Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4085 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. III, 09/02/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 09/02/2022), n.4085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35791/19 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliato a Roma, v.le

dell’Università n. 11, (c/o avv. Benzi), difeso dall’avvocato

Alessandra Ballerini, in virtù di procura speciale apposta in

margine al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Genova 16.10.2019 n. 3595;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 dicembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.A., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alla persecuzione di uno zio il quale, adirato con lui per essersi fidanzato con una donna di fede cristiana, aveva cercato di farlo uccidere. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento I.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Genova, che la rigettò con Decreto 16 ottobre 2019, n. 3595.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso in quanto i fatti riferiti dal richiedente non attenevano a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza a un gruppo sociale; i timori riferiti dal richiedente, infatti, riguardavano la posizione di una sola persona (suo zio), circostanza insufficiente a identificare il ricorrente come appartenente ad un determinato “gruppo sociale” perseguitato;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potesse essere concessa per varie ragioni: sia per “la radicale novità della narrazione” rispetto a quanto riferito in commissione; sia per non avere il richiedente riferito in modo chiaro gli avvenimenti e l’attualità del “danno grave” da lui paventato; sia in ogni caso perché il ricorrente era già rientrato in Pakistan per visitare la madre, così dimostrando l’insussistenza di un rischio grave ed attuale;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa sia a causa della inattendibilità soggettiva del richiedente, sia a causa della mancanza di condizioni di vulnerabilità, sia a causa della mancanza di un effettivo radicamento sul territorio italiano.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da I.A. con ricorso fondato su tre motivi (il terzo è indicato col numero romano “II”). Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge, sia pure di “erronea, contraddittoria e carente motivazione”.

Il motivo censura il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

L’illustrazione esordisce affermando che il Tribunale non avrebbe “verificato nel concreto i pericoli che il ricorrente correrebbe in caso di rientro”, ed in particolare il pericolo di essere ucciso dallo zio.

L’illustrazione del motivo prosegue sostenendo che erroneamente il Tribunale ha ritenuto insussistente in Pakistan una situazione di violenza indiscriminata derivante da confini armato; allega che il Tribunale non avrebbe compiuto alcun accertamento istruttorio officioso su questo punto; richiama a sostegno delle proprie conclusioni un rapporto EASO del 2016.

1.1. Nella parte in cui impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il motivo è inammissibile, per totale mancanza di una minima illustrazione di tale censura.

1.2. Nella parte in cui impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è (manifestamente) infondato.

Il Tribunale ha compiuto l’indagine officiosa imposta dalla legge circa le condizioni del paese di provenienza del richiedente asilo, concludendo per l’inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, citando al riguardo un rapporto EASO del 2018.

Il ricorrente contrasta tale conclusione invocando anch’egli un rapporto EASO, ma più vecchio di due anni, risalente al 2016. Appare dunque arduo per questa Corte comprendere come possa ascriversi al Tribunale, a titolo di errore, di avere esaminato la domanda di protezione in base a fonti più aggiornate di quelle invocate dal ricorrente.

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Il ricorrente censura su questo punto la sentenza impugnata sostenendo che:

a) contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, aveva “ampiamente dimostrato di avere avviato un percorso di integrazione socio lavorativa” (il ricorso non riferisce in dettaglio quale);

b) contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, aveva dato prova di non avere più legami affettivi rilevanti in patria (il ricorso non riferisce con quali fonti prova);

c) il Tribunale aveva trascurato di compiere una indagine officiosa su eventuali condizioni di vulnerabilità oggettiva dipendente dalla realtà politica, economica e sociale del Pakistan;

d) il Tribunale aveva trascurato di esaminare i traumi subiti dal ricorrente nell’attraversamento della Turchia e della Grecia (il ricorso tuttavia non indica quali furono questi traumi, quando furono dedotti e come furono provati, ovvero per quali ragioni fu impossibile dimostrarne la concreta sussistenza).

2.1. Le censure (a), (b) e (d) sono manifestamente inammissibili per totale carenza di illustrazione.

Il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato di avere raggiunto un’effettiva integrazione sul territorio nazionale, aggiungendo che in tre anni non aveva neanche imparato l’italiano.

Il ricorso deduce che tale valutazione sarebbe erronea, e che il ricorrente era ben integrato sul territorio nazionale, senza spiegare tuttavia:

-) né in cosa consistesse tale integrazione sociolavorativa;

-) né da quali elementi oggettivi dovesse desumersi la relativa prova.

2.2. La censura sub (c) è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

Il Tribunale ha esaminato il profilo oggettivo della domanda di protezione umanitaria, rilevando in punto di fatto che il ricorrente “risulta aver vissuto in una famiglia benestante, adeguata e presente. Oltre ad essere scolarizzato a livello universitario, aveva un buon inserimento sociale” nel suo paese; premesso ciò in fatto, ha concluso che “nel caso di specie non emerge una condizione personale/individuale di effettiva deprivazione dei diritti umani che possa da sola aver giustificato l’allontanamento”.

Il ricorrente, incurante di tali statuizioni, discorre genericamente del “diritto ad una vita dignitosa” e del “diritto di libertà dalla fame”, senza censurare l’affermazione del Tribunale secondo cui, nel suo paese, il ricorrente “viveva in una famiglia benestante”.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19.

Il motivo deve ritenersi rivolto contro il capo di sentenza che ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

Nella illustrazione del motivo infatti si sostiene che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, impedisce il restringimento l’espulsione dello straniero verso uno stato in cui possa essere esposto al rischio di tortura, oppure di violazione sistematica grave dei diritti umani. L’illustrazione del motivo prosegue richiamando i principi generali in materia di non refoulement, e conclude che tale principio impone, anche nella assenza dei presupposti per il rilascio della protezione sussidiaria, la concessione almeno del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, perché:

a) è astratto ed assertivo;

b) prescinde dal contenuto oggettivo del decreto impugnato;

c) soprattutto non chiarisce per quali ragioni in caso di rimpatrio sarebbe esposto al rischio di tortura o di violazione grave dei diritti umani.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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