Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4114 del 02/03/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4114 Anno 2016
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

Data pubblicazione: 02/03/2016

SENTENZA

sul ricorso 5906-2011 proposto da:
UNICREDIT BANK AG SUCCURSALE DI MILANO, già BAYERISCHE
HYPO-UND VEREINSBANK AG (c.f./p. . 09144100154), in
persona dei legali rappresentanti pro tempore, e RATI
ROBERTO

(c. f.

RTARRT66E141138M),

elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 269,
presso

l’avvocato

ROMANO

VACCARELLA,

che

li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO
ZATTONI,

GUIDO MOTTI,

ANTONIO

SEGNI,

FEDERICO
(

VERMICELLI, giusta procure in calce al ricorso;
– ricorrenti –

1

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETÀ E LA
BORSA (C.F. 80204250585), in persona del Presidente
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
G.B. MARTINI 3, presso l’avvocato FABIO BIAGIANTI, che

GIANFRANCO RANDISI, SALVATORE PROVIDENTI, giusta
procura a margine del controricorso;
– controri corrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositato il 14/07/2010j h.M01)03
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/01/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati R. VACCARELLA e
A. SEGNI che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato G. RANDISI
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per

i
!

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

l’accoglimento del quarto motivo.

2

5906-11
Svolgimento del processo
Unicredit Bank AG

(hinc solo Ucb), già Bayerische Hypo-

Und Vereinsbank AG, e il proprio funzionario Roberto Rati

col quale la corte d’appello di Milano ha rigettato la
loro opposizione nei riguardi della delibera della Consob
n. 16969-09. Con tale delibera era stata applicata la
sanzione di euro 100.000,00

a latere dell’operazione di

quotazione in borsa di Aicon s.p.a., per esser mancata la
rappresentazione,

nel prospetto,

delle informazioni

relative ai rischi derivanti da carenze e criticità nel
sistema di controllo di gestione della società, ancorché
sussistenti alla data di pubblicazione del medesimo.
Per quanto ancora di interesse in questa sede, la corte
d’appello ha rigettato (i) le eccezioni di illegittimità
della delibera della Consob per violazione dell’art. 191
del T.u.f. e per errata applicazione del principio di
personalità della sanzione; (li) la doglianza afferente
la valutazione dei fatti alla base della contestazione;
(iii)

la

doglianza

relativa

alla

insussistenza

dell’elemento soggettivo.
I ricorrenti hanno articolato quattro motivi di censura,
ai quali la Consob ha replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

1

hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto

Motivi della decisione
I. – Col primo mezzo i ricorrenti deducono violazione e
falsa applicazione dell’art. 5, 4 0 comma, del regolamento
Consob n. 11971-99 (cd. reg. emittenti) in combinato

nonché carenza di motivazione sull’elemento oggettivo
della violazione e sulla sussistenza dell’elemento
soggettivo.
Premettono che la norma impone, in casi simili, allo
sponsor, di formarsi, anche tramite verifiche condotte da
società di revisione,

il ragionevole convincimento

dell’esistenza presso la società emittente di un sistema
di controllo di gestione (s.c.g.) tale da consentire ai
responsabili

di

disporre

periodicamente

e

con

tempestività di un quadro sufficientemente esaustivo
delle situazione economica e finanziaria della società.
Poiché l’esistenza di un adeguato sistema di controllo di
gestione non è un concetto matematico ma il frutto di una
valutazione, si sostiene che la banca aveva giustappunto
conformato il suo comportamento a quanto imposto dalla
norma, essendosi rivolta a una società di revisione (PWC
Advisory) che, dopo aver rilevato al dicembre 2006
l’inadeguatezza del sistema di controllo di Aicon, ma con
indicazione di procedure migliorative da adottare, aveva
poi, nel marzo 2007, dichiarato che i miglioramenti

