la matrigna (etnia dominante) e la protezione non efficace che potrebbe ricevere dalla giustizia del luogo.

2.4.1.- La Corte di merito ha, con congrua e logica motivazione, adeguatamente giustificato il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, escludendo – con accertamento in fatto – l’esistenza della situazione di pericolo invocata dal richiedente. Il ricorso non censura se non genericamente l’accertamento operato dal giudice del merito, il quale ha correttamente escluso che la protezione umanitaria spetti automaticamente in ogni ipotesi di insussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero di concessione della protezione sussidiaria.

Il nuovo sistema di protezione internazionale, ha introdotto una nuova misura, la protezione sussidiaria che, per le caratteristiche intrinseche ed il regime normativo cui è assoggettata, può ritenersi in parte nuova ed in parte assimilabile, esclusivamente sotto il profilo dei requisiti necessari per il suo riconoscimento, ai permessi di natura umanitaria enucleabili dalla lettura coordinata del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed art. 19.

In particolare, la protezione sussidiaria deve essere riconosciuta quando esiste il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti.

Il riscontro positivo di questa condizione non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio di un permesso di natura umanitaria, di natura temporanea, garantito dall’obbligo di osservare il divieto stabilito nell’art. 3 CEDU, nella lettura fornitane dalla Corte di Strasburgo, rilasciato dal Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, ma da diritto ad una misura di protezione internazionale, stabile, accompagnata da permesso di soggiorno triennale e dalla fruizione di un complesso quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio alle prestazioni sanitarie), direttamente scrutinato dalle Commissioni territoriali. Peraltro la coincidenza di requisiti tra la misura di protezione sussidiaria e i permessi umanitari preesistenti, trova un espresso riconoscimento giuridico nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, comma 4.

La norma prevede che un permesso umanitario, rilasciato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 251 del 2007, su richiesta dell’organo tenuto all’esame dell’istanza dello status di rifugiato, al momento del rinnovo muta il titolo in protezione sussidiaria.

Da questa disposizione discendono due rilevanti conseguenze: la prima riguarda la conferma della pluralità delle forme di protezione internazionale nelle quali trova attuazione l’art. 10 Cost.; la seconda fa emergere il netto favore legislativo per l’esame unico delle condizioni e delle ragioni umanitarie del richiedente asilo.

Con la domanda di protezione internazionale, ancorchè indistinta, il richiedente ha diritto all’esame delle condizioni di riconoscimento delle due misure di protezione internazionale, previste nelle Direttive, ma senza escludere la possibilità del rilascio di un permesso sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali o costituzionali diversi da quelli derivanti dal citato art. 3 CEDU (ormai ricompreso espressamente nella protezione sussidiaria) o da quelli indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale).

Come nel vigore della L. n. 189 del 2002 e del D.P.R. n. 303 del 2004 (L. n. 189 del 2002, art. 1 quater), anche nel nuovo sistema normativo, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, stabilisce che le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (diversi da quelli posti a base del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore, per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. La Corte di merito ha ben sottolineato la specificità della tutela residuale in disamina, nel senso che essa, non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravita e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l’esigenza di protezione).

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese per l’assenza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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