Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4083 del 20/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4083 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 1411-2016 proposto da:
A.N.A.S.

S.P.A.

c.f.

80208450587,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 185, presso lo
studio dell’avvocato RAFFAELE VERSACE, rappresentata e
difesa dall’avvocato RAFFAELE PELLEGRINO, giusta
2017

delega in atti;
– ricorrente –

4290
contro

DE SANTIS FRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 20/02/2018

CLAUDIO RAMELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato
ROBERTO SILTI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 9930/2014 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 05/12/2014 R.G.N. 7618/2011;

udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
CARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato RAFFAELE PELLEGRINO;
udito l’Avvocato ROBERTO SILTI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

r.g. n. 1411/2016

FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello principale di Anas s.p.a. ed
incidentale di Franco De Santis ed ha confermato la sentenza del Tribunale della
stessa città che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al De Santis
da Anas s.p.a. il 21 agosto 2007, ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro e
condannando la società a risarcire il danno, respinta la domanda di riconoscimento

mobbing.
2. Il giudice di secondo grado, dato atto che la sentenza era passata in giudicato con
riguardo alle domande di risarcimento del danno da demansionamento e da mobbing,
ha ritenuto che illegittimamente era stato comminato il licenziamento a fronte di una
condotta che il contratto collettivo applicabile al rapporto punisce espressamente con
una sanzione conservativa, sanzione prevista anche per condotte più gravi, e dunque
ha escluso che fosse ammissibile e legittima l’irrogazione di una sanzione espulsiva.
2.1. Quanto al risarcimento del danno ha ritenuto che non fosse necessaria una
costituzione in mora della datrice di lavoro e che avrebbero potuto essere detratti, se
provati, solo i compensi medio tempore percepiti.
2.2. Quanto all’appello incidentale, la Corte lo ha rigettato evidenziando che ai fini del
conseguimento della qualifica superiore di quadro, disciplinata dall’art. 57 del c.c.n.l.
di categoria, non era sufficiente il mero decorso del tempo nella categoria inferiore ma
era necessario lo svolgimento di un’attività istruttoria qualificata e di mansioni di
controllo di “significativi” gruppi di lavoratori. Inoltre il giudice di secondo grado ha
osservato che per il conseguimento della qualifica superiore era necessario che le
mansioni svolte fossero sussumibili in quelle proprie della qualifica rivendicata e che la
circostanza che la responsabilità dell’ufficio tecnico espropri fosse stata attribuita ad
un soggetto che aveva il medesimo titolo di studi del ricorrente non era di per sé utile
per ritenere accertato il diritto del ricorrente ad essere del pari inquadrato in tale
qualifica.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Anas s.p.a. che censura la sentenza con
due motivi ulteriormente illustrati con memoria. Resiste con controricorso Franco De
Santis.

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dell’avvenuto svolgimento di mansioni superiori e di risarcimento del danno da

r.g. n. 1411/2016

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza per .20~; violazione e
falsa applicazione dell’art. 55 comma 4, con omessa applicazione dell’art. 57 n. 2 del
c.c.n.l. Anas del 18.12.2002 et2111 violazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369 cod.
civ. .
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato

le liti e le offese in relazione ai quali trova applicazione la sanzione della sospensione
dal servizio ai sensi del citato art. 55 comma 4 lettere j) e n) del c.c.n.l. di categoria
sarebbero sganciati dal rapporto di servizio, mentre ove gli stessi comportamenti siano
2m.•
rapportabili allo svolgimento del rapporto di lavoro allorardevono essere sanzionati, ai
sensi dell’art. 57 del contratto collettivo con il licenziamento.
4.2. Evidenzia allora che nel caso in esame la condotta censurata, posta in essere in
una relazione d’ufficio e nello svolgimento della prestazione, era riconducibile alla
seconda ipotesi in quanto incideva negativamente sull’organizzazione lavorativa e
realizzava una violazione della subordinazione funzionale ed una interruzione del
servizio e della prestazione del superiore e di altri colleghi ed,Yirrilevante la circostanza
che altre condotte ed asseritamente più gravi condotte fossero punite con sanzioni
conservative, il licenziamento doveva essere ritenuto legittimo.
5. Tanto premesso rileva preliminarmente il Collegio che l’art. 369, secondo comma, n.

