Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 409 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 25/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti rispettivamente iscritti al numero 26911 del

ruolo generale dell’anno 2013 e al numero 25475 del ruolo generale

dell’anno 2015, proposti da:

P.R., (C.F.: (OMISSIS)), PR.Ad. (C.F.: (OMISSIS)),

P.P. (C.F.: (OMISSIS)) P.L. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso,

dall’avvocato Maria Antonietta Lamazza (C.F.: LMZMNT65S60C7263);

– ricorrenti in entrambi i procedimenti riuniti –

T.V., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura a margine del ricorso, dagli avvocati Ugo Lenzi (C.F.: non

dichiarato) e Maria Antonietta Lamazza (C.F.: LMZMNT65S60C7263);

– ricorrente nel solo procedimento n. 26911/2013 –

nei confronti di:

GENERALI ITALIA S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del procuratore

M.M. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

controricorso, dagli avvocati Michele Carpano (C.F.:

CRPMHL461322L219V) e Marco Vincenti (C.F.: VNCMRC60L24H501W);

– controricorrente in entrambi i procedimenti riuniti –

nonchè

SATAP – Società, Autostrada Torino Alessandria Piacenza S.p.A.

(C.F.: non dichiarato), in persona del legale rappresentante pro

tempore;

UNIPOL S.p.A., già AURORA ASSICURAZIONI S.p.A. (C.F.: non

dichiarato), in persona del legale rappresentante pro tempore;

MILANO ASSICURAZIONI S.p.A. (C.F.: non dichiarato), in persona del

legale rappresentante pro tempore

REALE MUTUA ASSICURAZIONI S.p.A. (C.F.: non dichiarato), quale

delegata del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, in

persona del legale rappresentante pro tempore

IMMAGINEAZIONE S.a.s. di B.R. & C. (C.F.: non

dichiarato), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati in entrambi i procedimenti riuniti –

per la cassazione delle sentenze della Corte di Appello di Torino n.

767/2013, depositata in data 10 aprile 2013 e n. 1553/2015,

depositata in data 13 agosto 2015;

udita la relazione sulle cause svolta alla pubblica udienza in data

25 ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Maria Antonietta Lamazza, per i ricorrenti;

l’avvocato Roberto Otti, per delega degli avvocati Michele Carpano e

Marco Vincenti, per la società controricorrente;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso n. 25475/2015 e per l’accoglimento del

primo motivo del ricorso n. 26911/2013, con assorbimento del secondo

e del quinto e rigetto del terzo e del quarto.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti atti di citazione Pr.Ad., nonchè P.P., R. e L. (eredi di P.S.), T.V. e Immagineazione S.a.s. agirono in giudizio nei confronti della S.A.T.A.P. (Società Autostrada Torino Alessandria Piacenza) S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro avvenuto il (OMISSIS) – a causa delle condizioni del fondo stradale – sull’autostrada gestita da quest’ultima, nel quale P.S. perse la vita, T.V. subì lesioni personali e l’autovettura da quest’ultimo condotta, di proprietà della Immagineazione S.a.s., riportò danni materiali.

I tre giudizi furono riuniti dopo la chiamata in causa da parte della convenuta delle proprie assicuratrici per la responsabilità civile Ina Assitalia S.p.A., Unipol S.p.A. e Milano Assicurazioni S.p.A., nonchè della Reale Mutua Assicurazioni S.p.A., quale impresa designata alla liquidazione dei sinistri a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada.

La domanda fu parzialmente accolta dal Tribunale di Asti, il quale condannò SATAP S.p.A. a pagare, oltre le spese funerarie, Euro 318.000,00 ciascuno in favore di Pr.Ad. e P.R. (genitori della vittima), Euro 254.000,00 in favore di P.P. (fratello gemello), Euro 195.000,00 in favore di P.L. (sorella non convivente), Euro 114.611,17 in favore di T.V., ed il valore dell’autovettura danneggiata in favore di Immagineazione S.a.s.. Le compagnie assicuratrici furono a loro volta condannate a manlevare SATAP S.p.A. degli effetti della condanna.

La Corte di Appello di Torino (sentenza n. 767/2013) in riforma della decisione di primo grado, ha invece liquidato: a titolo di danno non patrimoniale, l’importo di Euro 200.000,00 ciascuno in favore di Pr.Ad. e P.R., l’importo di Euro 100.000,00 in favore di P.P., l’importo di Euro 50.000,00 in favore di P.L., l’importo di 54.611,17 in favore di T.V.; a titolo di danno patrimoniale, l’importo di Euro 2.246,39 in favore di tutti gli eredi della P. in solido e l’importo di Euro 22.150,00 in favore di Immagineazione S.a.s. (oltre interessi e rivalutazione su tutte le suddette somme).

