Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4133 del 02/03/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4133 Anno 2016
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

SENTENZA
sul ricorso 6874-2011 proposto da:
CONSORZI() EDILE ARTIGIANO CEDA 02195280751,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 28, presso lo
studio dell’avvocato GILDO URSINI, rappresentato e difeso
dall’avvocato FABIO CHIARF_:,LLI, giusta procura a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
PEDONI-i: PIERO, MANCA CARLO, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA CRESENZI 42, presso lo studio dell’avvocato PAOLO
PAGLIARA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO
GALANTE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti

Data pubblicazione: 02/03/2016

nonchè contro
LIACI CARMELO;

intimato

avverso la sentenza n. 20/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/02/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udito l’A-~eitt-e’, i r. .A. ,,Amm,
L -4″
otr , ,124,44utt Pc4

rt.c.~4t ,
Ce44.44 1-14 ;14″,127

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 16/3/1994 i signori Liaci Carmelo, Pedone
Piero, Rizzo Vito, Rossetti Roberto, Manca Mario e Centonze
Salvatore convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, il
Consorzio Edile Artigiano (da ora in poi CEDA), deducendo di aver
stipulato, ciascuno di essi, con il consorzio Ceda un contratto
preliminare di compravendita di un appartamento con relativo box
auto verso il prezzo di lire 70.400.000 fissato in via provvisoria, di cui
lire 60.000.000 coperte da un mutuo agevolato, che il consorzio
doveva stipulare ai sensi della L. 457/78 e della L.R. n. 17/84; che i
vizi di costruzione poi rilevati erano tali da rendere gli immobili
inidonei all’uso cui erano destinati; che il consorzio si era reso
ulteriormente inadempiente in considerazione della mancata
erogazione del mutuo agevolato, facendo gravare sui promittenti
acquirenti un mutuo notevolmente più oneroso con un tasso del
13,75%;
tanto premesso, rassegnavano le seguenti conclusioni:

Ric. 2011 n. 06874

sez. 52 – ud. 04-02-2016 -2-

LECCE, depositata il 18/01/2010;

<> .
Con l’atto di appello gli odierni ricorrenti, oltre a produrre alcuni
nuovi documenti, censuravano la sentenza anche per l’asserito errore
nella quantificazione delle somme da essi corrisposte e di quelle loro
attribuite a titolo risarcitorio.
Sospesa l’efficacia esecutiva della sentenza, con due sentenze parziali
del 27/01/2006 e del 05/09/2007 venivano rigettati i capi di appello
b), c) e d).
Indi, disposta CTU al fine di quantificare l’esatto ammontare delle
somme dovute dagli appellanti a titolo risarcitorio e di quelle da
restituire agli stessi in ragione della risoluzione dei contratti e da porre
in compensazione, la Corte territoriale ha deciso la causa con sentenza
definitiva n. 20/10 del 18/01/2010, con la quale, in parziale riforma
della pronuncia impugnata, ha ridotto le somme poste a carico dei
promissari acquirenti, sulla base delle seguenti considerazioni:

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -5-

e) in via ulteriormente subordinata, nel caso di ngetto dell’appello in ordine alla

1) dalla documentazione prodotta in atti non risultava che CEDA
avesse eseguito pagamenti per oneri finanziari (avuto particolare
riguardo ai costi asseritamente sostenuti per l’avanzamento del
programma di costruzione degli immobili fino all’ottenimento

bancario San Paolo (mutuo che pro quota avrebbero dovuto
accollarsi i promissari acquirenti alla stipula del contratto
definitivo) e che avesse sostenuto costi per una polizza
assicurativa collegata allo stesso contratto di mutuo (peraltro,
non prodotto);
2) con riferimento al Liaci risultavano maggiori pagamenti a titolo
di oneri condominiali, laddove il Pedone aveva dimostrato di
aver effettuato maggiori rimborsi per i canoni acqua;
3) in ordine alla indennità di occupazione degli immobili, il canone
doveva essere calcolato sulla base non della somma mensile di
euro 206,58 imposta a titolo di cauzione agli appellanti quali
custodi degli immobili, in sede di sottoposizione degli stessi a
sequestro giudiziario, bensì, in virtù di quanto previsto dall’art.
29 della convenzione conclusa tra il Comune di Monteroni e
CEDA e delle previsioni della legge n. 865/71, e per l’importo
mensile di euro 90,90;
4) per quanto concerne le somme versate dai promissari acquirenti
a titolo di acconto del corrispettivo pattuito per ciascun
appartamento prenotato, vi erano prove documentali
(rappresentate dalle fatture e dalle ricevute) attestanti maggiori

