Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 410 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 25/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 1028 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

R.A., (C.F.: (OMISSIS)), L.L. (C.F.: (OMISSIS)),

L.G. (C.F.: (OMISSIS)), LA.Lu. (C.F.: (OMISSIS)), tutti

rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dagli

avvocati Carlo Zauli (C.F.: ZLACRL57E03D357U) e Mariateresa Elena

Povia (C.F.: PVOMTR72S59H501Z);

– ricorrenti –

nei confronti di:

HELVETIA Compagnia Svizzera di Assicurazioni S.A. (C.F.: (OMISSIS)),

in persona del procuratore Ca.Gi. rappresentato e

difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato

Salvatore Penza (C.F.: PNZSVT65C24F205P);

– controricorrente –

nonchè

C.M. (C.F.: (OMISSIS));

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n.

3046/2013, depositata in data 26 luglio 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

25 ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.A., nonchè L.L., G. e Lu., agirono in giudizio nei confronti di C.M. e della sua assicuratrice della responsabilità civile Helvetia Compagnia Svizzera di Assicurazioni S.A. per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del loro congiunto L.V. (figlio della R. e fratello dei L.), in conseguenza di un sinistro stradale avvenuto in data (OMISSIS).

La domanda fu parzialmente accolta dal Tribunale di Milano che, ritenuto il concorso colposo della vittima nella misura di due terzi, e detratti gli acconti già ricevuti dai danneggiati, condannò il C. e la compagnia di assicurazioni, in solido, al pagamento della somma di Euro 42.173,88 in favore della R., della somma di Euro 15.692,64 ciascuno, in favore di La.Lu. e G. e della somma di Euro 14.217,11 in favore di L.L..

La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha liquidato in favore della R. il maggior importo di Euro 100.000,00 e ha escluso il risarcimento del cd. danno catastrofale riconosciuto dal tribunale per Euro 10.000,00, confermando per il resto la pronunzia impugnata.

Ricorrono la R. e i L., sulla base di nove motivi.

Resiste con controricorso la Helvetia Compagnia di Assicurazioni Svizzera S.A..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro intimato.

Diritto

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “circa la dinamica del sinistro (motivo comune a tutti i ricorrenti): violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione ai motivi che attengono alla dinamica del sinistro; conseguente error in procedendo; rilievo e censura in base all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo è infondato.

E’ in realtà erroneo il presupposto da cui esso muove, e cioè che il motivo di gravame avente ad oggetto la responsabilità del sinistro sia stato dichiarato inammissibile dalla corte di appello per difetto di specificità.

Al contrario, la corte ha espressamente dichiarato infondato l’appello dei congiunti della vittima sulla dinamica del sinistro e le relative responsabilità, così come del resto quello delle compagnie di assicurazione (cfr. pag. 8, penultimo capoverso, della sentenza impugnata, righi da 20 a 23; anche il dispositivo è in effetti di rigetto e non di inammissibilità), ritenendo “del tutto condivisibile la ricostruzione della dinamica dell’incidente effettuata dal primo giudice e le conseguenze che quest’ultimo ne ha tratto in ordine alla rilevanza delle condotte dei due conducenti coinvolti”.

La considerazione in ordine al difetto di specificità risulta effettuata solo ad abundantiam in un inciso dal quale non si ricava affatto che non siano state prese in considerazione le censure di merito concretamente avanzate. Tale considerazione dunque non può assolutamente ritenersi costituire la principale ed effettiva ragione della decisione, che – come appena osservato – ha riscontrato la correttezza logico-giuridica del giudizio in fatto operato dal tribunale ed ha quindi esaminato il merito della domanda, con la puntuale confutazione di tutte le censure mosse sul punto dagli appellanti.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti circa la dinamica del sinistro (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Il motivo è infondato.

Non è esatto che non sia stato preso in esame in sede di merito il fatto (negativo) costituito dall’omessa manovra di emergenza da parte del C..

Il tribunale ha espressamente precisato che non vi erano i margini per effettuare alcuna manovra di emergenza alla velocità di fatto tenuta da C. che, sebbene non violasse i limiti imposti, è stata ritenuta comunque eccessiva (e per questo è stato riconosciuto un concorso colposo del C. nella causazione dell’evento, nella misura del il 30%), e la corte di appello ha condiviso, sotto il profilo logico-giuridico, questa valutazione.

L’esame del fatto indicato dai ricorrenti non è perciò stato omesso.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “sul danno patrimoniale della madre R.A.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3; nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5 – caso già esaminato da Cass. civ. Sez. Un. 11.11.2008 n. 26973 in fattispecie similare”.

Il motivo (relativo al mancato riconoscimento del danno patrimoniale in favore della madre, con riguardo alla futura eventuale contribuzione al reddito familiare da parte della vittima, quarantenne convivente), è inammissibile.

