Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4096 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. II, 16/02/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26638-2019 proposto da:

O.H., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIULIO MARABINI ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in FORLI’, VIA G.

REGNOLI 51;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 sono

domiciliati;

– controricorrente –

avverso il Decreto n. 3464/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA pubblicato

in data 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.H. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in via subordinata, di quella umanitaria.

All’udienza del 30.10.2018, il ricorrente aveva dichiarato di essere nato ad (OMISSIS); che era sposato con due bambini; che faceva l’autista e lavorava con il re di Ob. Ob. Uk. nel Delta State; che il 5.1.2016, mentre stavano andando verso Abo, un gruppo di persone aveva fermato l’auto e rapito il re; arrivato a casa del re, dove egli abitava, i rapitori avevano chiamato chiedendo un riscatto; che aveva promesso di pagare; che dopo tre giorni avevano trovato il corpo del re; che i rapitori avevano insistito per avere la somma minacciando di ucciderlo perchè aveva dato la sua parola che avrebbe pagato; che non aveva ricevuto alcun aiuto dalla polizia; che era stato costretto a spostarsi in due diversi luoghi e poi in un’altra città; che raggiungeva l’Italia nel febbraio 2017.

Con decreto n. 3464/2019, depositato in data 11.07.2019, il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso, ritenendo che il racconto fosse inattendibile per le dichiarazioni generiche e prive di dettagli, specie con riferimento alle modalità e agli autori del rapimento e alle minacce da lui ricevute, oltre che incoerente. Pertanto, il giudizio di non attendibilità esimeva il Giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione di aggiornate informazioni sul Paese d’origine. Tale valutazione di inattendibilità non consentiva di ritenere concreto il pericolo per il ricorrente di essere oggetto di persecuzione (tale profilo non era stato paventato dal ricorrente) o di subire una delle forme di danno grave alla persona individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Nè nella regione di provenienza del ricorrente sussisteva una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Infine, anche la domanda di protezione umanitaria doveva essere rigettata, in assenza di specifici indicatori di necessità di protezione, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Inoltre, lo studio della lingua italiana non appariva sintomatico di un suo radicamento sul territorio, nè era ostativo al rientro in patria, dove il ricorrente aveva tutti i suoi riferimenti familiari. Anche all’esito della valutazione comparativa non risultava un’incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione O.H. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. e), artt. 4, 9, 15 e 20 Direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14 e omesso esame degli elementi di fatto in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”. Il Giudice avrebbe omesso di considerare la reale situazione di pericolosità del territorio di provenienza, tale da far presumere che, in caso di rientro, il richiedente possa essere assoggettato al rischio di un danno grave, trascurando così il proprio dovere di cooperazione istruttoria. A differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, la protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), prescinde da qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Questa Corte ha ripetutamente chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018).

Come, inoltre precisato (Cass. n. 14006 del 2018) con riguardo alla protezione sussidiaria dello straniero, prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), “l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia”.

1.3. – La nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; v. Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018).

1.4. – Tanto premesso, va rilevato che il Tribunale ha analiticamente motivato (con il dovuto specifico riferimento e richiamo a quanto affermato dai siti internazionali accreditati: cfr. Cass. n. 15794 del 2019) le ragioni per cui si debba escludere che il richiedente provenga da una zona della Nigeria (il Delta State) in cui si registri un clima di tensione tale da far presumere che in caso di suo rientro possa andare incontro a torture o altre forme di trattamento inumano e degradante, deducendo viceversa che la situazione politica quantomeno di tale zona del Paese risulta, al momento, sufficientemente stabile (si veda a pag. 5 del decreto impugnato, in cui sono riportate le fonti più recenti ed accreditate; e dalle quali si desume che nella zona del Delta State, regione di provenienza del ricorrente, non ricorre una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, tale da porre la popolazione civile in pericolo per il sol fatto di essere presente sul territorio).

Il giudice di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine del richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’articolata analitica valutazione desunta (come detto) da siti internazionali accreditati, senza peraltro che il ricorrente abbia, in senso contrario, addotto altre idonee fonti.

2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e insufficiente motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria”, laddove il Giudice dovrebbe verificare se la violenza indiscriminata sia idonea, pur in mancanza del riconoscimento di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, e ad integrare una situazione di vulnerabilità idonea a disporre la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio di un permesso di natura umanitaria, non dovendo dal ricorrente essere dedotte ragioni diverse rispetto a quelle prospettate.

2.2. – Il motivo è inammissibile.

2.3. – Questa Corte ha premesso che la protezione umanitaria costituisce una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017; Cass. n. 252 del 2019). Ciò che si demanda al giudice è “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.

A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018).

Poste tali premesse, nella specie non si rileva il denunciato omesso esame di domanda, dato che la Corte di merito ha esplicitamente scrutinato, e respinto, con motivazione congrua, la domanda dell’odierno ricorrente volta al riconoscimento della protezione umanitaria.

2.4. – Il decreto impugnato ha qualificato, in primo luogo, come inattendibile il racconto del richiedente la protezione internazionale segnalando le lacune e le contraddizioni del racconto reso dallo stesso. Peraltro, in materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 11267 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018). E la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione nei limiti di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1; doglianza che non solo non è stata dedotta, ma che, ovviamente, non potrebbe consistere nella prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di questione attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

2.4. – Quanto all’accezione oggettiva della condizione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha escluso per la zona di provenienza del richiedente, la Nigeria, la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e diffusa idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi.

Esso ha inoltre correttamente negato la sussistenza di elementi tali da far ritenere l’appellante un soggetto in situazione di vulnerabilità, non essendo state dimostrate specifiche situazioni di vulnerabilità, parimenti neppure dedotte (quali, tra l’altro, le condizioni di salute del ricorrente ritenute non adeguatamente comprovate). Il giudice di merito ha quindi correttamente concluso, avuto riguardo alle ragioni di natura essenzialmente economiche che avevano spinto l’appellante a lasciare il proprio Paese, per l’infondatezza della sua richiesta di protezione umanitaria.

D’altro canto, è stato giustamente posto in rilievo che “il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel Paese d’origine i m idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili” (Cass. n. 4455 del 2018).

3 – Il ricorso è dunque inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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