Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 412 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 27/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5811/2014 proposto da:

M. ARREDAMENTI DI M.L.S. E M. SNC, in

persona del liquidatore arch. M.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato DANIELE CIUTI, rappresentata e difesa dall’avvocato

FEDERICO CALLEGARO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SEAC LEASING SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore rag.

B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, V. ALBENGA 45, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO COLINI, rappresentata e difesa dagli

avvocati MASSIMO AMADORI, GIOVANNI DIES giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3841/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato DANIELE CIUTI per delega;

udito l’Avvocato MASSIMO AMADORI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ricorso per decreto ingiuntivo la Seac Leasing Spa chiedeva al Presidente del Tribunale di Trento di ingiungere il pagamento della somma di Lire 95.792.578 alla M. Arredamenti s.n.c. di M.L., S. e M. esponendo che: a) in data (OMISSIS) Seac Leasing aveva stipulato con O.M., titolare della ditta “Pizzeria Sandra”, un contratto di leasing avente ad oggetto arredamento e attrezzatura del locale, forniti dalla M. Arredamenti; b) contestualmente la M. Arredamenti aveva prestato garanzia a favore di Seac Leasing; c) l’utilizzatore O. non aveva mai pagato alcuna rata; d) a fronte della richiesta di adempimento dell’obbligo di garanzia assunto dalla M. Arredamenti, quest’ultima, a seguito di trattative intercorse con la Seac, aveva provveduto a versare Lire 18.500.000 e a rateizzare il debito residuo ma era rimasta inadempiente.

Emesso il Decreto Ingiuntivo 17 aprile 1993, n. 474, la M. Arredamenti propose opposizione, a cui resistette la Seac Leasing.

Il Tribunale di Trento, con sentenza n. 293/2001, revocò il decreto ingiuntivo e, accertata l’inadempienza della Seac all’obbligo di consegnare i beni oggetto del contratto di leasing, la condannò alla restituzione della somma di Lire 18.500.000, oltre interessi e spese di lite.

2.- Propose appello la Seac insistendo per la conferma del decreto ingiuntivo o in subordine, per la condanna della M. Arredamenti al pagamento di ogni somma dovuta in base al rapporto di garanzia o in base agli accordi successivamente intercorsi fra le parti per il riacquisto dei beni oggetto del contratto di leasing.

La M. Arredamenti si costituì, chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte di appello di Trento, con sentenza n. 253/2003, rigettò l’appello e condannò la Seac al pagamento delle spese processuali.

3.- A seguito di ricorso per cassazione proposto da Seac Leasing S.p.A., cui resistette la M. Arredamenti s.n.c. con controricorso, questa Corte, con sentenza 7 gennaio 2008 n. 859, accolse il ricorso e cassò la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Milano.

La Corte di Cassazione ritenne che la sentenza non avesse ben motivato sul fatto se fosse stato, o meno, raggiunto l’accordo tra le due società affinchè la società fornitrice, M. Arredamenti, in adempimento del proprio obbligo di garanzia, riacquistasse, dalla società di leasing, i beni frattanto acquisiti al fallimento dell’utilizzatore, O.M. (fallimento dichiarato con sentenza del 28 gennaio 1991). Con la conseguenza, come si legge nella motivazione della sentenza n. 859/2008, che ” se deve essere escluso un accordo fra Seac Leasing e M. Arredamenti per la riacquisizione dei beni oggetto del contratto di leasing, la posizione della M. nei confronti di Seac Leasing non poteva che rimanere quella di garante con la conseguente irrilevanza della mancata consegna dei beni da parte della Seac e inesistenza di un obbligo di quest’ultima di riacquisizione dei beni stessi.