La corte di appello ha applicato correttamente i principi di diritto affermati da questa Corte in ordine al presupposto per il riconoscimento della specifica voce di danno patrimoniale in esame, per cui è richiesta la prova, non soltanto della titolarità di un reddito da parte della vittima, ma anche della sua contribuzione stabile ai bisogni del genitore (sul punto, ad es., Cass. Sez. 3, Sentenza n. 759 del 16 gennaio 2014: “ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro, patito dai genitori per la morte del figlio in conseguenza del fatto illecito altrui, è necessaria la prova, sulla base di circostanze attuali e secondo criteri non ipotetici ma ragionevolmente probabilistici, che essi avrebbero avuto bisogno della prestazione alimentare del figlio, nonchè del verosimile contributo che il figlio avrebbe versato per le necessità della famiglia”; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7272 dell’11 maggio 2012: “affinchè i genitori di una persona di giovane età, deceduta per colpa altrui, possano ottenere il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita degli emolumenti che il figlio avrebbe loro verosimilmente elargito una volta divenuto economicamente autosufficiente, non è sufficiente dimostrare nè la convivenza tra vittima ed aventi diritto, nè la titolarità di un reddito da parte della prima, ma è necessario dimostrare o che la vittima contribuiva stabilmente ai bisogni dei genitori, ovvero che questi, in futuro, avrebbero verosimilmente e probabilmente avuto bisogno delle sovvenzioni del figlio”; nello stesso senso: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8546 del 3 aprile 2008; Sez. 3, Sentenza n. 24435 del 19 novembre 2009).

Non essendovi specifica contestazione sulla mancanza di detta prova, secondo quanto affermato sul punto in sede di merito, la censura va dichiarata inammissibile.

I ricorrenti si sono limitati a reiterare le generiche allegazioni ipotetiche già svolte in fase di merito sulla eventualità di poter presumere una contribuzione al reddito della madre vedova da parte della vittima convivente, in base alle sole circostanze già ritenute insufficienti dai giudici di merito, senza nessuna critica di tale valutazione, nè indicazione di fatti a tal fine decisivi e di cui sarebbe stato omesso l’esame.

E’ poi appena il caso di osservare che il precedente delle Sezioni Unite di questa Corte richiamato nell’intitolazione del motivo di ricorso (in cui era stata ritenuta insufficientemente motivata una pronunzia di merito che non aveva fatto uso di presunzioni in un caso analogo) non può ritenersi conferente, in quanto la fattispecie in esame è regolata dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e quindi l’insufficienza della motivazione non è più censurabile in sede di legittimità, e d’altra parte non risultano decisioni in cui si afferma che in via meramente ipotetica possa ritenersi l’esistenza del danno in questione, senza la sussistenza e la valutazione di specifiche circostanze di fatto che comprovino la stabile contribuzione ai bisogni dei genitori (in tal senso, cfr. anche: Cass., Sez. L, Sentenza n. 4980 del 08/03/2006, Rv. 587591; Sez. 3, Sentenza n. 18177 del 28/08/2007, Rv. 598972; Sez. 3, Sentenza n. 4791 del 01/03/2007, Rv. 596658, richiamata dagli stessi ricorrenti).

4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “sul danno catastrofale o terminale della vittima richiesto, pro quota ereditaria, da tutti i suoi congiunti del defunto odierni ricorrenti: nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c.; error in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Secondo i ricorrenti, il motivo di appello della compagnia relativo al danno cd. terminale o catastrofale subito dalla vittima e da essi richiesto a titolo ereditario (danno liquidato in primo grado in complessivi Euro 10.000,00) era da ritenersi inammissibile, in quanto generico.

Il motivo è infondato.

Sono gli stessi ricorrenti a riportare in ricorso il contenuto del motivo di appello della compagnia, in parte qua, e lo stesso è da ritenersi sufficientemente specifico, benchè espresso sinteticamente.

La compagnia aveva infatti dedotto che, essendo la vittima sopravvissuta per soli due giorni al sinistro senza riacquistare conoscenza, non era possibile riconoscere in suo favore il cd. danno catastrofale (e cioè quello per la sofferenza patita dalla vittima in conseguenza dell’approssimarsi della morte, potendosi al limite riconoscere solo un risarcimento a titolo di invalidità temporanea totale per i due giorni di sopravvivenza).

E la corte di appello ha riformato la pronunzia di primo grado proprio sul rilievo che non era stata allegata e provata la lucidità della vittima nei due giorni di sopravvivenza.

