Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4105 del 02/03/2016
Civile Sent. Sez. L Num. 4105 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BUFFA FRANCESCO
SENTENZA
sul ricorso 19302-2011 proposto da:
DI
LEVA
C.F.
SALVATORE
DLVSVT56A22I862K,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 39,
presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO,
rappresentato
e
difeso
dall’avvocato
MASSIMO
ESPOSITO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
2015
contro
5054
BANDI GIULIA C.F. BNDGLI77P68I862Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LOMBARDIA 23, presso lo
studio
dell’avvocato
JACOPO
MANCA
GRAZIADEI,
Data pubblicazione: 02/03/2016
\
1
‘
rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO MARIA DI
)• LEVA, giusta delega in atti;
–
controrícorrente
–
avverso la sentenza n. 5355/2010 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/07/2010 R.G.N.
2068/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/12/2015 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO BUFFA;
udito l’Avvocato ESPOSITO MASSIMO;
udito l’Avvocato DI LEVA ANTONIO MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.
•
–
9.
19302/11
Di Leva – Bandi +1
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La corte d’appello di Napoli, con sentenza del 21.7.2010, in
parziale riforma della sentenza del tribunale di Torre
Annunziata del 15.1.2007, condannava il Di Leva al
pagamento in favore della sua dipendente Bandi della
somma di C 21886, oltre accessori, a titolo di differenze
retributive e TFR.
In particolare, la corte territoriale riteneva che il Di Leva
fosse l’effettivo datore di lavoro della Bandi.
Avverso tale sentenza ricorre il Di Leva per due motivi,
illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Bandi.
Il Collegio ha autorizzato la redazione di sentenza con
motivazione semplificata.
MOTVI DELLA DECISIONE
Deve premettersi che nessuna acquiescenza alla sentenza
risulta essersi verificata in ragione del pagamento di una
somma alla Bandi all’esito della sentenza d’appello, atteso
che il pagamento è avvenuto nell’ambito di una
preannunciata esecuzione forzata, che nessun accordo
conciliativo risulta formalizzato e che il ricorrente insiste in
questa sede nell’impugnazione.
Il ricorso pone la questione della correttezza della
riconducibilità di un rapporto lavorativo ad un soggetto
quale datore, in relazione alla riconducibilità allo stesso
dell’attività economica svolta.
Rg.
Con il primo motivo di ricorso si deduce ex art. 360 n. 5
c.p.c. (sic) violazione degli arti. 2094 c.c. e 100 c.p.c., in
relazione ai fatti dai quali è stata desunta la titolarità del
rapporto di lavoro del Di Leva.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce (ex art. 360 n. 3
c.p.c.) violazione degli arti. 2697, 2094 , 2702, 2707 c.c.,
desunta la titolarità del rapporto di lavoro del Di Leva (libro
contabile, tre ricevute di locazione dei locali dove era
esercitata l’attività e 41 ricevute di operazioni bancarie).
Il primo motivo, con il quale si deduce essenzialmente un
vizio motivazionale della sentenza impugnata, mira ad una
rilettura delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di
legittimità, al fine di individuare il ricorrente quale datore di
lavoro.
La sentenza è invece immune dalle critiche sollevate,
essendo adeguatamente e correttamente motivata: la corte
territoriale dà rilevanza alla titolarità dell’agenzia di cambio,
al pagamento della tassa di concessione governativa,
all’iscrizione nell’albo professionale, al versamento delle
somme ricavate dall’attività di cambiavalute sul conto
personale intestato al ricorrente, elementi questi, sia formali
che sostanziali, dai quali la corte territoriale ha dedotto -con
giudizio immune da vizi logici o giuridici- la titolarità del
rapporto di lavoro in capo al Di Leva.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, in quanto
recante deduzione priva di decisività.
Con il motivo, infatti, la parte censura l’utilizzo di documenti
non sottoscritti dal Di Leva con efficacia nei confronti dello
stesso, trascurando che gli scritti provenienti da terzi,se
115 e 116 c.p.c., in relazione ai documenti dai quali è stata
anche non hanno l’efficacia probatoria della scrittura privata
(con conseguente inapplicabilità degli oneri di
disconoscimento ed impugnazione previsti dalla legge per le
scritture), non sono privi di ogni efficacia probatoria, in
quanto essi possono avere valore indiziario e, in concorso
con altri elementi, possono fornire elementi di
decisione.
La sentenza, che ha utilizzato le risultanze dei detti
documenti come elementi di una più ampia valutazione del
materiale istruttorio, si è in tal modo attenuta ai principi
affermati da questa Corte, secondo i quali (Sez. U, Sentenza
n. 15169 del 23/06/2010; Sez. 3, Sentenza n. 11077 del
04/11/1998) le scritture private provenienti da terzi estranei
alla lite costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è
meramente indiziarlo, e che possono, quindi, contribuire a
fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri
dati probatori acquisiti al processo, che ne confortino la
credibilità e l’attendibilità, ed essere utilizzati come
fondamento di una decisione.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, con distrazione.
p.q. m.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese di lite che si liquidano in C 3500 per compensi ed C
100 per spese, oltre accessori come per legge e spese
generali nella misura del 15%, con distrazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17
dicembre 2015.
convincimento ed essere utilizzati come fondamento di una