Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4127 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.16/02/2017),  n. 4127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DIPAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28795-2013 proposto da:

D.A. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIERLUIGI PAU, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

GTT S.P.A.- GRUPPO TORINESE TRASPORTI – P.I. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

DIEGO DIRUTIGLIANO, LUCA ROPOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 388/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/05/2013 R.G.N. 1319/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI IRENE;

udito l’Avvocato SALIMBENI MARIA TERESA per delega Avvocato RAFFAELE

DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 388/13, depositata il 10 maggio 2013, rigettava l’impugnazione proposta da D.A. contro la società Gruppo Torinese Trasporti spa, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Torino, n. 125 del 2012.

2. Il Tribunale, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dal lavoratore avente ad oggetto la declaratoria della illegittimità delle sanzioni disciplinari inflitte allo stesso nell’arco temporale da maggio 2006 a febbraio 2009, nonchè il provvedimento in data 5 marzo 2012 di esonero dal servizio, con la reintegra nel posto di lavoro, la condanna alla restituzione delle somme versate a titolo di multa, il risarcimento dei danni patiti quantificati in Euro 250.000,00, in relazione alla reiterata condotta vessatoria posta in essere nei suoi confronti dai propri superiori.

2.1. Il D. era operatore di esercizio, contratto collettivo nazionale lavoro autoferrotranvieri, con mansioni di addetto alla conduzione dei mezzi di linea della società stessa.

I provvedimenti oggetto di impugnazione erano i seguenti:

1) due ore di multa per avere: a) in data (OMISSIS) anticipato gli otto minuti di arrivo del bus a capolinea, con conseguente disservizio; b) in data (OMISSIS), richiesto per sei volte la sostituzione del mezzo in dotazione, adducendo anomalie risultate inesistenti o comunque tali da non pregiudicare la corsa, con conseguente disservizio;

2) quattro ore di multa, per avere il (OMISSIS) urtato un’autovettura privata a seguito di cambio di corsia senza l’osservanza delle dovute cautele, cui aveva fatto seguito un diverbio con dei passanti che avevano assistito al sinistro;

3) un giorno di sospensione per non avere il (OMISSIS) completato la corsa fino al capolinea ed effettuato la successiva partenza, ponendo così in atto una reazione sproporzionata rispetto al fatto iniziale che lo aveva occasionato, costituito dal richiamo di un utente, per l’uso del cellulare vicino al posto di guida, e dal successivo diverbio con lo stesso;

4) tre giorni di sospensione per avere: a) in data (OMISSIS) scaricato il contenuto dell’estintore di un bus su persona con cui poco prima aveva avuto un diverbio; b) il (OMISSIS) impedito a due utenti in carrozzina di salire sul mezzo pur essendo dotato di pedana idonea; c) in data (OMISSIS) condotto il bus in dotazione con velocità eccessiva e pericolosa, così da urtare lo spartitraffico e da creare disagio agli utenti.

5) due ioni di sospensione per avere in data (OMISSIS) serrato una signora tra battenti della porta del bus e quindi inveito nei confronti di alcuni utenti intervenuti a commentare il fatto;

6) dieci giorni di sospensione per essere in data (OMISSIS) sceso dal bus con motore acceso per alcuni controlli preliminari, determinando così l’avvio del mezzo, privo di autista, e la successiva collisione e distruzione del chiosco di manovra, nonchè il ferimento di un addetto;

7) due giorni di sospensione, per avere il (OMISSIS) opposto rifiuto alla prosecuzione del servizio, dopo aver fatto salire una carrozzella motorizzata di utente disabile, dotata di sistemi di stazionamento del tutto efficienti, ritenendo (a suo dire) di non essere in grado di assicurarla alle cinture di sicurezza;

8) due giorni di sospensione per avere il (OMISSIS) disatteso la richiesta degli addetti al servizio infrastrutture di uscire dalla corsia riservata in cui erano in corso lavori, travolgendo così la segnaletica ivi presente, con grave pregiudizio per la sicurezza d’esercizio;