2

disposto con l’art. 95, l ° comma, lett. a), del T.u.f.,

conseguiti permettevano la realizzazione dell’obiettivo
stabilito dalla norma.
I ricorrenti censurano quindi la corte d’appello per
avere affermato sussistente la responsabilità della banca

revisione.
II. – Il motivo è infondato.
Viene nella specie in considerazione il cd. prospetto di
quotazione che l’emittente, prima della data stabilita
per l’inizio delle negoziazioni in mercati regolamentati,
deve pubblicare onde dar conto delle informazioni
richieste dall’art. 94 del T.u.f.
Il prospetto di quotazione deve contenere le informazioni
individuate in generale dalla legge e specificate dalla
Consob (v. artt. 94, 95 e 113 T.u.f.).
La pubblicazione del prospetto rappresenta una condizione
per il completamento della procedura di ammissione alla
quotazione, giacché il prospetto (v. artt. 94 T.u.f. e 5
del reg. emittenti) costituisce uno strumento informativo
essenziale in funzione di tutela degli investitori nella
fase iniziale di offerta al pubblico.
La responsabilità per le false, oppure omesse, o comunque
manchevoli informazioni del prospetto ricade
sull’intermediario responsabile del collocamento.

3

a fronte delle acquisite attestazioni della società di

Ucb, come si evince dalla decisione impugnata e come è
esplicitamente confermato dall’attuale ricorso, aveva
agito nella specie, rispetto ad Aicon s.p.a., come
sponsor della quotazione e come responsabile del

E’ utile rammentare che lo sponsor è l’intermediario
finanziario che, in base al Regolamento dei mercati
organizzati gestiti da Borsa italiana s.p.a. (art. 2.3.4.
della versione vigente pro tempore),

ha il compito di

collaborare con l’emittente nella procedura di ammissione
degli strumenti finanziari ai fini del suo ordinato
svolgimento.
In questa veste la banca doveva attestare, sulla base di
verifica di

due diligence,

che la società della cui

quotazione si stava trattando aveva istituito un sistema
di controllo di gestione tale da consentire ai
responsabili di disporre periodicamente e con
tempestività di un quadro sufficientemente esaustivo
della situazione economica e finanziaria della società
medesima.
Poiché la verifica dell’istituzione di un adeguato
sistema di controllo di gestione è attribuita, dal
Regolamento dei mercati organizzati gestiti da Borsa
italiana s.p.a., allo sponsor (v. ancora art. 2.3.4.,
lett. c), non rileva in senso liberatorio la circostanza

4

collocamento.

di essersi lo sponsor avvalso ai fini specifici – come
consente la norma primaria – di una società di revisione
o di altro soggetto qualificato.
Invero, diversamente da quanto sostenuto nel motivo, lo

valutazione mera della società di revisione, del cui
operato comunque egli risponde ove il sistema di
controllo di gestione si riveli infine inadeguato. Il che
interessa soprattutto ove la valutazione della società di
revisione risulti contraddistinta da elementi poco
perspicui involti dalla stessa dinamica valutativa, per
come effettuata nei singoli passaggi che l’hanno
preceduta.
La corte d’appello, con apprezzamento congruamente
motivato nel merito, ha giustappunto accertato questo
fatto,

a latere

di distonie non giustificabili quanto

alla valutazione rappresentata, essendo stati riscontrati
nel sistema di controllo di gestione di Aicon s.p.a.
profili di criticità praticamente persistenti per
l’intero periodo antecedente la quotazione, dati per
risolti in arco di pochi giorni e in verità ancora
esistenti al momento di pubblicazione del prospetto.
L’apprezzamento

della

corte

territoriale

non

è

sindacabile in questa sede, posto che nella parte della
censura relativa al vizio di motivazione non sono stati

5

sponsor non può limitarsi a fare affidamento sulla

specificati fatti decisivi in rapporto ai quali la
motivazione avrebbe dovuto essere più compiutamente
svolta. Né esso

cm

trova, del resto, efficace obiezione

in quanto sottolineato dai ricorrenti sull’incedere dei

E’ dal collegio condiviso il principio per cui, in tema
di sanzioni amministrative per violazione delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
il T.u.f. individua una serie di fattispecie a carattere
ordinatorio, destinata a salvaguardare procedure e
funzioni e incentrate su mere condotte considerate
doverose. In questo senso il T.u.f. ancora il giudizio di
colpevolezza a parametri normativi estranei al dato
puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento
oggettivo dell’illecito all’accertamento della

suitas

della condotta inosservante, con la conseguenza che, una
volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la
fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore,
in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 1.
24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver
agito in assenza di colpevolezza (cfr. benché con
riferimento all’art. 190 del T.u.f., Sez. un. n. 2093009)
III. – Tanto considerato, può osservarsi che i ricorrenti
hanno ammesso sia che elementi di criticità del sistema

