Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41 del 03/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 03/01/2011), n.41

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19717-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato CARRIERI MARIO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8633/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/03/2007 R.G.N. 10780/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. TRICOMI Irene;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 8633/06, di cui si domanda la cassazione, accoglieva l’appello di P.C. e, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 12 marzo 2004.

dichiarava inefficace il licenziamento per riduzione di personale intimato da Poste Italiane s.p.a. con decorrenza dal 31.12.2001, emanando le conseguenti statuizioni di condanna.

L’appello è stato giudicato infondato sul rilievo, ritenuto assorbente delle altre ragioni poste a fondamento dell’impugnazione del licenziamento, che la comunicazione prescritta dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4. comma 9, era stata inviata al soggetto destinatario oltre trenta giorni dalla comunicazione del recesso, in violazione del precetto di contestualità.

Il ricorso di Poste Italiane s.p.a. è articolato in unico motivo.

2. Resiste con controricorso il lavoratore.

3. Le difese delle parti sono state ulteriormente precisate da memorie depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, sostenendo che la norma deve interpretarsi nel senso che la prescrizione di contestualità si riferisce al nesso tra procedimento di riduzione di personale e licenziamento nell’ambito del periodo di 120 giorni entro il quale deve concludersi la procedura, cosicchè si deve aver riguardo alla ragionevole entità del ritardo (nella specie di trenta giorni), tale da non pregiudicare il diritto all’impugnazione del licenziamento in relazione alla conoscibilità delle ragioni della scelta imprenditoriale.

La ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: se la norma contenuta nella L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, secondo cui le comunicazioni all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria devono essere inviate contestualmente ai recessi ai singoli dipendenti, deve essere interpretata non come previsione di una assoluta contemporaneità dei due atti, ma nel senso che i predetti vanno inviati nel rispetto di una tempistica di ragionevole immediatezza degli uni rispetto agli altri, da individuare, in particolare, nel termine di centoventi giorni previsto per la conclusione della procedura di licenziamento e comunque con tempi tali da non incidere sul diritto di impugnazione del recesso.

1.1. Il suddetto motivo di ricorso non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare (Sezione lavoro, sentenza n. 7408 del 2010 e sentenza n. 1722 del 2009), intervenute a comporre un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni unite della Corte hanno enunciato il principio secondo il quale, nella materia dei licenziamenti regolati dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto degli interessi dei singoli lavoratori coinvolti nella procedura, la sanzione dell’inefficacia del licenziamento, ai sensi dell’art. 5, comma 3, ricorre anche in caso di violazione della norma di cui all’art. 4, comma 9, che impone al datore di lavoro di dare comunicazione, ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali, delle specifiche modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare; tale inefficacia può essere falla valere da ciascun lavoratore interessato nel termine di decadenza di sessanta giorni previsto dal citato art. 5, mentre al relativo vizio procedurale può essere dato rimedio mediante il compimento dell’atto mancante o la rinnovazione dell’atto viziato (Sezioni unite, sentenza n. 302 del 2000 e sentenza n. 419 del 2000).

La giurisprudenza della Corte, inoltre, ha chiarito che nessuna comunicazione dei motivi del recesso viene prescritta con riguardo al singolo lavoratore, essendo sufficiente che il recesso venga operato tramite atto scritto, di talchè solo attraverso le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, è reso possibile all’interessato di conoscere in via indiretta le ragioni della sua collocazione in mobilità (Sezione lavoro, sentenza n. 11258 del 2000 e sentenza n. 5718 del 1999).

Appare, quindi, evidente come la comunicazione dei cui alla L. n. 223 del 1991, assolva la funzione di rendere visibile e, quindi controllabile dalle organizzazioni sindacali (e tramite queste dai singoli lavoratori) la correttezza del datore di lavoro in relazione alle modalità di applicazione dei criteri di scelta e la possibilità del controllo si pone quale indispensabile presupposto per l’esercizio del potere, spettante al singolo lavoratore, di impugnare il licenziamento. Ed allora, le possibilità sono due: o la comunicazione non vi è stata, ovvero presenta contenuti insufficienti, ed allora il lavoratore, nel termine di decadenza stabilito dall’art. 5, potrà impugnare il recesso comunicatogli per iscritto per farne dichiarare l’inefficacia; oppure è stata fatta ritualmente e il recesso potrà essere contestato nello stesso termine solo per ottenerne l’annullamento per violazione dei criteri di scelta.

Entro queste linee di sistema va interpretata la prescrizione legislativa di contestualità tra recesso e comunicazioni ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali: si può ammettere senza difficoltà che le comunicazioni possano precedere l’intimazione dei licenziamenti, assolvendo così pienamente e meglio la funzione di garanzia e controllo; cosicchè è da ritenere che a legge, proprio al fine di attenuare la rigidità degli oneri posti a carico del datore di lavoro, gli consente di inviare le comunicazioni contestualmente ai recessi. Ma non è possibile ritenere che. salvo l’intervento di cause di forza maggiore, possa, senza subirne effetti pregiudizievoli, procedere ad intimare i licenziamenti ritardando il momento di invio delle comunicazioni. Appare infatti evidente, decorrendo il termine per impugnare il recesso, secondo il chiaro dettato normativo, in ogni caso dalla sua comunicazione per iscritto, che la mancanza delle contestuali comunicazioni attribuisce all’interessato il potere di ottenere l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento, e la tardiva comunicazione non potrebbe eliminare la situazione di vantaggio giù sorta. Del resto, le stesse argomentazioni del ricorrente giovano piuttosto alla tesi accolta dalla sentenza impugnata: dire che il lavoratore non ha subito pregiudizio dal ritardo, perchè gli erano rimasti ulteriori trenta giorni per impugnare il licenziamento, significa sostenere che un termine di decadenza possa essere abbreviato dal comportamento del soggetto passivo del potere.

Queste le ragioni che sono alla base dell’orientamento assolutamente prevalente della Corte, secondo cui il requisito della contestualità della comunicazione del recesso alle organizzazioni sindacali e alle indicate amministrazioni pubbliche, comunicazioni sicuramente richieste a pena di inefficacia del licenziamento – non può non essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido e analitico, e con termini decisamente ristretti, nel senso di una necessaria contemporaneità la cui mancanza vale ad escludere la predetta sanzione della inefficacia del licenziamento solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovare dal datore di lavoro (Sezione lavoro, sentenza n. 15898 del 2005 e sentenza n. 5578 de 2004).

Non è possibile, quindi, condividere altre impostazioni che pure affiorano in qualche precedente della Corte, perchè la proposta valorizzazione della misura cronologica del requisito della contestualità (si cfr. Sezione lavoro, sentenza n. 4970 del 2006) contraddice la funzione di garanzia dei licenziati da attribuire alle comunicazioni, contenenti le motivazioni individuali dell’atto di gestione de rapporto di lavoro, e si rileva incoerente con il complessivo disegno legislativo.

Il ricorso proposto da Poste Italiane s.p.a. deve, pertanto, essere rigettato.

2. L’evoluzione giurisprudenziale in materia induce a compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011

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