Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4099 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. I, 09/02/2022, (ud. 19/10/2021, dep. 09/02/2022), n.4099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25734/2020 proposto da:

O.P., elettivamente domiciliato in Brindisi, presso

l’Avv.to Marcello Biscosi, (indirizzo pec) che lo rappresenta e

difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza n. 906/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 23/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2021 da Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Lecce con sentenza in data 23/9/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Lecce in ordine alle istanze avanzate da O.P. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla regione di Edo State aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Lecce di essere fuggito dal proprio paese dopo l’omicidio del suo datore di lavoro dovuto al fatto che era un importante esponente del partito (OMISSIS). Infatti il predetto era stato assassinato il giorno precedente alle elezioni presidenziali del 2015 da uomini travestiti che avevano cercato anche lui per ucciderlo.

La Corte distrettuale in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché ritenendolo anche non credibile una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Lecce ha violato il dovere di cooperazione istruttoria in quanto ha fondato la decisione su fonti di informazione generiche e non sulle COI aggiornate, escludendo così i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto alla protezione sussidiaria.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva 32/2013/UE in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la Corte di Appello di Lecce ha ritenuto il ricorrente non credibile senza disporne l’audizione.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la Corte di Appello di Lecce non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari e non ha tenuto conto della integrazione raggiunta in Italia.

Il ricorso è inammissibile e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi che sollecitano un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente. A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine considerato che il giudice ha citato a pag. 5 le fonti aggiornate consultate in ordine alla situazione generale della regione di provenienza del ricorrente.

In ordine al secondo motivo il giudice ha ritenuto di poter decidere in base agli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale senza disporre una nuova audizione (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C-348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire.

In ordine poi alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato. Il giudice ha constatato che nessuna allegazione di condizioni di vulnerabilità ricollegate alle conseguenze dell’allontanamento erano state fatte valere, non potendo introdurre d’ufficio i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. 27336/2018).

Quanto al livello di integrazione raggiunto in Italia il Tribunale ha accertato che il ricorrente non ha prodotto documentazione relativa alla attività lavorativa ed è esente da patologie.

In ordine poi alla comparazione tra la situazione attuale e quella del paese di origine alla luce della pronuncia di questa Corte n. 4455/2018 e quella successiva Cass. 17169/2019 nonché recentemente Cass. 24413 del 9/9/2021 non risulta dimostrato in alcun modo che il rimpatrio del ricorrente possa determinare la privazione della titolarità dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile della dignità personale né risulta un grado di integrazione raggiunta nel nostro paese tale da integrare motivo sufficiente, secondo quanto accertato dal giudice di merito, ai fini dell’accoglimento del ricorso, a tutela di un maturato e consolidato inserimento sociale-lavorativo peraltro non dimostrato.

Infine in riferimento alla violazione dell’art. 32 Cost. e degli artt. 2 e 3CEDU ed all’omessa valutazione della situazione di pandemia in atto avendo il decidente denegato l’accesso alla protezione umanitaria malgrado lo stato di pandemia in atto lo rendesse meritevole del suo riconoscimento, la censura è inammissibile perché nel provvedimento impugnato la questione non risulta proposta. Infatti poiché nel provvedimento impugnato non vi è alcuna traccia del riferimento alla questione dell’emergenza determinate dalla pandemia da covid ‘19, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041).

Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430); che, nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non deducendo nemmeno di aver sollevato dinnanzi al giudice d’appello la questione in oggetto.

Il ricorso proposto deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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