Se invece l’accordo deve ritenersi concluso nel senso che le parti stabilirono un subingresso della M. nel contratto di leasing ovvero un semplice ritrasferimento dei beni alla ditta fornitrice in conseguenza della risoluzione del contratto di leasing, è necessario accertare, sulla base di una ricostruzione della qualificazione giuridica dell’accordo, in che modo le parti previdero tempi e modi di trasmissione dei beni e valutare conseguentemente se vi fu un comportamento inadempiente ascrivibile alla società di leasing tale da giustificare il rifiuto di adempiere alle obbligazioni di pagamento assunte dalla società acquirente (o subentrante nel contratto di leasing)”. La Corte, cassata perciò la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Trento, rinviò a diverso giudice d’appello, designato nella Corte d’appello di Milano, “per la ricostruzione di tali circostanze e la coerente ed esaustiva qualificazione giuridica di esse”.

4.- Riassunto il giudizio da parte della Seac Leasing S.p.A. e costituitasi la M. Arredamenti s.n.c., in liquidazione, la Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, in riforma della sentenza del Tribunale di Trento del 12 marzo 2001, ha rigettato l’opposizione proposta dalla M. Arredamenti ed ha confermato il Decreto Ingiuntivo n. 474 del 1993, emesso dal Tribunale di Trento, con condanna della società opponente al pagamento delle spese dell’intero giudizio in favore della società opposta e condanna della M. Arredamenti alla restituzione delle somme pagate dalla Seac Leasing in forza delle sentenze di primo e di secondo grado, provvisoriamente esecutive.

Il giudice di rinvio ha ritenuto “inequivocamente dimostrata la circostanza per cui la M. Arredamenti… omissis abbia chiaramente manifestato la propria volontà di riacquistare i beni oggetto del contratto e che tale proposta sia stata accettata dalla Seac con conseguente perfezionamento del patto di riacquisto…omissis…”. Reputato così raggiunto l’accordo di riacquisto, il giudice l’ha qualificato come “negozio accessorio di garanzia”, in forza del quale sarebbe spettato alla garante M. attivarsi efficacemente per il ritiro dei beni, non essendovi alcun obbligo di riconsegna in capo alla società di leasing, e gravando invece sulla società fornitrice e garante il rischio connesso al mancato recupero. Ha perciò ritenuto irrilevante il sopravvenuto fallimento dell’utilizzatore e, rigettata l’opposizione, ha confermato il decreto ingiuntivo, relativo a somme che il giudice ha affermato essere dovute dalla Arredamenti M. in forza degli obblighi di garanzia assunti, a prescindere dal mancato recupero dei beni oggetto del patto di riacquisto.

5.- Avverso la sentenza M. Arredamenti s.n.c. di M.L., S. e M., in liquidazione, propone ricorso basato su sette motivi, illustrati da memoria.

Seac Leasing S.p.A., in liquidazione, si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata dell’opponente di dichiarare l’invalidità, la nullità o l’annullabilità della garanzia, per violazione dell’art. 1938 c.c. e dichiarare sciolta la M. Arredamenti dal relativo impegno contrattuale, con la revoca dell’opposto decreto ingiuntivo “anche e comunque con riferimento alla liquidazione dell’interesse illegale, quantificato in misura usuraria”, con condanna della controparte alla restituzione della somma già pagata di Lire 18.500.000, oltre interessi.

1.1.- Col secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4 e art. 1815 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La ricorrente sostiene che, confermando il decreto ingiuntivo, il giudice di rinvio, che ha confermato anche la condanna al pagamento di interessi di mora superiori al tasso soglia, quindi usurari, avrebbe così violato le norme indicate in rubrica. Aggiunge che la L. n. 108 del 1996, sarebbe applicabile, anche se sopravvenuta alla stipulazione del negozio di garanzia, perchè il limite all’applicazione retroattiva sarebbe dato dalla risoluzione del rapporto, che nella specie non si è avuta.

2.- I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la connessione delle questioni concernenti gli interessi di mora, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

E’ infondata la censura concernente l’omessa pronuncia in merito alla dedotta nullità della garanzia ex art. 1938 c.c. Va ribadito, riguardo all’art. 112 c.p.c., che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado; tale violazione non ricorre invece nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (così Cass. n. 16254/12 e n. 452/15).

