Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4118 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.16/02/2017),  n. 4118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24132-2015 proposto da:

E.V. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dagli Avvocati SALVATORE GESUELE, LUANA AULICINO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5968/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/07/2015 R.G.N. 474/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA;

udito l’Avvocato GESUELE SALVATORE e l’Avvocato AULICINO LUANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E.V. proponeva di fronte al Tribunale di Napoli ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1 comma 47, l’impugnativa del licenziamento intimatogli da Poste italiane s.p.a. a seguito di comunicazione di addebito del 31/10/2013, nella quale si richiamava la sentenza ex art. 444 c.p.p. di applicazione della pena di anni uno e mesi sei di reclusione per una serie di reati di natura fiscale. Chiedeva altresì in subordine la condanna di Poste al versamento in suo favore del TFR.

Il Tribunale adito rigettava la domanda principale ed accoglieva quella subordinata: condannava Poste al pagamento della somma di Euro 22.121,66 a titolo TFR e compensava le spese di lite nella misura di due terzi.

Con la sentenza n. 5846 del 2015, la Corte d’appello di Napoli dichiarava l’improcedibilità della domanda avente ad oggetto il pagamento del TFR; confermava nel resto la sentenza del Tribunale.

La Corte partenopea riteneva in primo luogo che la domanda per il TFR non fosse proponibile con il rito azionato, in quanto non aveva ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, nè atteneva a questioni relative alla qualificazione del rapporto. In merito al licenziamento, argomentava che la contestazione disciplinare non potesse essere ritenuta tardiva, in quanto l’ E. non aveva fornito la prova di quando fosse avvenuta la comunicazione all’azienda, formale e per iscritto, del passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, necessario ex art. 54 del CCNL per il licenziamento disciplinare.

Per la cassazione della sentenza E.V. ha proposto ricorso, fondato su cinque motivi, cui ha resistito con controricorso Poste italiane s.p.a. Il ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1.1. Con il primo motivo, si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e si addebita alla Corte d’appello di avere omesso qualsivoglia istruttoria orale e documentale in ordine al momento temporale di comunicazione dell’ intervenuta sentenza di patteggiamento. Riferisce di avere chiesto nel ricorso in opposizione di ordinare a Poste l’esibizione degli statini paga, per dimostrare la durata della sua sospensione dal servizio, e dell’ istanza, corredata dalla sentenza penale, a seguito della quale egli era stato riammesso in servizio, nonchè l’ammissione di prova testimoniale sulle stesse circostanze, il che avrebbe dimostrato la sostanziale conoscenza da parte del datore di lavoro della chiusura della vicenda penale.

1.2. Come secondo motivo, deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e lamenta che la Corte territoriale non abbia proceduto all’acquisizione del documento emesso da Poste datato 22 dicembre 2010, comprovante la comunicazione della revoca della misura cautelare per avvenuta definizione del procedimento penale. Sostiene che non rilevi il fatto che all’epoca la sentenza non fosse ancora passata in giudicato, perchè ciò che conta ai fini della lesione del vincolo fiduciario è la conoscenza del fatto da contestare da parte del datore, e non il passaggio in giudicato della sentenza penale, che tra l’altro si sarebbe verificato nel previsto termine di 45 giorni.

1.3. Come terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 424 e 121 c.p.c. nonchè della L. n. 92 del 2012, art. 49, e lamenta che la sentenza sia viziata anche per non aver esercitato la Corte alcun potere istruttorio officioso, diretto a sanare eventuali carenze nelle deduzioni della parte.

1.4. Come quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 comma 2, nonchè dell’art. 54 del C.C.N.L. e lamenta che la Corte d’appello non abbia motivato sulla dedotta tardività dell’avvio del procedimento disciplinare, considerato che la contestazione aveva fatto seguito dopo tre anni alla sentenza di patteggiamento.

1.5. Come quinto motivo, deduce omessa, illogica e contraddittoria motivazione, per non avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile la domanda avente ad oggetto il pagamento del TFR, che deriva dagli stessi fatti costitutivi dedotti in giudizio e pertanto rientrava dell’oggetto della domanda in disamina, a mente della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47 e 48.

2. I primi quattro motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, attenendo tutti alla tempestività della contestazione disciplinare, non sono fondati.

2.1. La Corte d’appello ha riferito che il licenziamento era stato disposto in base all’art. 54 C.C.N.L., che prevede la sanzione espulsiva nell’ipotesi di condanna passata in giudicato per fatti che possano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario.

Ha ritenuto pertanto che il ricorrente non avesse fornito la prova di quando la società fosse venuta a conoscenza della situazione fattuale legittimante l’irrogazione della sanzione, ed in concreto dell’esistenza di una sentenza penale passata in giudicato per un reato incidente sul rapporto fiduciario.

Le argomentazioni proposte dal ricorrente, secondo le quali la Corte non avrebbe ammesso le prove e non avrebbe comunque valutato le circostanze attinenti la comunicazione dell’esistenza della sentenza di patteggiamento, non smentiscono il ragionamento del giudice di merito, in quanto non sono idonee a dimostrare che il datore di lavoro fosse stato messo in condizione di conoscere l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza. Il passaggio in giudicato non sempre si verifica infatti con il trascorrere del previsto termine dalla sentenza di primo grado, essendo ben possibile che la stessa sia gravata da appello (ex art. 448 c.p.p., comma 2, in caso di dissenso del pubblico ministero) o da ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

2.2. Nè rileva il fatto che il datore di lavoro abbia disposto la riammissione in servizio dell’ E. per il venir meno della misura cautelare, trattandosi di fatto distinto dal passaggio in giudicato: se anche infatti la revoca della misura cautelare può essere stata la conseguenza della sentenza di patteggiamento, in quanto evidentemente nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari può incidere il comportamento processuale dell’imputato, essa però non esclude che la pubblica accusa e l’imputato stesso potessero impugnare la sentenza.

2.3. Laddove poi lamenta il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, la censura è inammissibile, in quanto al fine di poter censurare con il ricorso per Cassazione il mancato esercizio dei poteri officiosi e la mancata motivazione in merito a tale mancato esercizio, la parte avrebbe dovuto dimostrare di averlo sollecitato in sede di merito, il che non ha fatto, al fine di non introdurre per la prima volta in sede di legittimità un tema nuovo rispetto a quelli colà dibattuti (Cass. n. 6023 del 2009; Cass. n. 383 del 2014).

3. Il quinto motivo di ricorso è invece fondato, dovendosi dare continuità alla soluzione accolta da Cass. n. 17091 del 12/08/2016, che, con ampia motivazione che richiama anche i principi costituzionali e sovranazionali del giusto processo (art. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU) ha affermato che nel caso di impugnativa di licenziamento, secondo il rito di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, è ammissibile la proposizione in via subordinata, da parte del lavoratore, delle domande di pagamento del t.f.r. e dell’indennità di preavviso, in quanto nascenti dalla cessazione del rapporto, e quindi fondate su fatti costitutivi già dedotti, sicchè il relativo esame non comporta un indebito ampliamento del tema sottoposto a decisione, ed evita il frazionamento dei processi o pronunce in mero rito, permettendo, al contrario, che un’unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro dia luogo ad un unico processo.

4. In base alle svolte argomentazioni va quindi accolto l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri, e la sentenza va cassata sul punto, con rinvio al giudice del merito che, nell’esaminare le domande subordinate proposte dal lavoratore, si atterrà ai principi enunciati, e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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