6

fatti di cui è causa.

di controllo di gestione erano stati evidenziati in un
documento di sintesi (memorandum) della società di
revisione nel dicembre 2006, sia che i fattori di rischio
erano ancora stati conservati nella bozza di prospetto

un successivo memorandum del marzo 2007, la società di
revisione aveva attestato che il sistema di controllo di
gestione di Aicon presentava margini di miglioramento ma
ancora non consentiva ai responsabili di disporre
periodicamente e con tempestività di un quadro
sufficientemente esaustivo della situazione economica e
finanziaria della società.
Era dunque loro onere fornire la prova dell’inesistenza
di profili di colpa purchessia.
Viceversa l’eccepito avvio di pratiche di miglioramento
volte alla implementazione del sistema di controllo di
gestione, che la bozza di relazione aveva indicato
relato

de

dagli amministratori, non osta alla logica

inferenza della corte territoriale, giacché è fondato
dedurre che simili circostanze comunque consentivano alla
banca di percepire il sistema di controllo di gestione di
Aicon come caratterizzato da fortissimi fattori di
rischio appena pochi giorni prima della relazione finale
(“senza rilievi”) della società incaricata. E dunque
consentivano al responsabile del collocamento di

7

informativo del gennaio 2007, sia e soprattutto che, dopo

percepire le anomalie del sistema, non giustificando un
affidamento acritico sulla fondatezza del distinto
giudizio infine al riguardo formulato.
IV. – Col secondo mezzo i ricorrenti deducono la

del regolamento Consob n. 11971-99 (cd. reg. emittenti)
in combinato disposto con l’art. 95, l ° comma, lett. a),
del T.u.f. relativamente all’obbligo di segnalazione dei
fattori di rischio specifici nel prospetto informativo.
Censurano la decisione per aver violato i principi di
legalità e di tassatività delle sanzioni amministrative,
non esistendo norma di sorta che, individuando un sistema
di controllo di gestione adeguato, imponga all’emittente,
allo sponsor o al responsabile del collocamento, in caso
di quotazione di un’impresa, di segnalare fattori di
rischio non connotati da significatività specifica.
Il motivo è manifestamente infondato.
4441 e„«. $0-j

Non rileva il 4 ° comminel reg. emittenti, nella versione
del 2004 rilevante in causa, giacché codesto riguarda la
facoltà di riutilizzazione del prospetto ai fini di
aggiornare le informazioni di quello già pubblicato.
Rileva invece il 3 ° comma della medesima norma, il quale
stabilisce che il responsabile del collocamento attesta,
mediante dichiarazione allegata alla comunicazione, che
il prospetto informativo è redatto secondo gli schemi

8

violazione e falsa applicazione dell’art. 5, 4 ° comma,

allegati al regolamento n. 809/2004/CE e contiene le
informazioni rilevanti ai fini dell’art. 94, 2 ° comma,
del T.u.f. di cui sia venuto a conoscenza nel corso delle
verifiche effettuate.

artt. 94 e 95 del T.u.f.
La sanzione amministrativa viene a essere legittimata
dall’art.

191

del

T.u.f.,

attesa

la

riscontrata

violazione dell’art. 94 del medesimo T.u.f. come
integrato dalla indicata normativa regolamentare della
Consob.
Ed è costante insegnamento di questa corte che il
principio di tipicità e di riserva di legge fissato in
materia delle sanzioni amministrative dall’art. 1 della
legge 24 novembre 1981, n. 689, impedisce che l’illecito
amministrativo e la relativa sanzione siano introdotti
direttamente da fonti normative secondarie, senza
tuttavia escludere che i precetti della legge,
sufficientemente individuati, siano eterointegrati da
norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità
della dimensione in cui le fonti secondarie sono
destinate ad operare (v. per varie applicazioni,
condivisibilmente, Sez. 2^ n. 13344-10; n. 9584-06. E v.
pure Sez. 2^ n. 5243-11).

