Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4139 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4139 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 12975-2016 proposto da:
LUCHINI 34 SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo studio
dell’avvocato PANCRAZIO CUTELLE’, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANDREA CUTELLE’;

– ricorrente contro
BACCANI MARINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DELLA VITTORIA, 34, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO
NIIRAGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROMOLO FONDI;

– controricorrente avverso la sentenza n. 1189/2016 della CORTE D’APPELLO di
ROALA, del 23/02/2016;

Data pubblicazione: 21/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 13/12/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Ric. 2016 n. 12975 sez. M3 – ud. 13-12-2017

rilevato che, con sentenza resa in data 23/2/2016, la Corte
d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dalla Luchini 34 s.r.l.
avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado ha accolto
la domanda proposta da Marina Baccini per l’accertamento della
scadenza del contratto di affitto di azienda intercorso tra le parti, con

aziendale, oltre al pagamento dei canoni dovuti fino all’avvenuta
riconsegna dei beni;
che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha
confermato la correttezza dell’interpretazione offerta dal primo
giudice in ordine al complesso dei rapporti intercorsi tra le parti,
escludendo la rivendicata connessione del contratto di affitto oggetto
di lite con il contratto di locazione dell’immobile che la Luchini 34
s.r.l. aveva stipulato con la stessa Baccini, unitamente ad Anna Maria
Poeta, per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, con la conseguente
esclusione di alcuna riferibilità della durata dell’affitto di azienda a
quella della ridetta locazione commerciale;
che, avverso la sentenza d’appello la Luchini 34 s.r.l. propone
ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo
d’impugnazione;
che Marina Baccini resiste con controricorso;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla
proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le
parti non hanno presentato memoria;

considerato

che, con l’impugnazione proposta, la società

ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un
fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per
avere la corte territoriale omesso di rilevare l’avvenuta contestazione,
da parte della società ricorrente, in sede di appello,
dell’interpretazione della volontà contrattuale delle parti fatta propria
dal primo giudice, trascurando di procedere all’esame della reale
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la condanna della Luchini 34 s.r.l. alla restituzione del compendio

volontà dei contraenti, allo scopo di individuare la relativa intenzione
di legare la durata del contratto di affitto di azienda oggetto di lite al
contratto di locazione commerciale dell’immobile entro il quale
l’attività imprenditoriale era stata svolta dalla società odierna
ricorrente;
che, sotto altro profilo, la società ricorrente ha sottolineato come

le parti dovesse ritenersi motivo di nullità del contratto ai sensi
dell’art. 1344 c.c., trattandosi di un accordo concluso in frode alla
legge – e segnatamente delle disposizioni concernenti la durata legale
minima della locazione commerciale – tenuto conto dell’avvenuta
istituzione di uno stretto nesso di interdipendenza funzionale tra il
contratto di affitto oggetto di lite e la locazione commerciale
dell’immobile concluso sostanzialmente tra le stesse parti;
che l’impugnazione è manifestamente infondata, quando non
inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come al caso di specie
(relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del
11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
(quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.I
n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del
quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti”;
che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza
di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il
sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della
motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto
irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa
e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di
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la prevista minor durata del contratto di affitto di azienda concluso tra

cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del
giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale)
o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che
abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè

controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi
istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là
dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez.
Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830);
che, ciò posto, l’odierna doglianza della società ricorrente deve
ritenersi inammissibile, essendosi la stessa limitata, non già a rilevare
l’omesso esame, da parte del giudice d’appello, di un fatto storico
decisivo e controverso tra le parti, bensì il preteso omesso esame di
un motivo d’impugnazione proposto dall’odierna società ricorrente,
senza correttamente dolersi dell’eventuale violazione della legge
processuale, e segnatamente dell’art. 112 c.p.c. che impone al
giudice l’esame integrale delle domande proposte dalle parti;
che, peraltro, deve ritenersi che la corte territoriale neppure sia
incorsa nella predetta violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la stessa
sostanzialmente richiamato, condividendone espressamente
l’ispirazione e le argomentazioni poste a sostegno, la motivazione
dettata dal primo giudice in ordine all’assenza di alcun elemento
testuale (o in ogni caso rilevante sul piano interpretativo) idoneo a
giustificare la pretesa connessione funzionale tra il contratto di affitto
oggetto d’esame e il diverso contratto di locazione commerciale
concluso dalla società Luchini 34 s.r.l. con soggetti parzialmente
diversi;
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che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della

che, in ogni caso, pur quando volesse riqualificarsi la censura in
esame alla stregua di una censura di violazione dell’art. 1362 c.c.
(secondo il principio argomentativo deducibile da Cass., Sez Un., n.
17931 del 2013), di essa mancherebbe la sostanza, tenuto conto
dell’assoluta genericità della prospettazione sulla comune intenzione
delle parti e sul relativo comportamento successivo;

circa l’applicazione concreta, da parte dei giudici d’appello, dei
parametri di ermeneutica contrattuale imposti dalla legge, l’odierna
impugnazione deve ritenersi del tutto destituita di fondamento;
che, infine, del tutto inammissibile deve ritenersi la censura critica
avanzata dall’odierna società ricorrente circa l’eventuale nullità del
contratto per frode alla legge, ai sensi dell’art. 1344 c.c., trattandosi
di argomentazione che (oltre a porsi in termini inammissibilmente
generici e apodittici) appare del tutto infondata, siccome legata
all’essenziale riconoscimento del presupposto nesso di
interdipendenza negoziale recisamente negato dai giudici del merito;
che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la
complessiva manifesta infondatezza delle ragioni d’impugnazione
proposte dalla società ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del
ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore
della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità,
secondo la liquidazione di cui dispositivo, oltre al pagamento del
doppio contributo ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in complessivi euro 2.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura

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che, pertanto, in assenza di una compiuta e argomentata critica

del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come
per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile — 3, il 13 dicembre 2017.

articolo 13.

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