Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4115 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. I, 22/02/2010, (ud. 17/11/2009, dep. 22/02/2010), n.4115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.R., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Alfonso

Luigi giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia in persona del Ministro;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma emesso nel

procedimento n. 50652/05 in data 1.2.2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 17.11.2009 dal

Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Letta la richiesta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con decreto dell’1.2.2006 la Corte di Appello di Roma rigettava il ricorso proposto da D.L.R. ai sensi della L. n. 89 del 2001, con riferimento a giudizio di natura previdenziale protrattosi dal 30.6.2000 al 19.6.2002 in primo grado e dal 16.4.2003 essendo ancora pendente (ma di prossima definizione, essendo stata fissata udienza al 17.10.2005) nel secondo, la cui durata era stata considerata ragionevole nella misura di cinque anni per i due gradi.

Per di più l’esiguità della posta in gioco avrebbe comunque escluso l’esistenza del patema d’animo.

Avverso la decisione D.L. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui non resisteva l’intimato, con i quali rispettivamente lamentava: 1) errata determinazione del periodo di durata ragionevole, in considerazione della natura della controversia (processo di lavoro); 2) erroneità della statuizione nella parte in cui era stata affermata l’assenza di interesse per l’entità degli interessi in gioco; 3) errata esclusione dell’indennizzo per il modesto valore della controversia; 4) violazione del rapporto tra normativa nazionale e sovranazionale.

Osserva il Collegio che è inammissibile il quarto motivo, in quanto generico, ed infondato il primo, poichè la natura della controversia non comporta necessariamente un automatico abbattimento del periodo di durata ragionevole del processo ma, più semplicemente, consente al giudice del merito di determinarlo in misura più contenuta ove lo ritenga opportuno, ipotesi non verificatasi nella specie.

Quanto agli altri due, occorre rilevare che la Corte di Appello ha ritenuto congrua la durata sostanzialmente quinquennale del giudizio (tre anni per il primo, due per il secondo in conformità dei parametri CEDU) nei due gradi, punto questo (relativo alla valutazione congiunta dei due gradi) che non è stato oggetto di censura e che assorbe ogni ulteriore considerazione.

Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va stabilito in ordine alle spese processuali poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

 

 

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