Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4085 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 16/02/2021), n.4085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23980-2019 proposto da:

G.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO IACOVINO,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA LIMA

20;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1758/2019 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO

depositato il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

6/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 21.1.2019 G.M. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, della protezione umanitaria o della protezione speciale ex D.L. n. 113 del 2018.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente aveva dichiarato di essere cittadino senegalese, della regione di (OMISSIS), di fede (OMISSIS), di etnia (OMISSIS); di essere orfano di entrambi i genitori; di aver perso, altresì, il fratello maggiore; di aver frequentato la scuola per quattro anni; di aver lavorato come panettiere; di essere omosessuale; di essere stato imprigionato per tale motivo ma di essere riuscito a fuggire; di aver timore, in caso di rientro, di essere ucciso.

Con decreto n. 1758/2019, depositato in data 26.7.2019, il Tribunale di Campobasso rigettava il ricorso, confermando la motivazione della Commissione relativa all’incoerenza, alla genericità e alla non credibilità del racconto con il quale il ricorrente non riusciva a fornire chiarimenti e precisazioni o, comunque, a circostanziare gli eventi narrati nel tempo e nel luogo. Aggiungeva il Tribunale che il timore del rientro non risultava circostanziato da alcun elemento oggettivo o di pericolo concreto, risultando, di contro, espressione di uno stato meramente soggettivo, non essendo il richiedente in grado di fornire alcun elemento di specificazione; inoltre, i fatti riportati attenevano alla sfera meramente personale del richiedente. Parimenti, non poteva essere accolta la domanda di protezione sussidiaria in quanto la generica gravità della situazione politico economica del Paese d’origine, posta dalla difesa del ricorrente a fondamento della suddetta domanda, così come la mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche, non erano, di per sè, elementi sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento della richiesta forma di protezione, essendo invece necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive dello Stato di appartenenza, fosse tale da far ritenere la sussistenza di un pericolo grave per l’incolumità della persona. Infine, anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria era rigettata non essendo stati allegati o provati elementi che facessero ritenere particolarmente vulnerabile il ricorrente nel caso di rimpatrio.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione G.M. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 “A”, Convenzione di Ginevra sul diritto a ottenere lo status di rifugiato e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 (in uno con l’art. 10 Cost.), del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio. Motivi ex art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5″. Il Tribunale non avrebbe tenuto in debito conto la situazione del (OMISSIS) e della (OMISSIS), limitandosi ad affermare erroneamente l’insussistenza di uno stato di guerra civile, che invece vige nel Paese d’origine con violazioni gravissime dei diritti umani, perpetrate non solo dai ribelli e terroristi, ma anche dalle autorità statali. Il Tribunale avrebbe mancato di valutare la situazione politico sociale del (OMISSIS) e della (OMISSIS), disattendendo i dati forniti dalla Comunità internazionale circa l’evidente stato di violenza generalizzata nel Paese e non avrebbe considerato adeguatamente la storia e la personalità del ricorrente, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale o perlomeno di quella sussidiaria. Sotto altro profilo, il ricorrente sottolinea di avere dichiarato e circostanziato di essere omosessuale già in sede di audizione: tale condizione personale avrebbe dovuto essere considerata ai fini della protezione umanitaria; laddove, il ricorrente aveva dimostrato e dimostrava una forte volontà di integrazione nel nostro Paese, integrandosi nel tessuto lavorativo italiano.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Va anzitutto premesso che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

1.3. – Peraltro, costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivata mente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.4. – Dal canto suo, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, al posto del non più vigente vizio di motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria, erroneamente evocato dal richiedente) consente oggi di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

1.5. – Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il richiamato vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato nel 2012); laddove, il ricorrente neppure deduce circostanze fattuali che non sarebbero state valutate dal giudice di merito e che risulterebbero decisive nel senso voluto, prospettandosi, al più, con giudizio meramente contrappositivo, l’idoneità del racconto a configurare i presupposti per l’accoglimento della domanda.

Da ciò la necessità, non soddisfatta, che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 1160:3 del 2018).

1.6. – Resta dunque da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella rapsodica e non specifica sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento; così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri ritenuti più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018); ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2 c.d. “Testo unico spese di giustizia” Violazione e falsa applicazione artt. 3 e 24 Cost.”, poichè il Tribunale, ritenendo le ragioni del ricorso manifestamente infondate, revocava l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Come anche ribadito (Cass., sez. un., n. 4315 del 2020; Cass. n. 20928 del 2020), nel quadro di una ricostruzione del sistema che ha superato il vaglio citi costituzionalità (Corte Cost. n. 80 del 2020), in mancanza di espressa previsione normativa (come quella del processo penale), il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è impugnabile mediante l’opposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 avendo tale opposizione natura di rimedio di carattere generale, esperibile contro tutti i decreti in materia di liquidazione e, quindi, anche contro il decreto del magistrato che la rifiuti. Tale regime giuridico non muta qualora la revoca dell’ammissione al patrocinio sia stata irritualmente adottata dal giudice con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, giacchè l’irrituale collocazione del decreto di revoca in seno al provvedimento che decide la causa (che tuttavia non ne determina la nullità) non ne muta la natura.

Pertanto, anche avverso la revoca dell’ammissione al patrocinio che sia stata disposta con la sentenza che ha deciso la causa va proposta separatamente l’opposizione ex art. 170 cit.; dovendosi invece escludere che la parte che voglia dolersi dell’ingiustizia del provvedimento di revoca possa impugnare la sentenza con i mezzi di impugnazione previsti per la stessa, con ciò coinvolgendo nel giudizio di impugnazione le altre parti della causa, estranee al rapporto giuridico instauratosi tra chi ha chiesto l’ammissione al patrocinio e il Ministero della Giustizia.

In sostanza, il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con sentenza che definisce il giudizio), deve sempre considersi autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione.

4. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibie il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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