Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4096 del 20/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 20/02/2018, (ud. 30/11/2017, dep.20/02/2018),  n. 4096

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso a norma della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35 ter, modificata dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito in L. 11 agosto 2014, n. 117, D.B.C., detenuto nella Casa Circondariale di (OMISSIS) dal 15 giugno 2012 al 9 maggio 2014, ha chiesto di fare accertare la violazione dell’art. 3 della CEDU e di condannare lo Stato al risarcimento del danno per essere stato detenuto in condizioni inumane e degradanti, a causa del ridotto spazio disponibile nella cella 42 del padiglione Firenze in cui era stato ristretto, della scarsa igiene, dell’inadeguato riscaldamento, della ridotta misura di ore d’aria e del sovraffollamento della struttura carceraria.

2. – Il Tribunale di Napoli, con decreto del 16 dicembre 2016, ha rigettato il ricorso. Lo spazio utilizzabile dal D.B., in una cella collettiva di 26,00 mq., era di mq. 3,25 per ciascun detenuto, quindi superiore ai 3 mq. richiesti dalla giurisprudenza della Corte Edu; vi erano tre finestre, un bagno in un locale separato, acqua calda e riscaldamento; l’ingombro del letto doveva considerarsi spazio usufruibile, mentre non rilevava lo spazio occupato da mobiletti come sgabelli e tavolini.

3. – Avverso il predetto decreto il D.B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. Il Ministero della Giustizia si è difeso con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il D.B., nel lamentare violazione della L. n. 374 del 1975, art. 35 ter, imputa al Tribunale di non avere considerato che lo spazio vivibile nella cella era stato inferiore ai 3 mq., dovendosi scomputare quello occupato dal letto a castello e da ogni mobile ivi presente, e che le condizioni di vita all’interno della cella, seppure superiore ai 3 mq., erano comunque degradanti.

2. – Il ricorso è fondato.

2.1. – L’art. 3 della Cedu non ha tipizzato le condotte integratrici dei trattamenti inumani o degradanti e neppure l’art. 27 Cost., comma 2, stabilendo che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”, ha stabilito alcuno specifico canone per la determinazione dei trattamenti vietati. Analogamente, con particolare riferimento ai luoghi di soggiorno e di pernottamento, l’art. 6 dell’Ordinamento penitenziario (L. n. 254 del 1975 cit.) prescrive solo, al comma 1, che “i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente…” e, al secondo comma, che “i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti”; anche il corrispondente art. 6 del Regolamento penitenziario (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) non contiene alcun parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento.

E’ stata la giurisprudenza della Corte Edu a fissare, mediante plurimi arresti, specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari idonei a soddisfare i requisiti minimi di abitabilità, che il giudice di merito è chiamato ad accertare, quando sia adito dal detenuto che si dolga di essere stato sottoposto a trattamento inumano o degradante, ferma restando la facoltà per gli Stati e, quindi, per la giurisprudenza nazionale, desumibile dall’art. 53 CEDU, di prevedere standard di tutela dei diritti fondamentali più elevati di quelli garantiti da detta convenzione (in generale cfr. Corte Edu, 23 maggio 2016, Grande Camera, Avotins c. Lettonia).

Tali standard integrano ex artt. 11 e 117 Cost., il parametro normativo di riferimento per il giudice di merito, la cui violazione è censurabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, mentre è censurabile a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per la ricostruzione della fattispecie concreta.

2.2. – Lo Stato incorre nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Cedu, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte Edu (con sentenza dell’8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia), quando il detenuto in una cella collettiva non possa disporre singolarmente di almeno 3 mq. di superficie, detraendo l’area destinata ai servizi igienici e agli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini.

Dal calcolo della superficie va espunto lo spazio del letto sia “a castello” che singolo, essendo in entrambi i casi compromesso il “movimento” del detenuto nella cella: infatti, se è vero che lo spazio occupato dal primo è usufruibile per il riposo e l’attività sedentaria, è anche vero che tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal “movimento”, il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente “libero” (Cass., 1 sez. pen., n. 12338 del 2017, Agretti).

Qualora la superficie utilizzabile sia inferiore ai 3 mq. sussiste la “forte presunzione” della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, tuttavia vincibile, alla luce della giurisprudenza della Corte Edu (sentenza del 20 ottobre 2016, Grande Camera, Mursic c. Croazia), attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella brevità della restrizione carceraria, nell’offerta di attività da svolgere in spazi ampi all’esterno della cella, nell’assenza di aspetti negativi relativi ai servizi igienici e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione (Cass., 1 sez. pen., n. 11980 del 2017, Mocanu; 1 sez. pen., n. 52819 del 2016, Sciuto). L’onere di dimostrare la sussistenza di tali fattori nel caso concreto grava sullo Stato convenuto in giudizio, una volta accertato che lo spazio individuale sia stato inferiore ai 3 mq.

2.3. – Di questi principi il decreto impugnato ha fatto erronea applicazione. Infatti, nel determinare in 3,25 mq. la superficie a disposizione del detenuto, seppure nel periodo di massima occupazione della cella, il Tribunale non ha considerato che lo spazio minimo vitale è necessariamente quello calpestabile e funzionale al movimento del detenuto nella cella, quindi senza l’ingombro del letto; nè ha dato conto in modo specifico dell’esistenza dei sopra indicati fattori compensativi, che dev’essere dimostrata dallo Stato convenuto in giudizio, nel caso in cui lo spazio risulti inferiore al limite dimensionale dei 3 mq.

3. – In accoglimento del ricorso, il decreto impugnato è cassato e la causa è rinviata al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato; rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2018

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