Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4117 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. I, 22/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 22/02/2010), n.4117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18096/2008 proposto da:

L.O. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE PARIOLI 50, presso l’avvocato PICONE GIUSEPPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CANDIANO Orlando Mario, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

26/06/2007, N. 5087 Rep.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 26 giugno 2007, la Corte d’appello di Roma, decidendo sulla domanda proposta dal Signor L.O., condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento dell’equa riparazione dovuta per l’irragionevole durata di un processo, introdotto con ricorso 2 febbraio 1998 davanti al TAR delle Puglie per il riconoscimento della malattia cardiaca contratta per causa di servizio, e definito in appello con la sentenza del Consiglio di Stato 28 ottobre 2005, liquidando per il periodo eccedente la durata ragionevole (determinato in tre anni e tre mesi) il danno non patrimoniale in Euro 2.500,00.

Per la cassazione del decreto, notificato il 7 febbraio 2008, ricorre il Signor L.O. con ricorso n. 18096/08 notificato in data 1 luglio 2008, con due mezzi d’impugnazione.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonchè dei parametri adottati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di indennizzo del danno non patrimoniale, e l’insufficiente ed illogica motivazione su fatto decisivo e controverso, riguardante la complessità del caso, che la corte territoriale ha ravvisato negli accertamenti medici particolarmente delicati, e nell’adeguatezza dell’indennizzo in rapporto a quanto sofferto dal ricorrente, per la mancanza di indicazioni in relazione alla posta in gioco, in rapporto alla condizione socio economica del richiedente, e al patema d’animo sofferto.

Quanto alle violazioni di norme di diritto denunciate, si lamenta che la valutazione sia stata affidata ad apprezzamenti discrezionali senza tener conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per la quale, in materia di lavoro e di previdenza sociale, l’indennizzo è elevabile fino a Euro 2.000 per anno. Il motivo si conclude con il quesito se il giudice nazionale debba rispettare i parametri CEDU di indennizzo e motivare lo scostamento, che deve essere ragionevole.

Il mezzo è inammissibile sotto ogni profilo. Anche a voler trascurare l’inammissibile commistione di censure di violazione di norme e di vizi di motivazione (cfr. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470, 23 luglio 2008 n. 20355), dovrebbe rilevarsi, quanto alle diverse censure di vizio di motivazione, che non è in alcun modo illustrata la decisività del punto della complessità del caso, in una fattispecie in cui la corte di merito ha ritenuto ragionevole la durata di due anni e sei mesi per ciascun grado del giudizio presupposto, e che l’adeguatezza dell’indennizzo non è un punto di fatto controverso, bensì una valutazione di merito; e, quanto alla violazione di legge denunciata, che nella sua estrema genericità il quesito, così come formulato, è privo di qualsiasi riferimento al contenuto del decreto impugnato.

Con il secondo motivo si deduce la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, che in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo assume quale moltiplicatore della base annuale di calcolo gli anni di irragionevole protrazione del giudizio, invece che quelli di durata del medesimo.

La questione di costituzionalità è manifestamente infondata.

Premesso che la decisione del legislatore, di indennizzare il tempo di durata irragionevole del giudizio, e non quello ragionevolmente necessario per la definizione del giudizio medesimo, obbedisce ad un criterio intrinsecamente razionale, è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di questa corte, per la quale la denunciata diversità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (Cass. 13 aprile 2006 n. 8714; 23 aprile 2005 n. 8568).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. In mancanza di difese svolte dall’amministrazione non v’è luogo a pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità .

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

 

 

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