Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41273 del 22/12/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2021, (ud. 13/10/2021, dep. 22/12/2021), n.41273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18858/2017 proposto da:

R.B., + ALTRI OMESSI, tutti domiciliati in ROMA

PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO TERRACCIANO;

– ricorrenti principali –

contro

COMUNE DI S. ANASTASIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VELLETRI 21, presso lo studio

dell’avvocato LORENZO MAZZEO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIETTA COLANTUONI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1097/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/2/2017 R.G.N. 4957/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23,

comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020,

n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1097/2017 pubblicata in data 27 febbraio 2017, la Corte di appello di Napoli, decidendo sull’appello proposto dal Comune di Sant’Anastasia nei confronti di R.B. e degli altri ricorrenti indicati in epigrafe, vigili urbani dipendente del Comune suddetto, in riforma della pronuncia del Tribunale di Nola, rigettava la domanda tesa ad ottenere, per il periodo fino all’1/3/2007, le indennità previste dal D.P.R. n. 268 del 1987, art. 17, così come recepite dal c.c.n.l. enti locali dal 13/9/2002 al 28/2/2007 (periodo in cui, a dire dei ricorrenti, il servizio non era articolato in turni) e riteneva che, quanto al danno da usura psicofisica, per il quale i ricorrenti avevano chiesto il risarcimento del danno per l’intero periodo (e cioè anche dall’1/3/2007, in cui il servizio era articolato in turni), fino alla data dei ricorsi, non fosse stato proposto appello incidentale da parte dei lavoratori.

Ricordava la Corte territoriale l’approdo del giudice di legittimità (Cass. n. 8548/2010 e Cass. n. 2888/2012) nel senso della necessità di operare una netta divaricazione tra la situazione del personale che, come quello appartenente alla polizia municipale, espleta l’attività ordinariamente in turni continuativi per evidenti ragioni di rilievo pubblico, spostando la giornata di riposo oltre il settimo giorno e chi – invece – non svolge tali tipi di attività.

Richiamava le previsioni della contrattazione collettiva che prevedevano, per la specifica situazione del lavoro prestato oltre il sesto giorno in caso di prestazione su turni, uno speciale compenso.

Respingeva la tesi della pretesa illegittimità del D.P.R. n. 268 del 1987, art. 17, recepito nel c.c.n.l. enti locali a mente del quale al dipendente che, per particolari esigenze di servizio, non usufruisce del riposo festivo settimanale deve essere corrisposta la retribuzione ordinaria maggiorata del 20% con diritto al riposo compensativo da fruire, di regola, entro quindi giorni e comunque non oltre il bimestre successivo.

Rilevava che attraverso la previsione della corresponsione della maggiorazione retributiva – pari al 20% – le parti collettive avevano inteso compensare la penosità del lavoro domenicale, mentre attraverso la previsione del riposo compensativo e dell’ulteriore maggiorazione del 50%, cumulabile con l’altro beneficio contrattuale, avevano inteso riparare al pregiudizio derivante dalla mancata fruizione del riposo nel settimo giorno consecutivo di lavoro.

Riteneva che, per l’attività prestata la domenica in regime di turnazione, il lavoratore non potesse rivendicare la maggiorazione di cui all’art. 24 del c.c.n.l. Comparto Enti locali 2000 (prevista per esigenze che esulano dall’articolazione ordinaria), ma solo quella di cui all’art. 22, comma 5 (specifica per il personale turnista).

In particolare, assumeva che per l’attività prestata dai turnisti oltre il sesto giorno – dunque, anche di domenica – spettasse solo l’indicata maggiorazione di cui all’art. 22, non cumulabile con quella prevista dall’art. 24.

Evidenziava che le previsioni della contrattazione collettiva erano state rispettate dal Comune e, quanto al danno da usura psico-fisica, rilevava che la relativa statuizione di rigetto emessa in prime cure non era stata impugnata dai lavoratori.

2. Per la cassazione della sentenza R.B. e gli altri vigili urbani hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi cui il Comune di Sant’Anastasia ha resistito con tempestivo controricorso, formulando, altresì, ricorso incidentale.