Di tale sentenza gli eredi di P.S. hanno chiesto la revocazione, ma l’impugnazione è stata dichiarata inammissibile dalla stessa Corte di Appello di Torino (con la sentenza n. 1553/2015). Sia gli eredi di P.S. che il T., sulla base di cinque motivi, ricorrono avverso la sentenza di merito (n. 767/2013).

I soli eredi di P.S., sulla base di un unico motivo, ricorrono avverso la sentenza (n. 1553/2015) che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione.

Resiste in entrambi i procedimenti, con distinti controricorsi, Generali Italia S.p.A..

Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Riunione dei ricorsi.

Preliminarmente, è disposta la riunione dei due distinti ricorsi (rispettivamente iscritti al n. 26911/2013 ed al n. 25475/2015 del R.G.) avanzati dagli eredi di P.S. contro la sentenza di merito di secondo grado e contro la sentenza che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione della stessa, in quanto “i ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell’art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza; infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla citata norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25376 del 29/11/2006, Rv. 592875; Sez. L, Sentenza n. 7568 del 01/04/2014, Rv. 630261).

2. Esame del ricorso (iscritto al n. 25475/2015 R.G.) avverso la sentenza (n. 1553/2015) di inammissibilità dell’impugnazione per revocazione della sentenza di secondo grado.

Deve essere in primo luogo esaminato il ricorso iscritto al n. 25475/2015 R.G., proposto avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino (n. 1553/2015) che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione della sentenza di secondo grado pronunziata nel giudizio di merito.

Esso è fondato su unico motivo, con il quale si denunzia “omessa pronunzia in merito ad una delle domande avanzate con l’atto di revocazione – violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4”.

I ricorrenti deducono che, in sede di revocazione, la corte di appello non si sarebbe pronunziata sulla loro domanda – avanzata in via subordinata – di maggiorazione dell’importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, sia pure nell’ambito dei parametri tabellari, in base alla riconosciuta insussistenza di una stabile relazione sentimentale della vittima che avrebbe attenuato il dolore della scomparsa, fatto pacificamente percepito erroneamente dalla sentenza di appello.

Il motivo è infondato.

i La corte di appello si è espressamente pronunziata su tale domanda.

In particolare:

a) nel negare la decisività e la “rilevanza” della ritenuta stabile relazione sentimentale per il superamento dei massimi tabellari nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale della vittima, ha escluso il necessario rapporto di causalità (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25376 del 29/11/2006, Rv. 592876, Sez. 3, Sentenza n. 4265 del 24/02/2014, Rv. 630166) tra il fatto erroneamente percepito e la decisione impugnata, che era fondata sulla mancanza di allegazione e prova di elementi di personalizzazione idonei a giustificare il suddetto superamento dei limiti; e questo capo di decisione non è censurato;

b) ha escluso di poter procedere all’esame della richiesta (avanzata in via subordinata dai ricorrenti) di maggiorazione della liquidazione, effettuata in secondo grado nei limiti dei parametri tabellari – in base a criteri che gli stessi ricorrenti avevano definito “oscuri”, in quanto non esplicitati – poichè esulava dai confini del giudizio di revocazione.

Non sussiste dunque omissione di pronunzia sulla domanda subordinata indicata dai ricorrenti, dichiarata inammissibile.

Da ciò consegue il rigetto del ricorso n. 25475/2015 R.G..

3. Esame del ricorso (iscritto al n. 26911/2013 R.G.) avverso la sentenza di merito di appello n. 767/2013.

3.1 Con il primo motivo del ricorso n. 26911/2013 R.G. (motivo proposto dai soli eredi P.) si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Riduzione degli importi liquidati a titolo risarcimento danni in favore degli eredi P., effettuata sull’erronea statuizione che la “(…) P.S. (…) era una donna autonoma, con una propria vita affettiva” e che la medesima avesse una relazione sentimentale stabile, disconfermata dagli atti di causa”.

Il motivo è inammissibile.

Come già evidenziato nell’esame del ricorso n. 25475/2015 R.G., infatti, la Corte di Appello di Torino, in sede di revocazione, ha indicato le ragioni del carattere non decisivo – nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale – della erronea supposizione di una stabile relazione sentimentale della vittima P. e su questo autonomo capo della decisione sulla revocazione – sentenza n. 1553/2015 – si è formato il giudicato, in conseguenza del rigetto del suddetto ricorso.

Va comunque sottolineato che, nel percorso motivazionale della pronunzia impugnata, la relazione sentimentale stabile della P. risulta presa in considerazione (sia pure non quale elemento di carattere decisivo, come già visto) esclusivamente nella valutazione operata al fine di escludere che sussistessero i presupposti per il superamento dei limiti tabellari. Essa non è invece considerata tra gli elementi poi effettivamente valutati per la concreta liquidazione del danno non patrimoniale nell’ambito dei limiti tabellari (liquidazione che risulta semplicemente fondata, ai sensi dell’art. 1226 c.c., sull’equità, di cui i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano costituiscono adeguata specificazione in concreto, secondo il costante indirizzo di questa Corte, almeno in mancanza di particolari “circostanze di cui il parametro tabellare non può aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit”: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3505 del 23/02/2016, Rv. 638919).