Questa situazione processuale si è avuta nel caso di specie, dal momento che il giudice di rinvio, pur non prendendo espressamente in esame la fattispecie dell’art. 1938 c.c., ha ricostruito l’obbligazione di garanzia assunta dalla M. Arredamenti come relativa ad una somma di denaro (definita come il “prezzo” del riacquisto) che il giudice stesso ha chiarito essere determinabile a priori anche in ragione del suo criterio di calcolo, specificato in sentenza nei seguenti termini: “secondo il “valore dei canoni insoluti e a scadere”, ove per stabilire l’importo del “riacquisto” era previsto di fare riferimento al canone mensile moltiplicato un coefficiente relativo al numero dei canoni mancanti alla scadenza del contratto”. Palese è l’incompatibilità di questa motivazione con l’assunto che stava a fondamento della domanda subordinata dell’allora opponente a decreto ingiuntivo, secondo cui la garanzia sarebbe stata prestata per un somma indeterminabile nel suo importo massimo. Pertanto, a prescindere dalla questione concernente l’applicabilità dell’art. 1938 c.c., nel testo sostituito dalla L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 10, la sentenza impugnata contiene un rigetto implicito della domanda di invalidità fondata sulla norma predetta.

2.1.- Il primo motivo è invece inammissibile nella parte in cui denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda con la quale sarebbe stata fatto valere il carattere usurario degli interessi, atteso che, riportando soltanto le conclusioni, e non la corrispondente causa petendi (peraltro contestata dalla resistente), il motivo appare privo di specificità in merito alla domanda sulla quale sarebbe stata mancata la pronuncia.

2.2. – In ogni caso, si sarebbe trattato di domanda infondata, per come è fatto palese dall’infondatezza del secondo motivo, da esaminarsi anche in ragione della rilevabilità officiosa del carattere usurario degli interessi.

L’infondatezza del motivo consegue all’applicazione del principio di diritto, richiamato anche dalla resistente, secondo cui “A seguito della norma di interpretazione autentica recata dal D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 24, i criteri fissati dalla disciplina, oggetto dell’interpretazione anzidetta, introdotta dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, in ordine alla determinazione del carattere usurario degli interessi, non possono essere applicati a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore, senza che rilevi, in senso contrario, la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, le quali non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni di credito” (così Cass. n. 9532/10, in una fattispecie, analoga alla presente, relativa ad interessi moratori convenzionalmente stabiliti in un contratto di leasing stipulato nell’anno 1989 e risolto nell’anno 1993; cfr. nello stesso senso anche Cass. n. 1748/11, citata nel controricorso, e Cass. n. 11632/10 e n. 6550/13).

Il principio risulta applicabile poichè il contratto di garanzia venne stipulato tra la società fornitrice e la società di leasing in data 13 ottobre 1988 ed il decreto ingiuntivo per cui è processo venne emesso in data 17 aprile 1993. Pertanto, quanto meno a quest’ultima data, è da ritenere che il rapporto si fosse esaurito e fossero rimaste inadempiute le obbligazioni della garante nei confronti della società garantita. Contrariamente a quanto si sostiene in ricorso l’esaurimento del rapporto prescinde da una pronuncia costitutiva della risoluzione del contratto, essendo sufficiente che il rapporto sia pervenuto alla naturale scadenza contrattuale ovvero che, verificatosi l’inadempimento dell’obbligazione garantita, sia stato escusso il garante, a nulla rilevando che l’inadempimento di quest’ultimo sia, a sua volta, oggetto di lite pendente.

La sentenza sopravvenuta di questa Corte, del 17 agosto 2916 n. 17150, menzionata nella memoria di parte ricorrente, non smentisce il principio sopra richiamato quanto all’inapplicabilità della disciplina di cui alla L. n. 108 del 1996, ai rapporti completamente esauriti alla data di entrata in vigore della legge, che anzi espressamente ribadisce. Nè la fattispecie del rapporto di durata, quale è quello di conto corrente, oggetto di quest’ultima pronuncia, è assimilabile al rapporto di garanzia, il cui esaurimento, come detto, va fissato alla data di escussione della medesima. In conclusione, i primi due motivi del ricorso vanno rigettati.