3. La causa, originariamente fissata per l’adunanza camerale del 23 febbraio 2021, con ordinanza è stata rimessa pubblica udienza.

4. Il procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.

5. Il ricorrente ha depositato memorie in data 11/2/2021 ed in data 7/10/2021.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti principali denunciano la violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Lamentano error in procedendo per non avere la Corte territoriale accolto l’eccezione di nullità o inammissibilità dell’atto di appello del Comune, il cui contenuto non era in alcun modo riferibile alla statuizione di primo grado e alle argomentazioni ivi contenute, nonché la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Rilevano talune incongruenze dell’atto di appello che riportava, come date, affermazioni in realtà non contenute nella sentenza impugnata e faceva riferimento alla regola della turnazione e alle indennità di cui al D.P.R. n. 268 del 1987, art. 13, laddove nella specie i ricorrenti non avevano mai rivendicato indennità di turno festivo, ma solo il mancato riposo settimanale.

Sottolineano che il nuovo testo dell’art. 434 c.p.c., richiede che l’appello contenga l’indicazione delle parti del provvedimento che si intendono gravare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, nonché l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione, requisiti formali non soddisfatti dall’appello dell’amministrazione.

2. Con il secondo motivo denunciano la falsa applicazione dell’art. 22 del c.c.n.l. enti locali 2000 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento sia al comma 2, che stabilisce i presupposti legali perché si verifichi la fattispecie della turnazione, sia al lavoro prestato dai dipendenti, nel periodo 2002-2007, in eccedenza rispetto al normale orario di lavoro dovuto.

Assumono che più volte nel corso del giudizio di merito i lavoratori avevano evidenziato la differenza tra il periodo 2002-2007 e quello dal 2007 in poi e avevano rivendicato l’applicazione dell’art. 24 del c.c.n.l. in relazione al primo periodo, non caratterizzato da turni.

Rilevano che in relazione al suddetto periodo andava valutata la prestazione in eccedenza rispetto al lavoro ordinario, e cioè entro il limite delle 36 ore settimanali previste nel c.c.n.l., sicché non poteva applicarsi l’art. 22 stesso c.c.n.l., relativo a fattispecie del tutto diversa.

3. Con il terzo motivo denunciano la violazione dell’art. 24, comma 1, c.c.n.l. enti locali 2000 nonché del D.P.R. n. 268 del 1987, art. 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e con riferimento alla disciplina che stabilisce la diversa maggiorazione per il lavoro prestato oltre il sesto giorno per particolari esigenze di servizio.

Rilevano che, incontestato essendo il mancato riposo oltre il sesto giorno consecutivo di lavoro, la Corte avrebbe dovuto applicare l’art. 24 del c.c.n.l., e ciò al di fuori e a prescindere dalla turnazione.

4. Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2712 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Lamentano che la Corte territoriale ha recepito in maniera acritica quanto contenuto nella documentazione prodotta dal Comune e lamentano che di tale documentazione e di quella prodotta dai ricorrenti sia stato disatteso il reale contenuto, che depone nel senso dello svolgimento di attività lavorativa oltre il sesto giorno e al di là del normale orario di lavoro.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su una questione demandata alla Corte territoriale inerente al rigetto della domanda sull’usura psicofisica, ritenuta non impugnata e quindi passata in giudicato, nonché violazione dell’art. 2087 e 2109 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per il mancato accoglimento della domanda relativa all’usura psicofisica per il mancato godimento del riposo settimanale per tutto il periodo e, dunque, dal settembre 1997 alla data di deposito di ciascun ricorso.

Richiamano il principio affermato da questa Corte di legittimità (Cass. n. 14085/2014) secondo cui la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni respinte, ritenute assorbite o comunque non esaminate, essendo sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni in una delle difese del giudizio di secondo grado.

Ribadiscono che ogni lavoratore ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposo e che lo stesso è irrinunciabile ed è tutelato dall’art. 36 Cost., dall’art. 2109 c.c. e dall’art. 2087 c.c., oltre che dalle leggi speciali.

Evidenziano che il danno da usura psico-fisica in tal caso è in re ipsa per il solo fatto di una prestazione resa, quantomeno per il periodo 2002-2007, in assenza di una costante programmazione.

6. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.

6.1. E’ noto che ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione deve risolversi in una critica adeguata e specifica della decisione impugnata che consenta al giudice del gravame di percepire con certezza e chiarezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più statuizioni adottate dal primo giudice. In questa prospettiva è stato ulteriormente precisato che il requisito della specificità dei motivi di appello non può prescindere dal contenuto argomentativo della sentenza impugnata richiedendosi che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, (v. tra altre, Cass. 18 settembre 2017, n. 21566; Cass. 10 dicembre 2005, n. 26192; Cass. 17 dicembre 2010, n. 25588). Tali affermazioni devono essere poste in correlazione con il principio secondo il quale quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 13 agosto 2018, n. 20716; Cass. 21 aprile 2016, n. 8069; Cass. 30 luglio 2015, n. 16164). Al fine di consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771). In applicazione dell’indicato principio, in tema di motivo di ricorso per cassazione che censura il ritenuto difetto di specificità del motivo di appello, è stato affermato che la parte ricorrente, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405).

I ricorrenti non hanno adempiuto gli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione impugnata. Risultano, infatti, riprodotte solo talune parti del ricorso in appello, ma non anche la sentenza di primo grado della quale, a pag. 4, è offerta una mera sintesi narrativa.

E’ dunque mancato ciò che era indispensabile al fine di consentire la verifica dell’effettiva pertinenza e specificità delle censure formulate con il ricorso in appello e della loro reale idoneità a costruire un tessuto argomentativo idoneo a contrastare quello posto a fondamento della statuizione impugnata oltre che una chiara evidenziazione di tale contrapposizione ai fini della verifica ex actis del vizio ascritto alla sentenza impugnata, come, invece, prescritto (Cass. 10 luglio 2003, n. 10330).

6.2. Si aggiunga, peraltro, che il principio sopra ricordato in tema di specificità dei motivi di appello è stato da questa Corte affinato con riferimento alla nuova formulazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, per effetto del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. In coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., tale testo novellato è stato interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. Cass., Sez. Un., 16 novembre 2017, n. 27199). Tale approdo giurisprudenziale esclude, comunque, la fondatezza della prospettazione dei ricorrenti nel senso di una attuale più strutturata e formalistica redazione dell’atto di appello attraverso, tra l’altro, la trascrizione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado.

Peraltro, nella specie, la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato che, nel complesso, con l’atto di appello il Comune di Sant’Anastasia aveva rimarcato l’erroneità della motivazione adottata dal Tribunale in conseguenza della mancata considerazione della normale organizzazione lavorativa in turno, propria dei vigili urbani ed ha evidenziato che, nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, ricorrevano le condizioni individuate dalla giurisprudenza costituzionale e dalla Corte di Cassazione per ritenere lecita la cadenza ultrasettimanale del riposo lavorativo.

7. I motivi dal terzo al quarto sono infondati alla luce dei precedenti di questa Corte (Cass. 25 luglio 2016, nn. 15268, 15267, 15266, 15265; Cass. 9 maggio 2017, n. 11262; Cass. 20 luglio 2017, nn. 17997, 17990; Cass. 4 aprile 2018, n. 8208; Cass. 14 agosto 2019, n. 21412) resi in vicende del tutto analoghe e rispetto ai quali non si ravvisano ragioni per mutare l’orientamento già assunto.

7.1. Si premetta che dalla stessa prospettazione di cui al ricorso (v. pag. 3) si evince che nella fattispecie i ricorrenti non avevano usufruito del riposo nel settimo giorno in cui avevano svolto attività lavorativa per le particolari esigenze di servizio, ma ne avevano goduto solo dopo tale scadenza temporale.

Di ciò vi è conferma nella sentenza impugnata (v. pag. 7), da cui si rileva che i ricorrenti avevano dedotto che era stata la mancata fruizione del riposo nel settimo giorno a determinare una maggiore usura psico-fisica e chiesto che fosse dichiarata la nullità della clausola contrattuale che prevede che ai dipendenti che per particolari esigenze di servizio non usufruiscono del riposo festivo settimanale deve essere corrisposta la retribuzione ordinaria maggiorata del 20% con diritto al riposo compensativo da fruire di regola entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo.