9) quattro ore di multa per avere in data (OMISSIS), chiesto la sostituzione del bus, ritenendo il sedile del posto di guida non funzionante, risultato, peraltro, del tutto idoneo alle successive verifiche, cagionando in tal modo disservizio;

10) due giorni di sospensione per avere in data (OMISSIS) disatteso due volte la disposizione di collocarsi fuori servizio essendo in forte ritardo ed accodato e inoltre per aver insultato e minacciato il superiore della centrale operativa;

11) un giorno di sospensione per essersi il 15 dicembre 2008 assentato dal lavoro per malattia, senza fornire la relativa giustificazione.

A tali sanzioni disciplinari aveva fatto seguito il 5 marzo 2009 il provvedimento di esonero dal servizio adottato dalla società in riferimento ad entrambe le ipotesi di cui al R.D. n. 148 del 1931, art. 27, comma 1, lett. d), all. A (scarso rendimento e palese insufficienza imputabile a colpa dell’agente nell’adempimento delle funzioni del proprio grado), esonero fondato sui comportamenti tenuti dal lavoratore, di cui sopra, analiticamente descritti e su un ulteriore episodio verificatosi il (OMISSIS), allorchè il ricorrente: a) chiedeva la sostituzione del bus in dotazione denunciando otto anomalie e malfunzionamenti risultati inesistenti alle verifiche; b) attraversava l’incrocio corso (OMISSIS) con il semaforo rosso con pregiudizio per la sicurezza d’esercizio; c) giungeva al capolinea di largo Tabacchi con anticipo di cinque minuti; d) effettuava l’attraversamento dell’incrocio di piazza (OMISSIS) con il semaforo rosso con pregiudizio per la sicurezza di esercizio.

3. Il Tribunale applicava l’art. 96 c.p.c., comma 3.

4. La sentenza di primo grado era confermata dalla Corte d’Appello, che riteneva fondati gli addebiti ed escludeva l’intento persecutorio.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore, prospettando quattro motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso il Gruppo Torinese Trasporti spa.

7. In prossimità dell’udienza pubblica la società ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, attesa la relativa eccezione sollevata dalla controricorrente, occorre rilevare la tempestività del ricorso, in quanto la sentenza di appello veniva depositata il 7 maggio 2013, e la notifica del ricorso medesimo veniva richiesta all’UNEP, tempestivamente, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., in data 7 novembre 2013, mentre in data 8 novembre 2013, quando il diritto era già stato esercitato, interveniva solo la spedizione a mezzo del servizio postale con racc. a.r..

2. Tanto premesso può passarsi all’esame dei motivi del ricorso.

3. Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2699 c.c., dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 6 della Convenzione EDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto assolto l’onere della prova a carico del datore di lavoro attraverso “la copiosa documentazione in atti” pur trattandosi di documenti provenienti dallo stesso datore di lavoro e in contraddizione con il principio per il quale (Cass., n. 17254 del 2011) nessuno può precostituire una prova a favore di sè stesso e per avere su questi presupposti, condannato a titolo di sanzione o “condanna accessoria automatica” il lavoratore.

Nella fattispecie in esame, si era in presenza di prove redatte e formate dalla parte che intendeva valersene in giudizio, che sono state ritenute sufficienti a fondare il giudizio del giudice di merito, escludendo la possibilità del lavoratore di esercitare il diritto di difesa.

Nè alla soccombenza poteva accedere la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, che richiede, invece, mala fede o colpa grave.

3.1. Il motivo è inammissibile quanto alla doglianza relativa alla prova documentale in quanto privo della indicazione delle proprie allegazioni che non sarebbero state considerate e delle specifiche ragioni di inadeguatezza della prova documentale medesima in ragione delle modalità di formazione e provenienza, limitandosi il ricorrente a dedurne, genericamente, la redazione da parte della GTT e la relazione al procedimento disciplinare, escludendone, sempre in modo complessivo e non circostanziato, la fede pubblica o la provenienza da terzi.