4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
t, i 4C- L11,
onera il ricorrente per cassazione
pena di improcedibilità del
ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda”. Tale onere è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità
delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte,
anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli
atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta
di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi
dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ.. Tuttavia è in ogni caso necessario che sia

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e falsamente applicato le disposizioni citate e non avrebbe considerato che gli alterchi,

r.g. n. 1411/2016

specificamente indicato nel ricorso, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod.
proc. civ., quali siano gli atti ed i documenti rinvenibili ed i dati necessari al loro
reperimento (cfr. Sez. U, 03/11/2011 n. 22726). Se dunque può essere sufficiente “la
riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale
collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale
del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco
n. 15437) tuttavia è pur sempre necessario

che si provveda alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello
svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la
Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame. (cfr. Cass. 09/04/2013 n.
8569 e 15/07/2015 n. 14784).
5.1. Nel caso in esame a fronte di una denuncia di errata interpretazione e falsa
applicazione degli artt. 55 e 57 del contratto collettivo di settore, che dettano il
regime sanzionatorio e disciplinare, nel corpo del ricorso sono riportate solo alcune
parti delle disposizioni censurate e nulla è detto circa la collocazione degli atti nel
fascicolo del processo.
5.2. Ne consegue che la censura, per come formulata, prima ancora che improcedibile
ai sensi dell’art. 369 secondo comma n. 4 cod. proc. civ. per non essere stato allegato al
ricorso per cassazione il contratto collettivo di cui è denunciata l’errata interpretazione,
è inammissibile per violazione dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ. non

essendo precisato neppure se ed in che sede sia stato depositato il testo integrale del
contratto collettivo stesso.
6. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via gradata, è denunciata la violazione
e falsa applicazione dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 nel testo, ratione
temporis applicabile, antecedente le modifiche apportate dalla legge 28 giugno 2012

n. 92. Secondo la società ricorrente in mancanza di una costituzione in mora della
datrice di lavoro il risarcimento avrebbe dovuto essere contenuto nella misura minima
e inderogabile di cinque mensilità.
6.1. La censura è destituita di fondamento. La Corte territoriale, infatti, si è attenuta
al principio ripetutamente affermato da questa Corte in base al quale l’art. 18 comma
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degli atti depositati” (Cass. 07/07/2014

r.g. n. 1411/2016

4, (nel testo sostituito dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1) nel prevedere,
nell’ipotesi di invalidità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al
risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto del licenziamento stesso,
mediante corresponsione di un’indennità commisurata alla retribuzione non percepita,
stabilisce una presunzione iuris tantum di lucro cessante, fatta eccezione per la misura
minima del risarcimento (5 mensilità di retribuzione), la quale è assimilabile ad una
sorta di penale, avente la sua radice nel rischio d’impresa (Cass. 3 maggio 2004 n.

avere l’onere di provare che sussistono fatti limitativi del danno (come

l’aliunde

perceptum) (cfr. Cass. 28/03/2006 n. 7049). La sentenza delle sezioni unite di questa
Corte che ha ritenuto che, nei contratti a prestazioni corrispettive,

l’inidoneità del

licenziamento ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro non comporta il diritto
del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del
licenziamento inefficace, bensì solo il risarcimento del danno da determinarsi secondo
le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni (Cass. s.u. 27/07/1999 n. 508)
era riferita alla fattispecie, diversa da quella oggi sottoposta all’esame della Corte, di
rapporti sottratti al regime della tutela reale di cui all’art. 18 legge n. 300 del 1970,
come modificato dall’art. 1 legge n. 108 del 1990 (art. 18 che, viceversa, nel caso in
esame è pacificamente applicabile).
7. In conclusione, e per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le
spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura precisata in
dispositivo. Occorre poi dare atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della società
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna l’Anas s.p.a. al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in C 5.000,00 per compensi professionali, C
200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

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8364). Nei confronti di questa presunzione juris tantum, è il debitore (datore) ad

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Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma
dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 novembre 2017
Il Consigliere estensore

Fabrizia Garri

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