Ric. 2011 n 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -6-

del finanziamento) connessi al mutuo stipulato con l’istituto

esborsi rispetto a quelli riconosciuti dal giudice di prime cure;
5) erroneamente il CTU aveva portato a decora() alcuni pagamenti
avvenuti in favore dell’amministratore del condominio rispetto
ai quali il consorzio era del tutto estraneo;

le modalità imposte con il provvedimento di concessione del
sequestro giudiziario degli immobili) dovevano ai medesimi
essere restituite, atteso che lo scopo della cauzione era quello di
costituire una garanzia per gli “eventuali danni all’immobile”
che non risultavano essere stati arrecati.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il CEDA, sulla
base di tre motivi.
Hanno depositato controricorso Pedone Piero e Manca Carlo, laddove
non ha svolto difese l’intimato Liaci Carmelo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 366,
comma 1, nn. 2 e 5, c.p.c., per avere il giudice di appello pronunciato
su una domanda nuova.
In particolare, sostiene che, mentre nel giudizio di primo grado le
richieste degli allora attori riguardano esclusivamente la declaratoria di
inadempimento in capo al CEDA per mancanza della licenza di
abitabilità, il riconoscimento di una consegna aliud pro a//o, la richiesta
di risoluzione del contratto di compravendita e la richiesta del doppio
della caparra versata, solo con l’atto di appello i resistenti per la prima

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6) le somme versate dagli appellanti a titolo di cauzione (secondo

volta si erano lamentati che il Tribunale avesse errato nell’accreditare
in deconto

(recte,

in compensazione) taluni importi, avendoli

arbitrariamente ridotti, ed avevano dedotto l’avvenuta effettuazione di
pagamenti (a titolo di acconti sul prezzo finale) in favore del CEDA e

erogante, introducendo una richiesta risarcitoria ben diversa e
maggiore rispetto a quella contenuta nell’originario atto di citazione.
Con riferimento al vizio denunciato, i resistenti hanno controdedotto
che, in realtà, non si sarebbe al cospetto di una domanda nuova, bensì
della disciplina, nel merito, delle conseguenze risarcitorie e restitutorie
richieste dal CEDA e connesse alla domanda riconvenzionale da
quest’ultima proposta.
1.1. Preliminarmente, anche a voler ritenere che il riferimento all’art.
366 (che disciplina profili di inammissibilità del ricorso), anziché all’art.
360, del codice di rito sia il frutto di un mero errore di battitura, è
palese l’inconferenza del richiamo al numero 2 di quest’ultima
disposizione, che attiene alla violazione delle norme sulla competenza.
Avuto riguardo alla inosservanza del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., è, invece,
evidente l’inammissibilità del rilievo, se solo si considergf che il
ricorrente non ha neppure dedotto, sia pure in termini generici, in
quali passaggi motivazionali la sentenza impugnata si rivelerebbe non
coerente dal punto di vista logico e/o non corretta sul piano giuridico.
Del resto, dovendo trovare applicazione

ratione temporis

la precedente

formulazione della disposizione menzionata, non è dato neppure
sapere se il CEDA censuri la pronuncia della corte leccese per omessa