Tale carenza di autosufficienza si rileva, altresì, laddove si consideri che la Corte d’Appello, statuendo sulla richiesta di rimessione in istruttoria formulata poichè la documentazione prodotta sarebbe stata redatta formata e proveniente solo dalla parte che se n’era avvalsa in giudizio, ha affermato che il Tribunale aveva correttamente ritenuto ultronee le istanze istruttorie del ricorrente atteso che si trattava di documentazione acquisita progressivamente dalla società in occasione dei procedimenti disciplinari, consistente in accertamenti tecnici condotti sulle vetture a fronte delle molteplici segnalazioni da parte del lavoratore di anomalie sui mezzi in dotazione, che avevano consentito di verificare l’inesistenza dei guasti lamentati; relazioni di servizio redatte dagli addetti al monitoraggio degli agenti che erano presenti sui mezzi di linea condotti dagli appellanti; relazioni intervenute in tempi diversi e da parte di soggetti differenti, della centrale operativa SIS, preposta al controllo e coordinamento dei movimenti degli autobus e che registra gli spostamenti e le comunicazioni con l’autista; gli esiti di verifiche, accertamenti e prove tecniche effettuati dalla Commissione di inchiesta in occasione del grave episodio verificatosi presso il deposito San Paolo; le innumerevoli segnalazioni e denunce effettuate dagli utenti anche a seguito di diverbi ed accesi contrasti. La Corte d’Appello quindi, correttamente riteneva che tale documenti non erano formati unilateralmente, ma acquisiti e raccolti dalla società, provenienti da fonti diverse estranee all’azienda, da parte di soggetti della cui attendibilità non vi era motivo di dubitare, di volta in volta coinvolti: nelle denunce dell’azienda del comportamento inadempiente del dipendente, nelle segnalazioni di condotte insubordinate, o nelle verifiche effettuate in occasione delle richieste di intervento o sostituzione per i lamentati guasti ai mezzi; ed in particolare occorreva far riferimento ai passeggeri, che nessun interesse avrebbero avuto nel formulare le proprie doglianze nei confronti dell’appellante, o degli operai addetti ai lavori nel cantiere sulla corsia di servizio che lamentavano il rischio per la loro sicurezza, o dei diversi operatori di volta in volta in servizio presso la centrale operativa SIS o ancora dei componenti della Commissione di inchiesta che operano quale organo collegiale.

Quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, si rileva che la Corte d’Appello ricordava (pag. 8 della sentenza di appello) che il Tribunale aveva ritenuto sussistere responsabilità aggravata tenuto conto: della particolare gravità e temerarietà dell’azione intrapresa, dell’essere la stessa già stata ampiamente valutata da un organo di garanzia, quale il Consiglio di disciplina, della proposizione di domanda risarcitoria di elevato valore economico (Euro 250,000,00) correlata a denuncia del datore di vessazioni, proposta anche in sede penale, dell’essere tale denuncia destituita di fondamento, fondandosi sul preteso esercizio abusivo del potere disciplinare, rivelatosi in realtà corretto. Quindi (pag. 21 della sentenza di appello), ha ritenuto che correttamente il giudice di primo grado avesse respinto le domande ravvisando comportamento valutabile ai sensi della suddetta disposizione a fronte della strumentale richiesta risarcitoria, peraltro per una somma ingente, esclusa l’asserita condotta vessatoria che sarebbe stata posta in essere dai superiori nei confronti del lavoratore, attesa la fondatezza delle plurime contestazioni disciplinari, la eterogeneità delle segnalazioni provenienti, in molti casi, anche da soggetti estranei alla realtà aziendale, nonchè l’assenza di intenti persecutori come emergeva dalla scelta di sanzionare con sanzioni conservative anche comportamenti di indubbia gravità che avrebbero consentito anzitempo l’adozione del provvedimento di esonero.

