Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4107 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2011, (ud. 30/11/2010, dep. 18/02/2011), n.4107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23460/2009 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Archimede

n. 120, presso lo studio dell’avv. Fabio Micali, rappresentata e

difesa dall’avv. MICALI Francesco, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, in persona del

legale rappresentante pro impone, elettivamente domiciliato in Roma,

Via della Frezza n. 17, presso il proprio ufficio legale,

rappresentato e difeso dagli avv.ti RICCIO Alessandro, Nicola Valente

e Clementina Pulli, per procura in calce al ricorso per cassazione;

– resistente –

MINISTERO DELL’ECONOMA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 108/2008 della Corte d’appello di Messina,

depositata in data 18/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30.11.2010 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

R.P. conveniva dinanzi al giudice del lavoro di Messina il Ministero dell’Economia e Finanze e l’INPS per ottenere l’indennità di accompagnamento ed il ripristino della pensione di inabilità, che le era stata revocata.

Accolta la domanda solo per l’indennità di accompagnamento e proposto appello dall’assicurata, la Corte d’appello di Messina con sentenza depositata il 18.10.08 rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Proponeva ricorso per cassazione la R. deducendo che la Corte d’appello, pur sostenendo in motivazione che l’appellante (ovvero l’assicurata) non era tenuta al pagamento delle spese processuali avendo presentato la dichiarazione di esonero di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., in dispositivo aveva invece emesso pronunzia di condanna della stessa appellante alle spese giudiziali, così incorrendo in error in procedendo. In via subordinata rilevava l’erroneità della pronunzia contenuta nel dispositivo per violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, che, in caso di soccombenza in controversia aventi ad oggetto prestazioni previdenziali o assistenziali, esonera l’assicurato dalle spese giudiziali in ragione della titolarità di un reddito Irpef contenuto in limiti esplicitamente indicati, ove – secondo quanto avvenuto nel caso di specie – espressamente dichiarato in giudizio dalla parte interessata.

Non svolgevano attività difensiva nè il MEF, nè l’INPS. Quest’ultimo ha depositato procura.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge la palese ed insanabile contraddittorietà tra la motivazione della sentenza, ove è detto che “va … confermata la sentenza di primo grado, senza assoggettare l’appellante ad alcun pagamento di spese giudiziali considerato che la stessa ha depositato dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c.”, ed il dispositivo, ove la Corte d’appello “condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziarie del presente grado in favore degli appellati che liquida in Euro 1.200,00 ciascuno”.

E’ noto che nel rito del lavoro, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, prevale la statuizione contenuta nel dispositivo e letta in udienza e che tale contrasto costituisce motivo di nullità della sentenza, ove rilevato con gli ordinali mezzi di impugnazione (Cass. 5.3.04 n. 4561, nonchè da ultima 21.3.08 n. 7698). Pertanto, di fronte all’evidente contrasto sopra evidenziato, nel caso di specie sussiste la reclamata nullità.

Risulta, tuttavia, dalla sentenza impugnata che l’assicurata appellante aveva depositato la dichiarazione prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c., di modo che, cassata l’impugnata sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, può provvedersi nel merito statuendo che nulla è dovuto per le spese del giudizio di appello.

Le spese del giudizio di legittimità debbono essere compensate in ragione dell’atteggiamento processuale del resistente e dell’intimato che, in presenza della evidente contraddittorietà della sentenza impugnata, non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, provvedendo nel merito, dichiara che nulla è dovuto per le spese del giudizio di appello. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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