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -8-

l’intervenuto versamento di rate del mutuo direttamente alla banca

o insufficiente ovvero contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per la controversia.
Resta da scrutinare l’aspetto della violazione di norme di diritto che si

sarebbe sostanziata nella inosservanza del primo comma dell’art. 345

1.2. Il motivo si rivela, per quanto di ragione, fondato.
Non è revocabile in dubbio, siccome risultante ex actis, che la corte
salentina, dopo aver condannato gli appellanti al pagamento, in favore
del CEDA, di precise somme a vario titolo determinate ed il consorzio
alla restituzione, in favore degli appellanti, di alcuni importi, ha
proceduto alla compensazione delle rispettive poste, riconoscendo agli
appellanti il diritto ad ottenere in pagamento la somma corrispondente
al credito residuo, laddove in primo grado, all’esito della
compensazione, era risultato un credito in favore del consorzio.
Come è noto, l’elemento distintivo tra la domanda riconvenzionale (la
quale rientra nel divieto dello jus novorum sancito dall’art. 345 c.p.c.) e
l’eccezione riconvenzionale (la quale, alla stregua della precedente
disciplina, poteva essere, invece, proposta per la prima volta in grado
di appello) consiste nel fatto che con quest’ultima vengono avanzate
richieste che, pur rimanendo nell’ambito della difesa, ampliano il tema
della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fine che non sia
quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere
dall’attore un diritto idoneo a paralizzarlo. Con la domanda
riconvenzionale, invece, il convenuto, traendo occasione dalla
domanda avanzata nei suoi confronti, chiede un provvedimento

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -9-

c.p.c.

giudiziale a se favorevole, che gli attribuisca beni determinati in
contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale (cfr. Sez.
1, Sentenza n. 8007 del 26/08/1997, la quale, in una fattispecie simile
a quella in esame, ha confermato l’impugnata sentenza d’appello che, a

contratto di compravendita di un bene immobile e condannato il
compratore al pagamento della penale in compensazione con le
somme ricevute dal venditore ed a fronte della richiesta in appello del
compratore finalizzata all’accertamento di ulteriori somme versate a
titolo di acconto, nonché del valore di alcuni miglioramenti apportati
all’immobile nel periodo in cui lo deteneva, dopo aver qualificato le
richieste del compratore come eccezioni riconvenzionali, le ha
dichiarate ammissibili al solo fine di paralizzare le pretese avversarie,
ma non a quello di condannare la controparte all’eventuale esubero).
E’ parimenti pacifico che la compensazione, comportando un
ampliamento della controversia, può assumere o il carattere di una
eccezione riconvenzionale proponibile anche in un momento
successivo a quello della presentazione della comparsa di risposta nel
giudizio di primo grado ì qualora la deduzione di un controcredito
abbia il solo scopo di paralizzare la pretesa avversaria, ovvero la natura
di domanda riconvenzionale, allorché tenda ad un fine più ampio di
quello della semplice difesa, quando cioè miri- ad ottenere una
pronuncia di condanna nei confronti dell’altra parte (cfr., di recente,
Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012). Tuttavia, l’eccezione di
compensazione corrisponde sempre ad una eccezione riconvenzionale

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seguito della pronuncia di primo grado che aveva dichiarato risolto il

solo allorché venga sollevata dal titolare del credito di importo
maggiore, laddove si configura una domanda qualora pretenda di
ottenere nello stesso giudizio di pagamento dell’eccedenza (cfr., infra
alios, Sez. 3, Sentenza n. 538 del 20/01/1997).

conclusioni rassegnate con il gravame dagli odierni resistenti (che
erano finalizzate a conseguire la declaratoria di risoluzione dei contratti
preliminari per inadempimento del promittente venditore), ha, invece,
accolto la domanda dagli stessi proposta in via ulteriormente
subordinata (“nel caso di rigetto dell’appello in ordine alla domanda
riconveiT.onale di risolnione del contratto, izjòrmare, comunque, /a sentena nei
capi afferenti gli importi liquidati a titolo risarcitorio ed in quelli computati in
compensa.zione, così come sopra specificato (cap. III, C), condannando l’appellato al
pagamento di conguagli in fa’vore degli appellanti”).
Comparando il tenore della domanda accolta con quella proposta in
primo grado, emerge la, sia pur parziale, novità della causa petendi, se si
considera che in quella sede i promissari acquirenti si erano limitati a
chiedere, oltre che la dichiarazione di risoluzione dei contratti
preliminari, il risarcimento del danno in misura pari al doppio della
caparra confirmatoria da ciascuno di essi asseritamente versata e la
restituzione delle sole spese sostenute per rimuovere i presunti gravi
vizi presentati dagli alloggi loro promessi in vendita. Avendo in
appello i promissari acquirenti invocato, operata la compensazione, la
condanna del consorzio al pagamento della differenza a credito, non è