7.2. La situazione, in punto di fatto, e’, dunque, del tutto diversa da quella esaminata da questa Corte, a Sezioni unite, con sentenza n. 142 del 7 gennaio 2013, e dalla successiva, conforme, Cass. 1 dicembre 2016, n. 24563 discutendosi, in entrambe le indicate pronunce, di mancata concessione del riposo settimanale e non, come nella specie, di mancato godimento del riposo il settimo giorno (riposo, come detto, comunque concesso ancorché dopo tale scadenza temporale).

7.3. Si rileva, poi, dalla stessa sentenza che la fattispecie in esame è caratterizzata dallo svolgimento di una prestazione lavorativa articolata in turni.

La prospettata assenza di un’attività svolta su turni nel periodo dal 2002 al 2007 (su cui i ricorrenti incentrano prevalentemente le censure e reclamano l’applicazione dell’art. 24 del c.c.n.l.) non trova alcun riscontro negli atti che questa Corte può conoscere nell’ambito della funzione di legittimità alla stessa riservata.

Nella sentenza impugnata, invero, il presupposto fattuale è proprio quello di personale appartenente alla polizia municipale che espleta ordinariamente attività in turni continui per evidenti ragioni di rilievo pubblico (v. pag. 4 della sentenza impugnata).

Inoltre, la Corte territoriale ha specificamente evidenziato che: “e’ incontestato e comunque provato documentalmente dal Comune che i ricorrenti in primo grado prestavano la loro mansione suddivisi su turni specifici; altrettanto incontestato e provato documentalmente, come riportato in sentenza, che gli stessi hanno fruito sia dell’indennità per turno che di quella per lavoro domenicale” (v. pag. 6 della sentenza impugnata).

Il dato, dunque, accertato dal giudice di merito, e quindi la qualificazione dell’attività prestata come lavoro a turni anche nel periodo 2002-2007, non può più essere messo in discussione in questa sede di legittimità.

7.4. Tanto precisato, va ricordato che la dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non riscontrabili nel caso in esame.

7.5. Per il resto, si osserva che non sussiste la denunciata violazione degli artt. 2087 e 2109 c.c. e dell’art. 36 Cost., e neppure la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, sul lavoro a turni e degli artt. 22 e 24 del c.c.n.l. del 14.9.2000 in relazione al pagamento dello straordinario svolto nel giorno domenicale.

7.6. Sulla base delle disposizioni pattizie applicabili (artt. 22 e 24 del c.c.n.l. 14.9.2000): 1.- al dipendente che per particolari esigenze di servizio non usufruisce del giorno di riposo settimanale deve essere corrisposta a retribuzione giornaliera di cui all’art. 52, comma 2, lett. b) maggiorata del 50%, con diritto al riposo compensativo da fruire di regola entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo.

2.- L’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale dà titolo, a richiesta del dipendente, ad un equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario festivo.

3.- L’attività prestata in giorno feriale non lavorativo, a seguito di articolazione di lavoro su cinque giorni, da titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario non festivo. 4.- La maggiorazione di cui al comma 1 è cumulabile con altro trattamento accessorio collegato alla prestazione.

5.- Anche in assenza di rotazione per turno, nel caso di lavoro ordinario notturno e festivo è dovuta una maggiorazione della retribuzione oraria di cui all’art. 52, comma 2, lett. b), nella misura del 20%; nel caso di lavoro ordinario festivo – notturno la maggiorazione dovuta è del 30%.