5. Con il quinto motivo del ricorso si denunzia “violazione del principio di non contestazione in ordine al fatto storico costituito dalla lucidità del de cuius durante il periodo di sopravvivenza in relazione agli artt. 115 e 167 c.p.c. e violazione dei principi espressi dalla Carta di Nizza ed extra petizione della Corte con vulnerazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè error in procedendo”.

Il motivo è infondato.

La corte di appello afferma (a pag. 13, righi da 18 a 21, della sentenza impugnata) che lo stesso giudice di primo grado aveva dato atto che la lucidità della vittima nei due giorni di sopravvivenza non era stata dagli attori neanche “allegata”, oltre a non essere provata. I ricorrenti trascrivono parte delle difese dei convenuti per dimostrare che esse non contenevano una specifica contestazione della lucidità della vittima nei due giorni di sopravvivenza, e sostengono che – nel ritenere non provato il fatto – la corte di appello avrebbe violato il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 167 c.p.c..

Ma per censurare efficacemente la eventuale mancata applicazione del principio di non contestazione essi avrebbero dovuto dedurre e documentare in primo luogo di avere specificamente allegato il fatto in questione, trascrivendo il proprio atto di citazione, dal momento che non ha certo alcun rilievo l’assenza di una espressa contestazione del convenuto in relazione a fatti non specificamente allegati dall’attore. Sul punto, invece, il ricorso è carente di idonee indicazioni.

Deve del resto considerarsi che nella specie le difese dei convenuti – per quanto emerge dalla sentenza impugnata – certamente non potrebbero dirsi logicamente incompatibili con la negazione del fatto (è appena il caso di osservare che contestare la possibilità di un risarcimento del danno cd. catastrofale per una sopravvivenza di soli due giorni non significa affatto implicitamente affermare la lucidità della vittima in quei due giorni).

Nell’esporre il motivo di ricorso in esame i ricorrenti sostengono anche che la prova della lucidità della vittima nei due giorni di sopravvivenza emergeva in realtà dagli atti, ma si tratta di una considerazione che, oltre ad essere del tutto estranea all’oggetto della censura in rubrica, risulta volta a contestare il merito della valutazione del materiale probatorio operata in sede di merito, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

6. Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., nonchè art. 185 c.p., nonchè 20/21/47 Carta di Nizza in relazione al mancato riconoscimento di un danno morale subiettivo transeunte ed altresì un pregiudizio biologico”.

Si premette che il motivo di ricorso in esame riguarda esclusivamente il danno cd. iure proprio subito dagli attori in conseguenza della perdita del rapporto parentale (danno morale, biologico ed esistenziale), come emerge del resto molto chiaramente dalla trascrizione delle domande contenute nell’atto di citazione (a pag. 47, 48 e 49 del ricorso), di cui quelle svolte in sede di gravame costituiscono, a detta degli stessi (pag. 49 del ricorso, rigo 8), mera riproposizione.

Il motivo dunque non riguarda affatto il danno subito direttamente dalla vittima e richiesto dai ricorrenti iure hereditatis (tale voce di danno è oggetto esclusivamente del quarto e del quinto motivo). Esso è comunque infondato.

Secondo i ricorrenti avrebbe dovuto essere liquidato distintamente, per il titolo qui in esame, il danno non patrimoniale ed il danno morale per tutti i congiunti, avendo essi in definitiva richiesto (in sede di gravame) la liquidazione delle seguenti voci:

– per la madre: 1a) “danno non patrimoniale totale ed assorbente”; 1b) “danno morale ed esistenziale”; 1c) “danno biopsicologico ed all’integrità personale ovvero alla salute iure proprio ripetibile” (oltre che: 1d) “danno patrimoniale ripetibile dalla predetta”, voce estranea al motivo di ricorso in esame, che riguarda solo il danno morale subiettivo transeunte ed il pregiudizio biologico, così come le ulteriori voci 5 e 6, anch’esse relative a danni patrimoniali, e la voce 7, relativa al danno iure hereditatis);

– per i fratelli: 2a-3a-4a) “danno non patrimoniale complessivamente considerato” o “danno non patrimoniale unico (morale, biologico, da lesione parentale)”; 2b-3b-4b) “danno morale ed esistenziale e come lesione del rapporto parentale” (oltre che: 2c-3c-4c): “danno patrimoniale ripetibile… (dai predetti)”; voce estranea al motivo di ricorso in esame, che riguarda solo il danno morale subiettivo transeunte ed il pregiudizio biologico, così come le ulteriori voci 5 e 6, anch’esse relative a danni patrimoniali, e la voce 7, relativa al danno iure hereditatis).