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Orbene, il giudice d’appello, non avendo accolto le prime due

revocabile in dubbio che si sia al cospetto di una domanda nuova,
come tale inammissibile.
Tuttavia, la medesima pretesa integra altresì gli estremi di una
eccezione finalizzata a paralizzare l’avverso credito, con la

dell’art. 345 cod. proc. civ. (nella formulazione antecedente alla
riforma di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, applicabile nella
fattispecie ratione temporis), la proponibilità di eccezioni riconvenzionali
nuove in appello deve ritenersi consentita all’appellante anche nel caso
in cui venga, per l’effetto, ampliato il thema decidendum, purché le
eccezioni formulate nell’atto introduttivo siano dirette all’esclusivo fine
di ottenere la reiezione della domanda avversaria (Sez. 2, Sentenza n.
Uiro
17808 del 30/08/2011). D’altra parte, pur non essendo necessario/
emblematica è, nel senso dell’accettazione dell’eccezione di
compensazione, l’affermazione contenuta a pagina 11 del ricorso: “Solo
la estrema corrette..za dell’odierno ricorrente ha consentito al primo Giudice di
portare in decorato quanto effettivamente versato per il contratto oggetto di giudizio
(…) atteso che, tanto ha sempre richiesto questa difesa chiedendo la condanna di
controparte al netto degli acconti versati e riconosciuti”.
Senza tralasciare che l’istituto della compensazione presuppone
l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle
parti, mentre è configurabile la cosiddetta compensazione impropria
allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico
rapporto, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese importa
soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, potendo

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ucl. 04-02-2016 -12-

conseguenza che trova applicazione il principio per cui, a norma

il giudice procedere, a tal fine, anche in assenza di eccezione di parte o
della proposizione di domanda riconvenzionale, senza, però, essere
investito di poteri officiosi d’indagine quanto all’esistenza dei rispettivi
crediti e permanendo l’onere di allegazione e prova delle rispettive voci

contraddittorio (cfr., tra le altre, Sez. L, Sentenza n. 14688 del
29/08/2012).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la corte territoriale
avrebbe dovuto (e potuto) limitarsi a porre in compensazione i due
contrapposti crediti fino al limite della loro elisione reciproca.
In quest’ottica, il motivo in esame merita di essere accolto, con
conseguente cassazione sul punto della decisione impugnata e rinvio
della causa a diversa sezione della corte salentina, affinché,
uniformandosi al criterio indicato, proceda ad un nuovo accertamento
di fatto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c,, in relazione all’art. 87 disp.
att. c.p.c. (con riferimento all’art. 360, comma 1, nn.
nonché violazione e falsa applicazione dell’art.

1 e 5, c.p.c.),

2712 c.c., con

riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 2 e 5 c.p.c., per avere la Corte di
Appello ammesso 150 documenti nuovi, la cui autenticità all’originale
era stata, peraltro, contestata.
I resistenti hanno, sul punto, controdedotto, di aver prodotto
tempestivamente i documenti già in primo grado e di essersi limitati in
appello solo ad una operazione di nuova iscrizione dell’indice con