Tale statuizione, pertanto, che non riconduceva la condanna, ex art. 96 c.p.c., comma 3, come peraltro disposta dal Tribunale, alla mera soccombenza, non è stata specificamente e adeguatamente censurata dal ricorrente, che non ne contesta la ratio decidendi, come sopra esposta.

4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione o falsa applicazione del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 27, comma 1, lett. d), per aver ritenuto che il licenziamento soggettivamente imputabile è da valutarsi in tutto e per tutto come esonero per scarso rendimento il R.D. n. 148 del 1931, ex art. 27, lett. d) e non licenziamento disciplinare.

Assume il ricorrente che l’intervenuto esonero per scarso rendimento, in effetti sostanziava un licenziamento disciplinare.

L’art. 27 del regolamento, allegato A al R.D. n. 148 del 1931 al comma 1, lett. d), stabilisce: “Oltre ai casi di cui alle disposizioni speciali relativi agli agenti in prova ed a quelli previsti nel precedente articolo, l’azienda può far luogo all’esonero definitivo dal servizio degli agenti stabili:

d) per scarso rendimento o per palese insufficienza imputabile a colpa dell’agente nell’adempimento delle funzioni del proprio grado”.

In proposito, la Corte d’Appello ha statuito che detta disposizione si riferisce all’organizzazione del lavoro e al buon andamento del servizio ed i comportamenti del lavoratore, che pure singolarmente considerati potrebbero avere anche una valenza disciplinare, vengono tuttavia in rilievo sotto l’aspetto oggettivo della incidenza sulla regolarità del servizio. Nella specie la condotta del lavoratore risultava caratterizzata da scarso rendimento e palese insufficienza imputabile a colpa dell’agente nell’adempimento delle funzioni del proprio grado.

Sull’applicazione di tale disciplina, si può ricordare come la giurisprudenza di questa Corte, nel vagliare la perdurante vigenza del suddetto regolamento, allegato A al R.D. n. 148 del 1931, ha rilevato non un’abrogazione tout court della speciale disciplina di cui al citato R.D. n. 148 del 1931, bensì la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti nell’ipotesi in cui la relativa specifica regolamentazione risulti incompatibile con il sistema in generale e tanto proprio tenuto conto del progressivo avvicinamento del sistema dei trasporti pubblici e del relativo rapporto di lavoro al regime privatistico, della contrattualizzazione del pubblico impiego e, soprattutto, dell’immanenza nel nostro ordinamento giuridico, con riferimento al rapporto di lavoro, di principi fondamentali anche di livello comunitario che devono presiedere nell’esegesi delle norme disciplinanti qualsiasi rapporto di lavoro (Cass., Sezioni Unite, sentenza 27 luglio 2016, n. 15540).

Tanto osservato, si rileva che la doglianza, tuttavia, non è accompagnata dalla esposizione delle ricadute giuridiche e fattuali che si determinerebbero in ragione di un diverso inquadramento giuridico della fattispecie, risultando pertanto non apprezzabile sotto il profilo della rilevanza della stessa.

5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

per avere respinto la doglianza dell’appellante per la quale l’istruttoria di primo grado s’era svolta sulla sola documentazione redatta, formata e proveniente dalla stessa parte che se n’è avvalsa in giudizio, sulla base della constatazione che era agli atti una consistente produzione di documenti non formati unilateralmente dalla parte appellata bensì acquisiti dalla società quando la parte appellata era ed è stata proprio la società;

per aver ritenuto che la documentazione redatta, formata e proveniente dalla stessa parte che se n’è avvalsa in giudizio in realtà provenisse da terzi estranei al processo;

per avere ritenuto che l’istruttoria non sia svolta sulla sola base della documentazione redatta, formata e proveniente dalla stessa parte che se n’è avvalsa in giudizio, ma ritenendo che il Giudice possa fondare la decisione sulla base di relazioni tecniche prodotte dalla parte quando la relazione tecnica, anche ove sia prodotta dalla parte, non è un atto di parte e quando nessuna relazione tecnica di parte estranea al giudizio è mai stata prodotta in giudizio e per avere reso nello stesso contesto questa e le precedenti affermazioni (sub a e sub b) completamente antitetiche.