7.7. Con le sentenze di questa Corte n. 2888 del 24 febbraio 2012 e n. 8458 del 9 aprile 2010 è stato osservato che “le richiamate disposizioni negoziali vanno lette nel senso che al personale turnista che presti attività lavorativa in giornata festiva infrasettimanale, come in quella domenicale, secondo le previsioni del turno di lavoro, spetta solo il compenso previsto dall’art. 22, comma 5, secondo alinea (maggiorazione del 30% della retribuzione)”. “Resta perciò escluso che nell’ipotesi considerata possa farsi riferimento al diverso istituto dello straordinario, che presuppone necessariamente il superamento dell’orario contrattuale di lavoro”. “I primi tre commi dell’art. 24, prendono in considerazione l’attività lavorativa prestata, in via eccezionale ovvero occasionale, in giorni non lavorativi, attività che comporta il superamento del limite di orario settimanale, cosicché, proprio perché individua situazioni non ordinarie, non riguarda i lavoratori inseriti in prestabiliti turni di lavoro che possono essere, conseguentemente, chiamati in via ordinaria a svolgere le proprie prestazioni sia nei giorni feriali non lavorativi (vedi art. 24, comma 3) sia nelle giornate festive, nel rispetto degli obblighi derivanti dalla periodica predisposizione dei predetti turni di lavoro”. “La clausola contenuta nell’art. 24, comma 5, come si evince chiaramente dalla formulazione del testo, si riferisce proprio al caso del dipendente che, fuori delle ipotesi di turnazione, ordinariamente, in base al suo orario di lavoro, è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative di notte o in giorno festivo settimanale (come nel caso di dipendente che vi sia tenuto in base ad una particolare programmazione plurisettimanale dell’orario di lavoro, ai sensi dell’art. 17, comma 4, lett. b) del c.c.n.l. del 6.7.1995) e gli assicura una maggiorazione di retribuzione compensativa del disagio, dimostrando così come t’articolo in questione non concerna la regolamentazione del lavoro secondo turni”.

Ne segue che “per i lavoratori in turno, deve trovare applicazione la sola speciale disciplina dettata dall’art. 22, mentre l’art. 24, ha ad oggetto fattispecie lavorative ed ipotesi diverse dal turno. Soltanto il lavoratore in turno chiamato a prestare, in via eccezionale ovvero occasionale, la propria attività nella giornata di riposo settimanale che gli compete in base al turno assegnato, ovvero in giornata festiva infrasettimanale al di là dell’orario ordinario, ha diritto all’applicazione della disciplina dell’art. 24, comma 2”.

L’art. 24 contempla, ai primi tre commi, l’ipotesi di eccedenza, in forza del lavoro prestato in giorno non lavorativo, rispetto all’orario normale di lavoro, mentre l’art. 22 compensa il disagio del lavoro secondo turni, turni nei quali possono cadere giornate festive infrasettimanali, ma senza che la prestazione ecceda il normale orario di lavoro (cfr. Cass. n. 8458/2010 e n. 2888/2012 cit. ed anche Cass. n. 23646/2012 e recentemente Cass. n. 14038/2014).

Solo quando la prestazione dei turnisti ecceda l’orario normale, l’indennità richiesta, in ipotesi di mancata fruizione del riposo compensativo, si cumula con il compenso di cui all’art. 22 c.c.n.l..

7.8. Come rilevato dal giudice di merito, con accertamento in fatto in questa sede non censurabile, il caso in esame rientra nella previsione dell’art. 22 citato e dunque nulla spetta non essendosi realizzate le condizioni per l’applicazione della diversa disposizione collettiva.

7.9. Ne’ è ravvisabile la violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1 (di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro). La disposizione contiene la definizione del lavoro per turni da intendersi “qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane” e di lavoratore a turni (qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni).

Inoltre, del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 9, anche nella sua versione originaria, prevede specifiche deroghe alla regola, fissata dal comma 1, del necessario godimento ogni sette giorni di lavoro di un giorno di riposo, di norma coincidente con la domenica. Dette deroghe risultano giustificate o dalla particolare natura dell’attività esercitata o dall’intervento della contrattazione collettiva, autorizzata ad intervenire, purché nel rispetto del limite di cui all’art. 17, comma 4, dello stesso decreto (secondo cui ai lavoratori devono essere accordati periodi equivalenti di riposo compensativo).

7.10. L’interpretazione sopra illustrata non si pone in contrasto con tutele costituzionalmente rilevanti ovvero con principi unionali.

7.11. La Corte Costituzionale, già nelle pronunce n. 146 del 1971 e n. 101 del 1975, ha ritenuto che l’art. 36 Cost., comma 3, garantisce al lavoratore un diritto perfetto e irrinunciabile al riposo settimanale e tuttavia precisato che, col termine “riposo settimanale”, il costituente ha inteso esprimere sostanzialmente il concetto della periodicità del riposo, nel rapporto di un giorno su sei di lavoro, senza con ciò escludere la possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità ed alla varietà di tipi del lavoro, sempreché si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi, e comunque “non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso”.

