Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4089 del 20/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 4089 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

ORDINANZA

sul ricorso 5761-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

2017
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LO CASTRO MARIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 267/2013 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 06/03/2013 R.G.N. 800/2007.

Data pubblicazione: 20/02/2018

R.G. n. 5761/2014

RILEVATO

che con sentenza in data 6 marzo 2013 la Corte di Appello di Catania ha
confermato la nullità della clausola appositiva del termine per esigenze tecniche,
organizzative e produttive, anche derivanti dall’attuazione di previsioni di accordi
sindacali del 2001/2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie durante il periodo estivo, di cui al

Castro e Poste Italiane Spa, nonché la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato; in parziale riforma della pronuncia di primo
grado ha condannato la società al risarcimento del danno pari a 3 mensilità della
retribuzione globale di fatto, oltre accessori “con decorrenza dalla scadenza del
termine originariamente apposto e fino al soddisfo”;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a sette
motivi, cui non ha resistito il Lo Castro benché ritualmente intimato con atto
notificato il 5 marzo 2014;

che la società ha comunicato memoria;

CONSIDERATO

che il primo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione di norme
di diritto, in particolare dell’art. 1372 c.c., per avere la Corte territoriale respinto
l’eccezione di inammissibilità della domanda attorea avanzata dalla società per
intervenuta risoluzione consensuale del contratto, è infondato per inidoneità del
solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e
comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo, trattandosi comunque di valutazione del significato e della
portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito
(Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57; Cass. n. 29781 del
2017);

che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge,
sostenendo che costituiva onere del lavoratore provare l’estraneità della sua
assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno al contratto, e che,
comunque, la prova offerta da Poste Italiane mediante la produzione degli,-

contratto di lavoro stipulato per il periodo 20.7.2002 – 30.9.2002 tra Mario Lo

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accordi sindacali era da ritenersi idonea a fornire adeguata dimostrazione delle
esigenze sottese all’assunzione; con il terzo motivo si denuncia violazione della I.
n. 368 del 2001 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla prova testimoniale
articolata ed ai documenti prodotti che comprovavano la ricorrenza di un
processo aziendale a livello nazionale rispetto al quale non sarebbe stato
necessario provare il nesso causale tra le esigenze aziendali e l’assunzione a
termine; con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli

proposte erano ammissibili e rilevanti a fini decisori, tenuto altresì conto dei
poteri officiosi del giudice;
che il secondo, terzo e quarto motivo, manifestamente infondato in diritto
l’assunto che non gravi sul datore di lavoro l’onere di provare la ricorrenza delle
condizioni che giustificano l’apposizione del termine (tra molte Cass. n. 2279 del
2010 e giurisprudenza ivi richiamata), non possono trovare accoglimento, atteso
che essi tendono ad una rivalutazione della quaestio facti di competenza del
giudice del merito circa la prova della sussistenza delle ragioni poste a
fondamento del termine, anche mediante doglianze attinenti all’ammissibilità ed
alla rilevanza della prova che sfuggono al sindacato di questa Corte, laddove il
decisum, come nella specie, sia sorretto da adeguata motivazione (cfr. per tutte
Cass. n. 5255 del 2017), ancor più nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5,
c.p.c., cui sono sostanzialmente riconducibili le censure proposte, nonostante il
richiamo solo formale alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto;
che il quinto motivo, con cui si denuncia la violazione degli artt. 1362, co. 1, e
1363 c.c. avrebbe male interpretato il contratto individuale intercorso tra le parti
quanto alla necessità che le ragioni tecnico-organizzative da una parte e
sostitutive dall’altra dovessero necessariamente concorrere, è inammissibile non
solo perché non riporta nel corpo di esso il contenuto dell’intero contratto da
interpretare né indica dove il medesimo sia prodotto, ma anche perché
l’accertamento di una volontà negoziale è compito del giudice del merito non
sindacabile da questa Corte al di fuori dei limiti dettati per ogni accertamento di
fatto da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
che il sesto motivo, con cui si lamenta che la

Corte territoriale abbia fatto

discendere dalla nullità della clausola appositiva del termine la conversione a
tempo indeterminato del rapporto di lavoro, è palesemente infondato per le

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artt. 115, 116, 244, 253, 421 c.p.c., sostenendo che le richieste istruttorie

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ragioni già espresse da questa Corte in numerose pronunce dalle quali non v’è
ragione di discostarsi (tra le innumerevoli v. Cass. n. 12985 del 2008; Cass. n.
7244 del 2014);
che il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. n.
183 del 2010 e dell’art. 429 c.p.c., sostenendo che sulla somma dovuta a titolo
di indennità risarcitoria non sarebbero dovuti interessi e rivalutazione monetaria
e che, al più, essi sarebbero dovuti non già dalla scadenza del termine bensì dalla

che la censura non è fondata quanto al primo aspetto, atteso che questa Corte
ha statuito che l’articolo 429, comma 3, c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria
dei crediti di lavoro trova applicazione anche nel caso dell’indennità di cui all’art.
32 della I. n. 183 del 2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti connessi al
rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (tra le
altre v. Cass., ord. VI, n. 5344 del 2016);

che merita invece accoglimento la seconda doglianza del motivo perché, come
ripetutamente affermato da questa Corte, l’indennità ex art. 32, co. 5, I. n. 183
del 2010, così come interpretata dall’art. 1, co. 13, I. n. 92 del 2012, rappresenta
il ristoro dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di
lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della
sentenza che ha statuito la conversione del rapporto e dalla natura di
liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo
consegue che gli accessori ex art. 429, co. 3, c.p.c. decori -fino dalla data della
sentenza che ha statuito la conversione del contratto e che, appunto, delimita
temporalmente la liquidazione stessa (Cass. n. 3027 del 2014 e, in motivazione,
ex plurimis, Cass. n. 6031 del 2016; Cass. n. 2660 del 2017);
che, infatti, appare preferibile l’interpretazione che, aderente alla lettera della
norma di interpretazione autentica, afferma la decorrenza degli accessori dalla
pronuncia di conversione del rapporto (di primo o secondo grado): tale evento
(la conversione, appunto) segna, per legge, il momento in cui il danno va
attualizzato e dal quale, secondo il sistema delineato dall’art. 429, co. 3, c.p.c.,
decorrono interessi nella misura legale e rivalutazione monetaria;
che, pertanto, respinti tutti gli altri motivi di ricorso, deve essere accolto l’ultimo,
nei sensi di cui in motivazione, e non essendo necessari altri accertamenti,
cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, la società va

sentenza dichiarativa della nullità del termine;

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condannata al pagamento della indennità già liquidata dalla Corte territoriale, con
interessi e rivalutazione da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia
giudiziaria di primo grado dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva
del termine sino al saldo;

che

in ordine alla liquidazione delle spese può essere confermata la

compensazione disposta dalla Corte territoriale, in relazione alla modesta
incidenza riformatoria della presente decisione, mentre nulla va disposto per

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi sei motivi di ricorso e, accolto l’ultimo nei sensi di cui in
motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e, decidendo nel
merito, condanna Poste Italiane Spa al pagamento degli accessori sulla indennità
ex art. 32 della I. n. 183 del 2010 già determinata dalla Corte di Appello di
Catania dalla data della pronuncia dichiarativa della illegittimità della clausola
appositiva del termine sino al saldo; conferma le statuizioni della Corte
territoriale in ordine alla compensazione delle spese; nulla per quelle del giudizio
di legittimità.

Così deciso nella Adunanza camerale del 28 novembre 2017

quelle del giudizio di legittimità ove l’intimato non ha svolto attività difensiva;

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