5.1. Il motivo è inammissibile in ragione dei principi enunciati da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza del 7 aprile 2014, n. 8053, con cui è stato affermato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Dunque, per le fattispecie ricadenti ratione temporis nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge. La legge in questo caso è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Perchè la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).

Ciò non ricorre nel caso in esame, atteso che il giudice del merito, come si è rilevato nel vagliare il primo motivo di ricorso ha compiutamente motivato sulle ragioni che facevano ritenere correttamente formata, nel rispetto dei principi dell’onere della prova e del diritto di difesa, ed esaustiva la prova documentale.

6. Con il quarto motivo di ricorso è prospettata nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

per aver considerato assolto l’onere della prova a carico del datore di lavoro in virtù della documentazione redatta, formata e proveniente dalla stessa parte che se n’è avvalsa in giudizio, senza aver consentito che lo stesso lavoratore potesse fornire la prova contraria ovvero diretta quale eccepente;

per avere ritenuto sforniti di prova gli assunti dell’appellante nonostante non sia stato consentito allo stesso appellante di poter dare la prova dei suoi assunti;

per avere ritenuto e consentito che lo stesso appellante dovesse essere condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, non solo quale condanna accessoria alla soccombenza ma quale condanna determinata dal fatto che gli addebiti mossi dalla parte appellata GTT spa dovessero considerarsi provati mentre gli assunti del lavoratore erano rimasti sforniti di prova;

per avere respinto la domanda del lavoratore finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., in quanto sfornita di prova e per non aver consentito al lavoratore di dare la prova del danno.

6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto le doglianze relative alla violazione della disciplina delle prove in relazione al diritto di difesa e alle ricadute processuali anche sulle spese di lite, sono dedotte in modo generico, non potendosi ritenere che l’inserimento, in premessa, nel ricorso di legittimità del complessivo contenuto degli atti del processo, possa investire questa Corte di un riesame ex novo della vicenda che non sia mediato da specifiche e rituali censure di cui sia posta in luce la rilevanza.

Occorre rilevare che il ricorrente (pag. 93- 95 del ricorso), nello svolgimento degli argomenti a sostegno del quarto motivo di impugnazione (di cui a pagg. 82 e 83 del ricorso), nel dolersi della mancata possibilità di dare la prova dei propri assunti, richiama le contestazioni d’addebito e le deduzioni di prova del lavoratore indicate nella “superiore espositiva nelle pagine da 3 a 15”, dunque del ricorso per cassazione, senza circostanziarle, affermando che sul punto è stato omesso ogni esame o richiamo da parte della Corte d’Appello che si sarebbe limitata a trascrivere le contestazioni di addebito e a ritenere provate le stesse in ragione della documentazione della GTT spa. Tali pagine del ricorso per cassazione, tuttavia, riportano quanto dedotto nel ricorso di primo grado dinanzi al Tribunale, così come di seguito è poi riportata la sentenza di primo grado, nonchè i motivi dell’appello (pagg. 39-61 del ricorso) e la sentenza di appello (pagg. 61-80 del ricorso per cassazione).

Come questa Corte ha già statuito (Cass. n. 18363 del 18 settembre 2015, n. 3385 del 22 febbraio 2016), in tema di ricorso per cassazione, la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicchè è sanzionabile con l’inammissibilità, atteso che, come sopra esposto, proprio il richiamo a tali documenti integralmente riprodotti, nel motivo di ricorso esclude una autonoma autosufficienza del motivo.

Va considerato, inoltre come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., n. 15367 del 2014), che il potere – dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali è condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, nel loro contenuto rilevante.

7. Il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro tremilacinquecento per compensi professionali, oltre euro duecento per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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