La Corte Cost. ha rimarcato che, poiché l’esercizio del diritto del lavoratore al riposo periodico va regolato in modo assai vario, per essere adattato alle esigenze di lavori di ogni specie, e poiché non c’e’ una riserva di legge, la relativa disciplina può essere disposta non solo da norme di legge, ma anche da contratti collettivi aventi forza di legge, da altri contratti sia collettivi che individuali, o da regolamenti.

7.12. Si aggiunga che la Corte di giustizia UE sez. IL 9 novembre 2017, n. 306, al punto 46, ha precisato, con riferimento alla direttiva 2003/88 concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, che “risulta dalla citata direttiva, in particolare dal suo considerando 15, che la stessa concede anche una certa flessibilità nell’attuazione delle sue disposizioni. Difatti in essa sono contenute varie disposizioni, come quelle indicate al punto 34 della presente sentenza, che consentono di derogare, mediante misure compensative, ai periodi minimi di riposo prescritti, segnatamente per le attività di lavoro a turni o per le attività caratterizzate dalla necessità di garantire la continuità del servizio o della produzione. Inoltre, come risulta dal punto 42 della presente sentenza, l’art. 16, lett. a), della direttiva 2003/88 stabilisce che gli Stati membri possono prevedere un periodo di riferimento più lungo per l’applicazione dell’art. 5 della stessa, relativo al riposo settimanale. In ogni caso, l’obiettivo perseguito da tale direttiva di garantire un’adeguata protezione della salute e della sicurezza del lavoratore, pur lasciando agli Stati membri una certa flessibilità nell’applicazione delle disposizioni che essa prevede, risulta parimenti dal tenore letterale stesso di detto art. 5, come è stato dichiarato al punto 41 della presente sentenza”.

8. Il quinto motivo è inammissibile.

8.1. I ricorrenti non hanno trascritto la sentenza di primo grado, senza di che questa Corte non può valutare se effettivamente sia intervenuto un parziale giudicato interno.

8.2. Peraltro, da quanto si evince dalla sintesi narrativa del ricorso per cassazione, gli stessi ricorrenti hanno differenziato le domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio distinguendo tra una domanda intesa ad ottenere le maggiorazioni retributive (per il solo periodo 2002-2007) ed una domanda di risarcimento (per l’intero periodo).

Come si rileva dalla sentenza qui impugnata il giudice di prime cure aveva accolto solo la prima (la condanna pronunciata afferiva solo alla maggiorazione retributiva), ma non anche la domanda di risarcimento del danno (si vedano anche i passaggi della sentenza del Tribunale trascritti dal Comune controricorrente).

Ciò esclude l’applicabilità del principio di cui a Cass. 14085/2014 invocato dai ricorrenti, che non potevano considerarsi totalmente vittoriosi. Si richiama, sul punto, Cass. 6 aprile 2021, n. 9265 secondo cui: “Soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle, mentre la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda od eccezione di cui intende ottenere l’accoglimento ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa” (si veda in senso conforme Cass. 13 maggio 2016, n. 9889).

9. Con il ricorso incidentale il Comune di Sant’Anastasia denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., eccesso di potere, violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, difetto di ultrapetizione, motivazione perplessa, abnorme.

Assume che i ricorrenti non avevano mai lamentato di non essere stati adeguatamente retribuiti né tantomeno dedotto di avere diritto alla maggiorazione retributiva riconosciuta dal giudice di prime cure per il periodo dall’1/3/2007.

10. Il ricorso è inammissibile.

Sussiste una evidente carenza di interesse considerato che la Corte d’appello, pronunciando sull’impugnazione del Comune di Sant’Anastasia, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato le domande (tutte) proposte in primo grado dagli appellati.

11. In conclusione il ricorso principale va rigettato e quello incidentale va dichiarato inammissibile.

12. L’esito del ricorso principale e di quello incidentale consentono di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

13. Va dato atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021

 

 

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