9

La norma regolamentare trova fondamento nei già visti

V. – Col terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione
e falsa applicazione dell’art. 5 del regolamento Consob
n. 11971-99 (cd. reg. emittenti) in combinato disposto
con l’art. 95, l ° comma, lett. a), del Tuf e carenza di

critici posti al fondo della responsabilità della banca,
non avendo la corte territoriale considerato il parere prodotto in giudizio – nel quale l’esperto di parte
(prof. Laghi) aveva affermato che il sistema di controllo
di gestione di Aicon s.p.a. non era in verità connotato
da significative criticità al tempo del deposito del
prospetto.
Il motivo è inammissibile in quanto rivolto a sindacare
il merito della decisione impugnata, oltre tutto in modo
generico, senza cioè riportare il contenuto del parere
richiamato e dunque violando il principio di
autosufficienza.
La corte d’appello ha evidenziato con precisione le fonti
di prova poste a base del convincimento espresso a
proposito delle irrisolte criticità del sistema di
controllo di gestione di Aicon s.p.a., con specifica
menzione di quanto rilevato dalla società incaricata
della revisione del bilancio e dell’esito delle audizioni
poi eseguite dalla Consob. E in tal senso ha adempiuto

10

motivazione sul profilo della gravità degli elementi

all’onere di motivazione su di essa incombente quanto al
presupposto della sanzione.
VI. – Col quarto mezzo i ricorrenti infine deducono la
violazione degli artt. 23 e 27 cost. e degli artt. l e 3

T.u.f., in relazione all’art. 95, l ° comma, lett. a), in
combinato disposto con l’art. 5 del regolamento emittenti
e dell’art. 18, 1 ° comma, del medesimo T.u.f.
A loro dire, gli obblighi attestativi e la responsabilità
per le informazioni false o manchevoli dovevano semmai
gravare, in base alle norme evocate, sull’intermediario
responsabile del collocamento, e dunque certamente non
sul dr. Rati, mai nominato tale all’interno di Ucb.
La tesi è infondata.
Il criterio di imputazione della responsabilità, sotteso
all’art. 191 del T.u.f., risulta individuato – quanto ai
fatti soggetti all’odierno scrutinio – secondo il crisma
della solidarietà. Esso riguarda sia la società (o
l’ente) di appartenenza sia l’autore della violazione
(art. 195, ult. comma, del T.u.f.).
La norma prevede, da un lato, che “la società e gli enti
ai quali appartengono gli autori delle violazioni
rispondono, in solido con questi, del pagamento della
sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo
periodo del comma 3” e, dall’altro, che tali società o

11

della 1. n. 689 del 1981, dell’art. 191, 2 ° comma, del

enti “sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso
verso i responsabili”.
La regola della solidarietà fra l’obbligazione gravante
sull’autore materiale del fatto e quella posta a carico

1998, art. 195, ult. comma – risulta coerente anche con
la disciplina generale delle sanzioni amministrative, ed
è semmai prevista in termini ancor più stringenti (v.
Sez. un. n. 20930-09). Nel senso che pure l’art. 6, 2 °
comma, della 1. n. 689 del 1981 stabilisce che “se la
violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente
di una persona o di un ente privo di personalità
giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio
delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica
o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con
l’autore della violazione al pagamento della somma da
questo dovuta”. Ma la maggiore rigorosità della
previsione in materia finanziaria risalta dal fatto che,
a fronte dell’art. 6, 4 ° comma, della l. n. 689 del 1981,
il T.u.f. sostituisce alla facoltà di azione in regresso
un vero e proprio obbligo di azione, onde ottenere
dall’autore dell’illecito il rimborso della somma pagata;
e in tal modo pone un indice di specialità ancor più
netto circa la simultanea irrogazione della sanzione a
entrambi i soggetti responsabili.