3.2 Con il secondo motivo del ricorso (proposto dai soli eredi P.) si denunzia “violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 4 e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Liquidazione delle spese giudiziali del 1^ grado di giudizio inferiore ai minimi previsti dalle tariffe forensi”.

I ricorrenti deducono che le spese del giudizio di merito di primo grado sarebbero state liquidate in misura inferiore ai minimi previsti dal relativo decreto ministeriale temporalmente vigente.

Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e in quanto carente di specificità.

Non viene infatti indicato esattamente quale errore avrebbe commesso la corte di appello nella liquidazione e neanche vengono esattamente indicate (e tanto meno documentate) le attività svolte che avrebbero imposto una liquidazione in misura superiore a quella di fatto operata.

Nel ricorso si afferma che allo stesso sarebbe allegata una nota spese, dalla quale presumibilmente dovrebbe emergere, in funzione delle attività svolte, la specifica degli importi minimi liquidabili, ma la nota non solo non è presente nel fascicolo come allegato del ricorso ma non risulta neanche riportata espressamente nell’indice dei documenti prodotti con quest’ultimo.

3.3 Con il terzo motivo del ricorso (proposto dal solo T.) si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Riduzione dell’importo liquidato a titolo risarcimento danni in favore del Dr. T., effettuata sulla sostenuta mancanza di prove relativamente alla perdita di professionalità lavorativa specifica”.

Anche questo motivo è inammissibile.

Vi è in primo luogo violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non risultano specificamente indicati i documenti posti a sostegno della censura (nè l’atto e/o la fase processuale in cui essi sarebbero stati prodotti e neanche la loro esatta allocazione nel fascicolo processuale di parte).

Inoltre il ricorrente specifica che i documenti in questione – neppure richiamati – corrispondono a quelli prodotti da Immagineazione S.a.s. a sostegno della domanda di risarcimento da questa proposta nei confronti di SATAP S.p.A. per la perdita di produttività dello stesso T., suo socio e dipendente, a cagione delle lesioni subite nell’incidente.

Tali documenti sono stati valutati dai giudici di merito (pag. 26 della sentenza impugnata) e ritenuti insufficienti anche a fondare la domanda della stessa società e questa statuizione non è censurata con la specifica indicazione dei vizi logici e giuridici da cui sarebbe affetta, onde anche sotto tale profilo la censura è inammissibile.

3.4 Con il quarto motivo del ricorso (anch’esso proposto dal solo T.) si denunzia “violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il ricorrente deduce che non sarebbe stato preso in considerazione, ai fini della liquidazione del risarcimento in suo favore, il profilo di danno biologico individuato nella sopravvenuta difficoltà di viaggiare in auto rappresentandosi l’evento occorso, psicologicamente stressante e per di più senza la compagnia di P.S..

Il motivo è infondato.

La corte di appello, infatti, nell’accogliere il gravame della SATAP S.p.A. sul danno da perdita della professionalità lavorativa specifica riconosciuto dal giudice di primo grado al T., per difetto di prova, ha evidenziato che tale profilo di danno è stato liquidato dal giudice di primo grado come incidente sulla capacità di lavoro generica, intesa come aspetto del danno biologico.

3.5 Con il quinto motivo del ricorso (proposto da tutti i ricorrenti) si denunzia “violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il motivo è infondato.

Dovendo le spese del giudizio di appello, che ha portato alla riforma della sentenza di primo grado, esser liquidate secondo il principio dell’esito finale della lite, non può ritenersi totale la soccombenza della SATAP S.p.A. – il cui appello è stato in parte accolto – neppure in primo grado (del resto la stessa proposizione dell’appello incidentale da parte dei ricorrenti dimostra che vi fu una loro parziale soccombenza già in primo grado, poi accentuata dall’accoglimento del gravame sul quantum della società responsabile del sinistro).

In una siffatta situazione la compensazione delle spese (nella specie peraltro solo parziale) ai sensi dell’art. 92 c.p.c., non necessita di alcuna ulteriore specifica motivazione, essendo a tal fine sufficiente la parziale reciproca soccombenza delle parti (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016, Rv. 638888; Sez. 6-2, Ordinanza n. 21684 del 23/09/2013, Rv. 627822; Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009, Rv. 610563).

4. I due ricorsi sono riuniti, ed entrambi rigettati.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, anche in considerazione delle peculiarità della vicenda sul piano sostanziale e processuale, dell’alterno andamento del giudizio in sede di merito e della oggettiva incertezza in ordine ad alcune delle questioni trattate.

Dal momento che i ricorsi risultano notificati successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi;

dichiara integralmente compensate tra tutte le parti le spese dei giudizi di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ogni ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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