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -13-

di credito a carico della parte interessata, nel rispetto del principio del

numerazione analitica degli stessi, prodotti in primo grado con un
indice approssimativo. In ogni caso, hanno sostenuto che, in base alla
regolamentazione all’epoca vigente, non era preclusa in appello la
produzione di nuovi documenti e che, comunque, la sentenza parziale

l’eccezione del consorzio di inammissibilità della documentazione
prodotta dagli appellanti.
2.1. Preliminarmente, il motivo si rivela inammissibile.
Invero, anche a voler prescindere dall’evidentemente erroneo ed
inconferente richiamo al n. 1 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. (che si
riferisce alla censura per motivi di giurisdizione), il rilievo formulato a
fine pagina 12 del ricorso integra, semmai, gli estremi di una falsa
applicazione di norma di diritto (il terzo comma dell’art. 345 c.p.c.),
non avendo il consorzio sollevato alcuna censura dal punto di vista
della correttezza giuridica e della coerenza logico della motivazione.
2.2. Anche sul piano della violazione di norma, il motivo sarebbe
risultato comunque infondato.
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di giudicato interno
sollevata dai resistenti, atteso che con la stessa i promissari acquirenti
hanno fatto riferimento ad una sentenza non definitiva (la n.
1120/2003) che non si concilia con l’epoca di introduzione del
gravame (avvenuta con atto di citazione notificato 1’11.12.2003) e non
coincide con le date (il 27.1.2006 ed il 5.9.2007) in cui sono state
pubblicate dalla corte salentina le due sentenze non definitive. Senza
tralasciare che la circostanza dedotta non giustificherebbe la nuova

Rue. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -14-

n. 1120/2003, che il ricorrente non ha impugnato, aveva disatteso

presa di posizione (sulla tempestività della produzione documentale in
appello) operata dalla corte di merito a pagina 6 della sentenza.
Nel merito, va ricordato che, con riferimento ai giudizi iniziati in
primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995 (nel caso di specie,

quanto al giudizio di appello, a prescindere dall’epoca in cui questo si
svolge, l’art. 345 c.p.c. nella formulazione anteriore alle modifiche di
cui alla legge n. 353 del 1990 e, in particolare, quale risultante per
effetto dell’art. 36 legge n. 581 del 1950. Pertanto, le parti, in presenza
di dette condizioni, possono proporre nuove eccezioni, produrre
nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova,
anche se, qualora la deduzione poteva essere proposta in primo grado,
si applicano, per le spese del giudizio di appello, le disposizioni dell’art.
92 c.p.c. (Sez. 3, Sentenza n. 18488 del 25/08/2006). Invero, in tema
di produzione di nuovi documenti in grado di appello, giusta la
testuale previsione di cui all’articolo 90 della legge 26 novembre 1990
n. 353, “ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le
disposizioni vigenti anteriormente a tale data, nonchè l’articolo 186
quater del cod. proc. civ.”. Poiche, allora, l’articolo 345 c.p.c., che
disciplina l’ammissione di nuovi mezzi di prova nel giudizio di appello,
come riformulato dall’articolo 52 della legge 26 novembre 1990 n. 353,
non è indicato, dal suddetto articolo 90 della legge 26 novembre 1990
n. 353, tra le disposizioni che trovano immediata applicazione ai
giudizi in corso alla data del 30 aprile 1995, nè tra quelle applicabili ai
giudizi pendenti al 1° gennaio 1993, è incontestato che in detti giudizi

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -15-

l’atto di citazione è stato notificato il 16.3.1994) trova applicazione,

devono trovare applicazione “le disposizioni vigenti anteriormente”.
Ne deriva, pertanto, che nei giudizi, come quello di specie, iniziati in
primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995, trova applicazione,
quanto al giudizio di appello, l’articolo 345 cod. proc. civ. nella sua

1990 n. 353, e in particolare,quale risultante per effetto dell’articolo 36
della legge 14 luglio 1950 n. 581 (in tal senso Sez. 2, Sentenza n. 12744
del 29/05/2006).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la produzione di
documenti, anche qualora fosse avvenuta solo con ratto introduttivo
del secondo grado di giudizio, sarebbe risultata ammissibile, potendo
incidere solo sul governo finale delle spese (Sez. 3, Sentenza n. 4189
del 02/03/2004).
2.3. Per quanto concerne la censura attinente alla contestazione della
conformità all’originale dei documenti tardivamente prodotti, il motivo
è all’evidenza inammissibile.
Invero, poiché le nonne poste dal codice civile in materia d’onere della
prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori attengono
al diritto sostanziale, e quindi la loro violazione da luogo ad errores in
indicando, e non in procedendo, nel giudizio di cassazione, in cui l’esame

diretto degli atti da parte del giudice è ammesso solo per la verifica
dello svolgimento del giudizio in conformità al rito, il ricorrente
interessato a far valere la violazione di dette norme ha l’onere di
indicare dettagliatamente gli elementi necessari per la valutazione delle
censure mosse al riguardo, specificando il contenuto delle prove poste

