Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 409 del 10/01/2018

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2018, (ud. 16/11/2017, dep.10/01/2018),  n. 409

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte della Società in intestazione e dei soci, di avvisi di accertamento relativi, rispettivamente per la Società ad IRES, IVA ed IRAP e per i soci ad Irpef degli anni 2005 e 2006, la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, confermava la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi introduttivi, dichiarando decaduta l’Amministrazione erariale dal potere impositivo per non essere applicabile l’istituto del raddoppio del termine, non sussistendo fattispecie di reato previste dalle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, mancando “il presupposto richiesto dalla legge che potrebbe integrare la fattispecie di reato previsto dalle disposkioni di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 e per il quale vi è l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p.”, e non rientrando i reati di cui all’art. 483 c.p. e art. 460 c.p., comma 2 “tra quelli previsti dalle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000”.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, su due motivi, l’Agenzia delle entrate.

La Società e i soci resistono con controricorso, depositando successiva memoria.

Il Collegio autorizza la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 nella formulazione vigente ante modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, per avere la C.T.R. ritenuto inapplicabile il raddoppio dei termini per la notifica dell’avviso di accertamento per mancata trasmissione della comunicazione avente ad oggetto la commissione di reati tributari.

1.1.La censura, ammissibile, è fondata. Ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato del D.P.R. n. 602 del 1973, l’art. 43, comma 3 e il del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (nè tanto meno la produzione di questa in giudizio). Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” e “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

Questa Corte, poi, in recenti pronunce (Cass. n. 26037/2016; conf. n. 11195/2017), ha così statuito, chiarendo come devono essere correlati tra loro i successivi interventi legislativi di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015 ed alla L. n. 208 del 2015: “In tema di termini per l’accertamento tributario stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 (per le imposte sui redditi) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 (per l’IVA): a) il regime transitorio introdotto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3 (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132 (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (D.Lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, i commi 1 e 2 non si applicano nè in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione agli inviti a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5 notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano (L. n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2 disponendo che della L. n. 208 del 2015, art. 1, i commi 130 e 131 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 128 del 2015” (v. anche Cass. n. 16728/16; 13483/16).

Non essendosi la CTR adeguata ai superiori principi, il motivo va accolto, con assorbimento del secondo motivo, col quale si deduce carenza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., commi 2 e 4 e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la CTR fatte proprie le motivazioni della sentenza di primo grado, senza sottoporle ad alcuna valutazione critica.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con rinvio alla C.T.R. dell’Umbria, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla C.T.R. dell’Umbria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2018

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