Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4126 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 18/02/2020), n.4126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34479/2018 R.G. proposto da

S.L. e S.P., rappresentati e difesi dall’Avv.

Rossano Pisanello;

– ricorrenti –

contro

Società Cattolica di Assicurazione coop. a r.l., rappresentata e

difesa dall’Avv. Fabio Alberici, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, via delle Fornaci, n. 38;

– controricorrente –

e nei confronti di:

P.M.A. e D.V.G.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 817/2018,

depositata il 24 agosto 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 novembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da S.L. e P. nei confronti di P.M.A. per i danni subiti in conseguenza del sinistro occorso in data 21/8/2003 allorquando il primo, all’epoca minore, rimase ferito per aver appoggiato il piede sulla pedana della giostra – di proprietà e gestita dal convenuto – mentre questa era in movimento: sentenza pronunciata in contraddittorio anche con la Società Cattolica di Assicurazione S.p.A., succeduta alla Duomo Uni One Assicurazioni S.p.A., chiamata in garanzia dal P., e di D.V.G., madre di S.L., a sua volta chiamata in causa dalla predetta compagnia d’assicurazione.

La Corte territoriale infatti – pur ritenendo, difformemente dal primo giudice, che la riconduzione della domanda, alternativamente, alle previsioni di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., non integrasse inammissibile mutatio libelli – ha, da un lato, quanto alla prima prospettazione causale, ritenuto che l’attività del giostraio “non costituisca sic et simpliciter esercizio di attività pericolosa, dovendosi il carattere della pericolosità accertarsi nel concreto, caso per caso, rispetto alla specifica tipologia dell’attrazione”, pericolosità nella specie non dimostrata; dall’altro, quanto alla seconda impostazione, rilevato che “all’attenta comparazione tra le acquisizioni istruttorie penali e quelle civili, non risulta affatto certo – come sostengono gli attori – che S.L. sia salito sulla giostra mentre la stessa si trovava in stato di fermo, azionandosi in movimento allorquando il S. aveva appoggiato il piede sulla pedana, così rimanendo con la gamba sinistra incastrata dalla pedana fissa e quella in movimento”.

2. Avverso tale decisione S.L. e P. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste la Società Cattolica di Assicurazione coop. a r.l., depositando controricorso.

Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno inviato memoria a mezzo posta.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Occorre preliminarmente rilevare che la memoria fatta pervenire a mezzo posta dai ricorrenti è da considerarsi irrituale, giusta il consolidato principio di diritto, secondo cui: “L’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito delle memorie di cui agli artt. 378 e 380-bis c.p.c., comma 2, e art. 380-bis. c.p.c., sia perchè tale previsione, per la sua natura speciale rispetto alle normali attività di deposito degli atti nel giudizio di cassazione, è da reputarsi insuscettibile di applicazione analogica, sia, gradatamente, perchè, essendo il detto deposito diretto esclusivamente ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo rispetto alla udienza di discussione e negli altri due rispetto all’adunanza della Corte, ritenuto necessario dal legislatore, l’applicazione dell’art. 134 cit., finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare detto scopo” (v. in termini, ex multis, Cass. 22/10/2018, n. 26551; e anteriormente Cass. 10/04/2018, n. 8835; 19/04/2016 n. 7704; 04/01/2011, n. 182; 04/08/2006, n. 17726).

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c..

Lamentano che il convincimento della imputabilità del sinistro a caso fortuito (per essere il minore salito sulla giostra improvvisamente mentre questa era in movimento) scaturisce in sentenza dalla valutazione di risultanze probatorie acquisite nel processo penale celebrato a carico di P.M.A. e di P.M., al quale essi non avevano partecipato, senza che sia spesa una parola sulla deposizione dei testi escussi nel processo civile (cui invece – assumono – avrebbe dovuto assegnarsi prevalenza, anche in ragione della diversità dei criteri che presiedono alla valutazione della prova nel giudizio civile e in quello penale).

3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 2050 e 2051 c.c., per avere escluso la responsabilità del custode della giostra nonostante fosse stato provato il nesso causale tra questa e il danno.

Assumono che è stato in giudizio dimostrato che S.L., aderendo a una richiesta dell’amico suo coetaneo P.G., è salito sulla giostra mentre questa era ferma e che, solo dopo che egli ebbe appoggiato il piede sulla pedana, essa si mise in movimento.

4. Con il terzo motivo denunciano infine, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2050 e 2051 c.c., per omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio.

Lamentano la contraddittorietà della motivazione, osservando che “se la giostra non è oggetto intrinsecamente pericoloso, la sua utilizzazione da parte di minori è fisiologica ed impone in chi la gestisce una maggiore vigilanza e, pertanto, è assolutamente irrilevante se la stessa fosse o non in movimento, avendo il custode l’obbligo di vigilare comunque anche per prevenire eventuali movimenti maldestri dell’utente”.

5. Il primo motivo è inammissibile, sotto due profili.

5.1. Si appalesa anzitutto inosservato l’onere di specifica indicazione degli atti ivi genericamente richiamati, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

I ricorrenti si limitano invero a richiamare, del tutto genericamente, i documenti (verbale dell’assunzione di prove nel giudizio penale) e le prove testimoniali acquisite nel giudizio civile, su cui poggiano le svolte argomentazioni critiche, senza debitamente riprodurne il contenuto nel ricorso – per la parte che interessa in questa sede – ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; Ma v. già, Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

5.2. E’ poi dedotta l’inammissibilità di prove acquisite in processo penale in contrasto con l’opposto principio costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale, mancando nell’ordinamento processuale vigente una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove c.d. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle prove raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, e persino delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (v. ex aliis Cass. 20/01/2017, n. 1593); non può infatti ritenersi condizione indefettibile, perchè dette prove atipiche trovino ingresso nel processo civile, che le stesse si siano formate nel contraddittorio delle stesse parti del giudizio civile, dovendosi considerare sufficiente che, nel contraddittorio di queste, si svolga comunque l’apprezzamento del loro rilievo probatorio nel raffronto con le restanti risultanze probatorie (v. ex aliis Cass. 04/07/2019, n. 18025; 01/09/2015, n. 17392; 20/01/2015, n. 840; 25/02/2011, n. 4652).

Ancor meno pertinente si palesa poi il richiamo alla diversità del criterio di valutazione delle prove, afferendo esso ovviamente alla giustificazione razionale del convincimento del giudice e non già al giudizio di ammissibilità delle prove.

6. Sono altresì inammissibili, per aspecificità, il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili.

Entrambi, invero, non si confrontano con la ratio decidendi che si fonda sul positivo accertamento dell’esclusiva addebitabilità dell’evento a caso fortuito, costituito dalla condotta imprevedibile del minore.

Viene anzi chiaramente postulato un accertamento di fatto opposto a quello contenuto in sentenza, assumendosi in ricorso, in termini meramente assertivi/oppositivi al contrario accertamento operato dai giudici a quibus, privi come tali di alcun rilievo censorio, che il minore sia salito sulla giostra mentre questa era ferma.

7. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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