Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4129 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4129 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: POSITANO GABRIELE

ORDINANZA
sul ricorso 18991-2016 proposto da:
PISTILLI FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso lo studio del dott. ALFREDO PLACIDI,
rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO SILVIO
DODARO;
– ricorrente contro
PACIELLO MARIO, LADDAGA DOMENICO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA MULI° CLEMENTI 9, presso lo studio
dell’avvocato GIUSEPPE RAGUSO, rappresentati e difesi dagli
avvocati GIUSEPPE TUCCI e DOMENICO L’ANTONIO;

controrkorrenti

avverso la sentenza n. 404/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 05/04/2016;

Data pubblicazione: 21/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’ 08/06/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE

POSITANO.

Ric. 2016 n. 18991 sez. M3 – ud. 08-06-2017
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Rilevato che
con atto di citazione del 12 marzo 2008 mons. Mario Paciello, in proprio e quale
Vescovo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva, nonché legale rappresentante
dell’ente ecclesiastico “Ospedale Francesco Miulli” ed il reverendo Domenico Laddaga,
in proprio e quale delegato del predetto ospedale, evocavano in giudizio, davanti al
Tribunale di Bari, Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti, Francesco Pistilli, in

attraverso manifestazioni scritte delle sue personali opinioni, eccedenti i limiti della
continenza, verità e rilevanza pubblica, avrebbe reiteratamente leso l’onore e
l’autorevolezza morale e religiosa degli attori, anche nella qualità di governatore e
delegato dell’ente ecclesiastico Ospedale Francesco Miulli. Conseguentemente
chiedevano il risarcimento dei danni derivanti dalla subita diffamazione, con
pubblicazione della sentenza e rimozione degli scritti incriminati. Il convenuto
sollevava eccezioni preliminari, chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti
dell’amministrazione comunale e contestava, nel merito, la fondatezza della pretesa;
il Tribunale, con sentenza del 23 gennaio 2012, dichiarava il carattere diffamatorio
delle espressioni in oggetto e condannava il convenuto al pagamento, in favore di
mons. Mario Paciello della somma di euro 50.000 a titolo di risarcimento del danno
non patrimoniale, con ordine al convenuto di provvedere alla pubblicazione della
sentenza, rigettando, nel resto, le domande;
avverso tale decisione Francesco Pistilli proponeva appello, con atto notificato il 30
marzo 2012, ribadendo di avere agito nell’esclusiva qualità di Sindaco della città di
Acquaviva. Si costituivano Mario Paciello e Domenico Laddaga e quest’ultimo spiegava
appello incidentale in relazione al rigetto delle domande risarcitorie;
con sentenza pubblicata il 5 aprile 2016 la Corte d’Appello di Bari accoglieva
l’appello principale, condannando Francesco Pistilli al pagamento della somma minore
somma di euro 30.000 in favore di mons. Mario Paciello, in proprio e quale Vescovo e,
in accoglimento dell’appello incidentale condannava il convenuto a pagare in favore
del reverendo Domenico Laddaga la somma di euro 10.000 a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale, confermando, nel resto, la sentenza e compensando le spese del giudizio di appello;

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proprio e quale Sindaco del Comune di Acquaviva delle Fonti, deducendo che questi,

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Francesco Pistilli sulla base
di tre motivi. Resistono in giudizio con unico controricorso monsignor Mario Paciello e
il reverendo Domenico Laddaga.
Considerato che
con il primo motivo di ricorso Francesco Pistilli lamenta error in iudicando, ai sensi
dell’articolo 360, n. 3, c.p.c. e violazione degli articoli 2043 e 2059 c.c , rilevando che
i danneggiati non avrebbero allegato gli elementi di fatto da cui desumere l’esistenza

e l’entità del pregiudizio, attesa l’inidoneità degli iscritti al ledere l’onore e la
reputazione dei resistenti:
con il secondo motivo lamenta, con riferimento all’articolo 360, nn. 3 e 4 c.p.c ,
error in iudicando con riferimento agli articoli 101 e 102 c.p.c , in quanto gli attori
avrebbero agito per la condanna del convenuto in proprio “e/o” nella qualità di
Sindaco, con conseguente difetto di legittimazione passiva e non corretta
instaurazione del contraddittorio. Gli attori avrebbero dovuto evocare in giudizio anche
il Comune di Acquaviva delle Fonti, con la conseguenza che l’omessa citazione
determina la nullità del procedimento e della sentenza;
con il terzo motivo deduce, in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c, la violazione
delle medesime disposizioni oggetto del primo motivo rilevando che, poiché le
affermazioni diffamatorie sarebbero state già pronunziate da altri soggetti in passato,
troverebbe applicazione la scriminante in tema di interviste dei giornalisti alle persone
di rilievo;
il ricorsoVe inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 3 c.p.c , poiché difetta del tutto

04 –

dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, delle reciproche pretese delle parti, dei
presupposti di fatto e delle ragioni di diritto poste a base delle sentenze di merito,
omettendo del tutto il riferimento al processo di primo e secondo grado, limitandosi a
riferimenti generici e parziali a profili estranei alla vicenda processuale (Cass.
27.4.2015 n. 8483; Sez. 1 – , Sentenza n. 24291 del 29/11/2016, Rv. 642801 – 01);
nelle more del presente giudizio parte ricorrente ha depositato atto di rinuncia agli
atti del giudizio del 5 giugno 2017, ritualmente inviato a controparte in data 6 giugno
2017. La rinuncia non risulta accettata, ma tale circostanza, non applicandosi l’art.
306 c.p.c. al giudizio di cassazione, non rileva ai fini dell’estinzione del processo. La
rinunzia al ricorso per cassazione, infatti, non ha carattere cosiddetto accettizio (che
richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti
processuali – Cass. n. 28675 del 2005) ed inoltre, determinando il passaggio in/
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1

giudicato della sentenza impugnata, comporta il conseguente venir meno
dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass , sez. un , ord , 25 marzo 2013, n.
7378; Cass. 5 maggio 2011, n. 9857). Rimane comunque salva la condanna del
rinunciante alle spese del giudizio (Cass. n. 23840 del 2008). Per le ragioni che
precedono deve essere dichiarata l’estinzione del processo con condanna di parte
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in
dispositivo. La declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità dell’art. 13,

impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già
versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. n. 19560 del 2015).
P.Q.M.
La Corte dichiara la estinzione del giudizio. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in C 3.000,00 per compensi,
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso nella camera di Consiglio della Sesta Sezione della Corte Suprema di
Cassazione in data 8 giugno 2017

comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, relativo all’obbligo della parte

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