3.- Col terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1955 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, al fine di censurare l’affermazione della Corte d’appello secondo cui il fallimento dell’utilizzatore “è un elemento ininfluente, rispetto agli obblighi di garanzia assunti dalla M.”. La ricorrente assume che, a causa del comportamento della società garantita, la stessa ricorrente, in qualità di garante (cui sarebbe applicabile l’art. 1955 c.c.), avrebbe perso la possibilità di surrogarsi nei diritti della Seac Leasing nei confronti della ditta O.M..

3.1.- Col quarto motivo, censura analoga viene avanzata come vizio di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, perchè la Corte d’appello non avrebbe chiarito le ragioni del giudizio di cui sopra.

3.2.- Col quinto motivo, rubricato come “mancata considerazione di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, la ricorrente torna a censurare l’asserita mancata considerazione, da parte del giudice, del fatto che non avrebbe potuto esercitare il proprio diritto di surroga nelle ragioni della Seac Leasing. Sostiene che quest’ultima, per non ledere il diritto della garante, avrebbe dovuto presentare domanda di rivendica ed insinuarsi per i canoni scaduti nel fallimento della ditta di O.M., in forza del decreto ingiuntivo ottenuto contro quest’ultimo; pertanto, l’accertamento della mancata presentazione della domanda di insinuazione al passivo – che invece è mancato- avrebbe dovuto condurre il giudice di rinvio a dichiarare l’estinzione della fideiussione, con conseguente liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1955 c.c..

4.- I motivi, che vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, non meritano di essere accolti.

L’art. 1955 c.c., la cui applicazione è invocata col primo motivo, non è affatto applicabile al negozio accessorio di garanzia così come ricostruito dal giudice a quo. La Corte d’appello ha reputato irrilevante il fallimento dell’utilizzatore proprio perchè non vi è alcuno spazio di operatività della surroga prevista dall’art. 1955 c.c.: il giudice di rinvio ha ritenuto, spiegandone le ragioni, che la Seac Leasing non fosse gravata dell’obbligazione di consegnare alla fornitrice i beni oggetto della vendita e quindi del leasing, nemmeno a seguito della volontà manifestata dalla prima di voler procedere al loro riacquisto. In particolare, ha configurato il patto di riacquisto come “caratterizzato dall’elemento dell’accessorietà, nel senso che il garante-venditore M. Arredamenti si è impegnato a pagare al beneficiario acquirente-concedente Seac Leasing il debito dell’utilizzatore ditta O., senza poter opporre eccezioni fondate sulla validità o sull’efficacia del rapporto di base” e senza che potesse essere mosso alcun addebito alla società di leasing quanto alla mancata riconsegna dei beni all’acquirente, “poichè spettava alla garante M. attivarsi efficacemente per il ritiro dei beni, gravando su di lei il rischio connesso al mancato recupero omissis (come si legge in sentenza).

Configurato così il negozio (atipico) di garanzia, è consequenziale che alla M. Arredamenti non spettasse alcun altro diritto nei confronti del fallimento della ditta del conduttore O.M. se non quello di rivendicare i beni, quale proprietaria in forza del patto di acquisto concluso appunto con la Seac Leasing.

Nessuno dei motivi in esame spiega per quale ragione il comportamento di quest’ultima società avrebbe impedito alla M. Arredamenti di fare valere il suo diritto di proprietà nei confronti della curatela fallimentare.

La decisione della Corte d’appello è corretta e logicamente motivata quanto all’inapplicabilità dell’art. 1955 c.c., pur se la norma non viene espressamente menzionata (nel presupposto, appunto, della sua estraneità al caso concreto): i motivi terzo e quarto vanno rigettati.

La circostanza, poi, che la Seac Leasing non abbia rivendicato i beni e/o chiesto di insinuarsi al passivo del fallimento della ditta di O.M. è insignificante (avendo il giudice ritenuto che la rivendica dei beni fosse comunque rimessa all’iniziativa della M. Arredamenti) e quindi non è affatto decisivo il fatto di cui la Corte di merito ha omesso l’esame, come denunciato col quinto motivo. Perciò, questo è inammissibile.