12

della persona giuridica – sancita dal d.lgs. n. 58 del

A escludere il fondamento dell’attuale censura a
proposito del criterio di imputazione della
responsabilità è dunque sufficiente la sottolineature che
finanche nel ricorso Rati è detto esser stato il soggetto

al prospetto informativo. Non può quindi in alcun modo
sostenersi che egli potesse risultare estraneo all’ambito
applicativo (soggettivo) della sanzione irrogata (fermo
che il pagamento di questa risulta infine esser stato
chiesto alla sola Ucb).
VII. – Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378
cod. proc. civ. i ricorrenti hanno integrato, peraltro,
la loro ultima deduzione eccependo la sopravvenuta non
imputabilità del Rati in applicazione del principio del
favor rei,

considerata la modifica dell’art. 191 del

T.U.f. mercé il d.lgs. n. 72 del 2015 e considerata
altresì la necessità di conformare l’ordinamento interno
a una nozione lata e autonoma della cd. “materia penale”,
in assonanza a quanto preteso dalla Cedu ai fini delle
conseguenze sanzionatorie delle condotte qualificate come
illecite dai singoli ordinamenti.
Per quanto dedotto solo in memoria, il collegio deve
esaminare il profilo argomentativo suddetto nell’ottica
del ius superveniens.
Anch’esso tuttavia è da disattendere.

13

sottoscrivente la dichiarazione di responsabilità di cui

VIII. – E’ rilievo preliminare che la norma richiamata
dai ricorrenti non possiede rilevanza applicativa nella
presente causa, dal momento che il legislatore, con
apposita disposizione transitoria (art. 6, 2 ° comma, del

apportate alla parte V del d.lgs. 24 febbraio 1998, n.
58, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata
in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e
dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai
sensi dell’articolo 196-bis del d.lgs. detto.
Di contro alle violazioni commesse prima della data di
entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla
Consob e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le
norme della parte V del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58,
vigenti prima della data di entrata in vigore del citato
d. lgs. n. 72 del 2015.
In tal senso, quindi, l’ambito applicativo della norma è
dettato dal legislatore in termini opposti a quanto
sostenuto dai ricorrenti.
L’ attuale non applicabilità del nuovo quadro normativo è
stata, in recenti decisioni di questa corte, messa al
fondo di un’affermazione di non rilevanza almeno
attualmente – del principio del favor rei

(v. Sez. 2^ n.

26131-15 e n. 26132-15), in quanto mancherebbe la

14

d.lgs. n. 72 del 2015), ha puntualizzato che le modifiche

premessa per valutare la dedotta applicazione retroattiva
in mitius.
Può osservarsi però che il dilemma al riguardo non trova
luce nell’argomento speso, in quanto ai fini dell’
favor rei –

per come eccepito di

riflesso all’asserita natura “sostanzialmente penale” del
provvedimento sanzionatorio – interessa il mero fatto
dell’essere la lex mitior in vigore, a prescindere dalla
contemporanea (magari diversa) disciplina dell’ambito di
applicazione

ratione temporis.

Una cosa difatti è la

vigenza della norma (in sé e per sé), altra cosa il suo
ambito applicativo: la norma è sicuramente in vigore, ma
si applica “alle violazione commesse dopo l’entrata in
vigore delle disposizioni adottate dalla Consob”.
Il punto che osta a condividere la tesi dei ricorrenti è
che il citato principio dell’applicazione immediata della
legge più favorevole (cd.

favor rei),

per consolidata

giurisprudenza, non si estende alla materia delle
sanzioni amministrative, che risponde, invece, salvo
distinta e specifica disposizione di legge, al principio
tempus regit actum (v. Sez. un. n. 14374-12; n. 15314-10;
n.