La corte di appello ha invece correttamente e sufficientemente chiarito, in conformità con i principi di diritto affermati dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 dell’11 novembre 2008; conformi, ex multis e tra le più recenti, si vedano ad es.: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15491 dell’8 luglio 2014; Sez. L, Sentenza n. 687 del 15 gennaio 2014; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23 settembre 2013; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16 maggio 2013; Sez. 3, Sentenza n. 4043 del 19 febbraio 2013), cui il collegio intende dare continuità, che il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria, che ricomprende in sè tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale, e quindi sia quelle ricollegabili alla sofferenza e al dolore per la perdita del congiunto sia quelle consistenti nel venire meno del rapporto parentale e familiare.

Ha quindi coerentemente liquidato tale danno in misura unitaria, applicando le cd. tabelle milanesi riferite alla data della liquidazione, secondo quanto emerge (cfr. a pag. 56) dallo stesso ricorso, tabelle che, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, costituiscono corretta specificazione del parametro dell’equità nella liquidazione del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 1226 c.c. (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048; in senso conforme, ex multis, e tra le più recenti: Sez. 3, Sentenza n. 28290 del 22/12/2011, Rv. 620122; Sez. L, Sentenza n. 13982 del 07/07/2015, Rv. 635965; Sez. 3, Sentenza n. 20895 del 15/10/2015, Rv. 637448; Sez. 3, Sentenza n. 3505 del 23/02/2016, Rv. 638919), e che peraltro tengono appunto conto di tutti tali pregiudizi.

Il percorso motivazionale adottato dalla corte di merito sul punto è quindi logico, esaustivo e, soprattutto, del tutto conforme ai principi di diritto applicabili nella fattispecie, sopra richiamati.

7. Con il settimo motivo del ricorso si denunzia “violazione delle Tabelle di Milano da parte della Corte di Appello ambrosiana in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Anche questo motivo è infondato.

E’ certamente da escludersi la dedotta violazione di legge, peraltro erroneamente ricondotta dai ricorrenti direttamente alle “Tabelle di Milano”, che non costituiscono atti normativi e non dettano norme di diritto, piuttosto che all’art. 1226 c.c. e cioè alla norma giuridica che consente la liquidazione secondo equità del danno la cui entità non è dimostrabile, e di cui le “Tabelle di Milano” possono ritenersi una specificazione concreta generalmente accettata con riguardo al danno non patrimoniale (come osservato nel motivo precedente).

La liquidazione operata dalla corte di appello tiene conto di tutte le circostanze del caso concreto dedotte e dimostrate, e viene precisato che non sono stati allegati e provati elementi specifici per procedere ad una diversa personalizzazione del danno in favore dei fratelli della vittima – liquidato nella media dei valori – ma solo per quello in favore della madre, cui infatti è stato riconosciuto quasi l’importo massimo del parametro tabellare.

D’altra parte, la liquidazione operata nell’ambito dei valori tabellari, laddove non risultino allegati e provati fatti di cui si debba tener conto in sede di personalizzazione, non richiede – come avviene in caso di superamento dei limiti minimi e massimi di tali valori l’espresso riferimento a specifiche situazioni che si caratterizzino per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'”id quod plerumque accidit” (cfr. sul punto Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3505 del 23/02/2016, Rv. 638919).

8. Con l’ottavo motivo del ricorso si denunzia “omessa e/o mancata personalizzazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e manifesto error in procedendo per infrapetizione”.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, un vizio di nullità della sentenza o del procedimento per “infrapetizione”, in ragione del difetto di personalizzazione del danno biologico.

Ma, come già osservato, la corte di appello ha escluso di poter procedere ad una diversa personalizzazione del danno liquidato in favore dei fratelli della vittima, in quanto non erano stati allegati e provati i necessari elementi specifici, mentre per la madre, proprio sulla base di una adeguata personalizzazione, ha liquidato un importo pari quasi al massimo tabellare.

9. Con il nono (erroneamente rubricato come undicesimo) motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle spese di funere sostenute dalla madre”.

Anche questo motivo è infondato.

La corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio di diritto per cui il danno patrimoniale deve essere comunque provato dal danneggiato, potendo la liquidazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., supplire solo alla riscontrata impossibilità di provarne il quantum (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016, Rv. 638248; Sez. 6-L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011, Rv. 619916; Sez. 3, Sentenza n. 20990 del 12/10/2011, Rv. 620130; Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010, Rv. 612765). E nella specie ha rilevato che non vi era nessuna prova dell’an di tale danno.

I ricorrenti, pur deducendo vizio di violazione di legge, richiedono in sostanza un’inammissibile nuova e diversa considerazione delle prove presuntive, ritenute inidonee dai giudici di merito con valutazione immune dai vizi deducibili ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e di fatto finiscono per pretendere un non consentito automatico risarcimento, pur in mancanza di prova del danno.

Nessuna delle norme di diritto richiamate può dunque ritenersi effettivamente violata.

10. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, coma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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