5.- Col sesto motivo si denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella quale sarebbe incorsa la Corte di merito nell’accertare il perfezionamento del patto di riacquisto e nel qualificare quest’ultimo come negozio accessorio di garanzia, nonchè nel ritenere che esso fosse anteriore alla risoluzione del contratto di leasing, mentre nella realtà prima si sarebbe avuta questa risoluzione e poi sarebbe stato stipulato il patto.

5.1.- Col settimo motivo si denuncia mancata considerazione di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e conseguente violazione delle norme di diritto in relazione agli artt. 1195 e 1362 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, relativamente all’interpretazione data dalla Corte di merito al contenuto delle fatture allegate al ricorso monitorio.

6.- I motivi, che ove accolti avrebbero avuto carattere assorbente, vengono qui trattati solo per comodità espositiva, in modo da seguire l’ordine dato dalla parte ricorrente; comunque non meritano di essere accolti.

A fondamento di entrambi – da trattasi perciò unitariamente – sta l’assunto della società che il giudice di rinvio si sarebbe fermato al tenore letterale di alcune delle clausole della lettera di garanzia rilasciata dalla M. Arredamenti in data 13 ottobre 1988, senza interpretarle le une per mezzo delle altre e senza valutare, al fine di ricostruire la comune intenzione delle parti, nè documenti diversi dalla lettera di garanzia nè i comportamenti successivamente tenuti dalle parti, quali risultanti da questi documenti e dalla prova testimoniale.

Tale assunto è destituito di fondamento.

La Corte d’appello ha tenuto conto delle fatture emesse dalla Seac Leasing ed allegate al ricorso monitorio e le ha interpretate come espressione del perfezionamento del patto di acquisto, unitamente alla lettera del 10 dicembre 1990. Mentre è del tutto irrilevante ai fini dell’interpretazione contrattuale l’errore in cui sarebbe incorso il giudice nel ritenere che il patto di acquisto si sarebbe perfezionato prima della risoluzione del contratto di leasing (tanto è vero che, come nota la resistente, nemmeno la ricorrente chiarisce quali sarebbero le conseguenze di questo errore), le ulteriori deduzioni della ricorrente in merito a detta attività interpretativa, sia quanto al contenuto dei detti documenti (su cui si insiste in particolare col settimo motivo) che quanto al significato da attribuire alle clausole n. 2, n. 3 e n. 6 della lettera di garanzia, così come alla deposizione del testimone escusso in primo grado (su cui si insiste in particolare col sesto motivo), sono inammissibili. Esse attengono, infatti, alla valutazione delle prove ed, infine, involgono il risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito. A quest’ultimo viene contrapposta la personale interpretazione della ricorrente circa la configurazione del patto di acquisto come vero e proprio contratto di (nuova) compravendita piuttosto che come negozio accessorio di garanzia (atipica), secondo quanto ritenuto dal giudice a quo.

6.1.- Non è pertinente il richiamo fatto in ricorso alla sentenza di questa Corte n. 9050/1995, atteso che questa ha anticipato il principio di diritto successivamente precisato, nel senso che “qualora l’acquirente di un bene, destinato alla utilizzazione di un terzo in forza di un contratto di leasing, abbia stipulato con il venditore un patto di riacquisto in caso di inadempimento contrattuale da parte del terzo utilizzatore, costituisce accertamento di fatto stabilire se nel patto di riacquisto sia da ravvisare un negozio di garanzia ovvero una nuova vendita. Il relativo accertamento condotto dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato” (così Cass. n. 15199/05, che ha confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva ravvisato nel patto la natura e il contenuto di negozio autonomo di garanzia, in quanto faceva riferimento al debito dell’utilizzatore senza far venire in rilievo l’elemento della corrispettività proprio della causa alienandi della vendita).

Ribadito questo principio, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della resistente, nell’importo complessivo di Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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