28159-08,

in materia di

sanzioni disciplinari

rispettivamente a carico di avvocati e magistrati).
E a diversa conclusione non sembra potersi pervenire in
base a quanto affermato dalla Corte europea dei diritti

15

applicazione del

dell’uomo

(hinc Cedu) nella nota sentenza 4-3-2014 (causa

Grande Stevens c. Italia), ripetutamente richiamata dalla
difesa dei ricorrenti nel corso della discussione
d’udienza.
ne bis in

idem e del diritto a un equo processo, assumendo che il
sistema legislativo italiano in materia di abusi di
mercato, così come realizzato dall’ art. 185 del T.u.f.,
quanto alla fattispecie penale, e dall’art. 187-ter,
quanto all’illecito amministrativo, potrebbe porre dubbi
di coerenza rispetto ai predetti due fondamentali
principi sanciti dalla Convenzione: il diritto ad un equo
processo, art. 6 § l, e il diritto a non essere giudicati
o puniti due volte per lo stesso fatto, art. 4 del
Protocollo n. 7.
E’ stato invero affermato che, dopo le sanzioni comminate
dalla Consob, l’avvio di un processo penale sugli stessi
fatti viola il fondamentale principio del

ne bis in idem,

secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo
stesso fatto.
Sembra abbastanza evidente che ciò che costituisce
ambito specifico di intervento della Corte europea è il
riferimento alle regole del “giusto processo”, da
applicare anche al procedimento sanzionatorio che preveda
conseguenze patrimoniali rilevanti; in tal limitato

16

La citata decisione ha trattato il tema del

senso,

dunque,

quel

procedimento

sanzionatorio

è

considerato suscettibile di rientrare in un concetto lato
di “materia penale”.
Il che tuttavia non può legittimare, di per sé,

materia penale ai diversi principi invece propri della
materia degli illeciti amministrativi.
La norma di diritto interno, su cui parte ricorrente
vorrebbe far rifluire il principio penalistico di
applicazione immediata, anche rispetto a fatti pregressi,
di norme più favorevoli al reo, è l’art. 191 del T.u.f.,
ed è norma sostanziale contemplante un mero illecito
amministrativo.

Donde,

in

mancanza

di

espressa

disposizione di legge, resta immune dai riflessi di
principi dettati in materia di norme penali sostanziali,
posto che un concetto della “natura penale” di una
disposizione di diritto interno sarebbe esso in stridente
relazione di incompatibilità col sistema costituzionale
italiano, in cui la nozione di illecito penale è astretta
dal criterio di legalità formale (art. 25 cost.).
In altre parole, i principi convenzionali declinati dalla
citata

sentenza

Grande

Stevens

vanno

considerati

nell’ottica del giusto processo, ma non possono portare a
ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione
qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno.

17

l’estensione in ogni campo dei principi propri della

Ed è questo che vale a escludere la rilevanza di una
ipotetica (e pur paventata dai ricorrenti) questione di
legittimità costituzionale involta dallo strumento di cui
all’art. 117 cost.

tranciante affermazione dei ricorrenti secondo cui, ai
sensi del d. lgs. n. 72 del 2015, si sia avuta una vera e
propria

aboliti°

dell’illecito (amministrativo)

contestato al dr. Rati.
Il d.lgs. n. 72 del 2015, dando attuazione alla direttiva
2013/36-UE, che ha modificato la direttiva 2002/87-CE e
abrogato le direttive 2006/48-CE e 2006/49-CE, in ordine
all’accesso all’attività degli enti creditizi e alla
vigilanza prudenziale su tali enti e sulle imprese di
investimento, ha contestualmente inserito nel corpo del
T.u.f. l’art. 190-bis, il quale, richiamato nello stesso
art. 191, comma 2-bis, ha in determinati presupposti
mantenuto la possibilità di sanzionare anche le persone
fisiche appartenenti alla società o all’ente, ove la loro
condotta abbia inciso in modo rilevante provocando grave
pregiudizio per

gAL

tutela degli investitori o per

l’integrità e il corretto funzionamento del mercato.
Sicché, niente essendo dedotto dai ricorrenti onde
escludere simile elemento, la tesi da essi sostenuta si

18

IX. – Deve poi aggiungersi che neppure è esatta la

rivela comunque infine generica e assertoria quanto alla
condizione presupposta.
X. – Il ricorso è rigettato.
Le spese processuali seguono la soccombenza.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in
solido, alle spese processuali, che liquida in euro
7.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori
e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale
di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima
sezione civile, addì 20 gennaio 2016.

I.
Il onsigliere stens r
.

ruu.14.»

p.q.m.

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