Ric. 2011 n. 06874 sez, 52 – ud. 04-02-2016 -16-

formulazione anteriore alle modifiche di cui alla legge 26 novembre

dal giudice a qua alla base della sentenza impugnata e i motivi della loro
inidoneità legale a fornire il supporto probatorio alla decisione adottata
(Sez. 2, Sentenza n. 1247 del 04/02/2000; conf. Sez. 2, Sentenza n.
8810 del 30/05/2003). Nella specie il ricorrente avrebbe dovuto

ad oggetto la conformità della copia all’originale), anche il modo e
l’occasione della medesima, ai fini della valutazione della sua
fondatezza, ritualità e tempestività.
Del resto, la contestazione della conformità all’originale di un
documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e
generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la
documentazione perché inammissibile ed irrilevante”, ma va operata a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso
l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia
degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Sez. 3,
Sentenza n. 7775 del 03/04/2014).
3. Con il terzo motivo il CEDA si duole della violazione e falsa
applicazione dell’art. 345 c.p.c.,
in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 2 e 5, c.p.c., per aver il giudice di
merito ridotto immotivatamente l’ammontare delle somme dovute dai
resistenti in ragione della protratta occupazione degli immobili.
Sostiene, in particolare, che erroneamente la corte d’appello avrebbe
utilizzato, al fine di calcolare l’indennità da occupazione sin titula, il
parametro contenuto nella Convenzione intercorsa tra il Comune di
Monteroni ed il consorzio (anziché, come aveva fatto il giudice di

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -17-

specificare, oltre che le ragioni della contestazione (nella specie, avente

primo grado, la misura della cauzione fissata in sede di concessione del
sequestro giudiziario), atteso che la predetta convenzione era stata
prodotta tardivamente per la prima volta in appello e traeva origine da
una norma (l’art. 35 della L. n. 865/71) che, oltre ad essere stata

canoni all’interno di un rapporto locativo, e non anche il danno
derivante dall’utilizzo indebito di un immobile.

3.1. Avuto riguardo alle palesi ragioni di inammissibilità del motivo, si
rimanda al paragrafo 1.1.
Nel merito, nessun rilievo viene concretamente mosso alla
motivazione resa sul punto dalla corte di merito, la quale, peraltro,
appare congrua sul piano logico e corretta dal punto di vista giuridico
(cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Senza tralasciare che l’art. 35 L. 865/71 citata non risulta, se si fa
eccezione per alcuni commi irrilevanti ai fini della presente
controversia, essere stato abrogato.
Da ultimo, in ordine all’asserita intempestività della produzione
documentale, si richiamano le considerazioni già sviluppate nel
paragrafo 2.2.

4. In definitiva, il ricorso va accolto, per quanto di ragione,
limitatamente al primo motivo.
In accoglimento del detto motivo, pertanto, la sentenza impugnata va
cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Lecce, la
quale sì atterrà al principio di diritto innanzi enunciato e provvederà
anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Ric. 2011 n. 06874 sez. 52 – ud. 04-02-2016 -18-

sostanzialmente abrogata (dall’art. 3 della L. n. 85/94), disciplinava i

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso;
rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile
della Corte suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2016.
La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione
dell’Assistente di studio, doti- . Andrea Penta.
nsig e estensore

Il Presidente

Il Fun.
Dott.s

.

D—o-na’ te i ií..1 D’

AgiV,

DEPOV O NCANELEIVA

Appello di Lecce.

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