Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4131 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.16/02/2017),  n. 4131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi A. – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per revocazione iscritto al n. R.G. 25970-2015 proposto

da:

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 18, presso lo studio Grez e Associati, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO BASSANO giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI LIVORNO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9323/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

emessa il 26/01/2015 e depositata l’8/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENTI

ENZO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che V.A. ha proposto ricorso per revocazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391 – bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, avverso la sentenza di questa Corte n. 9323 dell’8 maggio 2015, la quale, su ricorso della Provincia di Livorno, ha cassato la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1121 del 2010, che, in parziale riforma della decisione del Tribunale della medesima Città, dichiarava che l’evento dannoso verificatosi il (OMISSIS) a carico della stessa V. (gravi lesioni conseguenti ad una caduta sulla scala principale del palazzo dell’amministrazione provinciale, di cui era dipendente, a causa della presenza sui gradini di una penna o lapis) era ascrivibile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., ad un concorso di colpa della danneggiata nella misura del 20%;

che l’intimata Provincia di Livorno non ha svolto attività difensiva in questa sede;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c. è stata comunicata alla parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la V. stessa ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide, per le ragioni di seguito esposte, la proposta del relatore;

che, con l’istanza di revocazione, si assume che la predetta sentenza n. 9323 del 2015 sia incorsa in un errore di fatto revocatorio, per aver supposto, contrariamente alla realtà processuale, che il “giudice del merito ha accertato: (…) b) che la penna o il lapis non erano stati visti da nessuno degli utenti dello scalone, ivi compresa la stessa V., che poco prima lo aveva percorso in direzione inversa, per recarsi a fare delle fotocopie”;

che, segnatamente, la ricorrente sostiene (e ribadisce con la successiva memoria) che “non esiste alcun accertamento svolto dal Giudice del merito nè quanto al fatto che la sig.ra V. avesse salito a piedi le scale prima di ridiscenderle, nè quanto al fatto che nelle ore precedenti l’incidente altre persone avessero percorso le scale senza avvistare il lapis o la penna”;

che occorre preliminarmente rammentare come l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, (e proponibile anche avverso le sentenze della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 391 – bis c.p.c.), deve consistere in un errore di percezione che deve rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi (tra le altre, Cass., 21 aprile 2006, n. 9396; Cass., 13 gennaio 2015, n. 321);

che, dunque, l’errore di fatto, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, deve risolversi esclusivamente in un vizio di assunzione del “fatto” – sulla base degli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli esaminabili direttamente dalla Corte nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 5 marzo 2015, n. 4456) -, e non in errori di criterio nella valutazione ed interpretazione del fatto, che attengano, cioè, alla valutazione degli atti sottoposti al controllo del giudice (tra le tante, Cass., 3 aprile 2009, n. 8180);

che, nella specie, lo scrutinio sul dedotto errore revocatorio ha come riferimento proprio, ed esclusivamente, il contenuto della sentenza n. 1121/2010 della Corte di appello di Firenze, rispetto alla quale si è misurata la sentenza n. 9323 del 2015 di questa Corte in ordine all’accertamento ascritto al giudice del merito (non essendo consentito al giudice di legittimità un autonomo accertamento dei medesimi fatti);

che nella decisione del giudice di appello non si trova “incontrastabilmente esclusa” e neppure “positivamente stabilita” la verità dei fatti su cui si basa l’istanza di revocazione, così da rendere palese che la citata sentenza n. 9323 del 2015 ha operato una ricognizione interpretativa della ratio decidendi della pronuncia impugnata dinanzi a sè, giungendo alla conclusione che il giudice di secondo grado abbia fatto proprio l’accertamento sulla circostanza sia che “la penna o il lapis non erano stati visti da nessuno degli utenti dello scalone” e sia che la V. lo avesse “poco prima… percorso in direzione inversa”;

che, dunque, non si verte in una supposizione di un fatto, frutto di divergenti rappresentazioni dello stesso, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (cfr. anche Cass., 21 luglio 2011, n. 16003), bensì in una valutazione della portata della pronuncia di gravame da parte della decisione assunta da questa Corte con la sentenza n. 9323 del 2015, che non integra errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4;

che, dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che in assenza di attività difensiva da parte della intimata Provincia, nulla è da disporsi in punto di regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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