Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4083 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. III, 16/02/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33729-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 587/2019 della CORTE D’APPELLO DI POTENZA,

depositata il 5/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

S.M., cittadino del (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essersi allontanato dal proprio paese per ragioni di carattere essenzialmente economico;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento S.M. ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Potenza, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, che l’ha rigettato con ordinanza del 13/12/2017;

tale provvedimento, appellato dal soccombente, è stato confermato dalla Corte d’appello di Potenza con sentenza depositata in data 5/9/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione sussidiaria rivendicata; 2) della mancata esposizione, da parte del ricorrente, già sul piano dell’allegazione, dell’effettiva esistenza, nei territori di provenienza, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da S.M. con ricorso fondato su sei motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione della legge processuale, per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente in relazione al rigetto delle proprie domande di riconoscimento della protezione sussidiaria e della cosiddetta protezione umanitaria;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento dei fatti, per avere la corte territoriale attestato, in modo meramente apodittico e infondato, l’assenza di qualunque rischio per la persona del ricorrente in caso di rimpatrio;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso, per avere la corte territoriale totalmente trascurato di procedere all’esame delle condizioni di pericolosità e di generalizzata violenza esistenti in (OMISSIS);

con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice d’appello omesso di esaminare compiutamente le dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del giudizio, eventualmente corroborandole con l’analisi documentale delle fonti di informazione agevolmente reperibili, circa le gravi condizioni di pericolosità del proprio paese di origine;

con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale omesso di procedere a un’adeguata e approfondita analisi delle effettive condizioni di sicurezza del paese di origine, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria rivendicata;

con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, senza procedere ad alcuna effettiva valutazione comparativa tra il livello di integrazione del ricorrente nel paese di destinazione in rapporto alle condizioni di degrado del paese di origine, con particolare riguardo ai rischi connessi alla tutela del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona;

i sei motivi in rassegna – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono parzialmente fondati nei limiti che seguono;

occorre preliminarmente rilevare come la corte territoriale – dopo aver sottolineato l’avvenuta limitazione dell’impugnazione, da parte dell’odierno appellante, al solo mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella c.d. umanitaria – ha espressamente evidenziato come le deduzioni allegate dal ricorrente nel corso del procedimento di merito (ossia l’essersi allontanato dal proprio paese di origine per ragioni sostanzialmente legate a motivi di carattere meramente economico) non valessero a integrare alcuna delle ipotesi di paventato danno grave rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria; e ciò, con riferimento a ciascuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

ciò posto, al fine di superare l’efficacia preclusiva di detta negativa attestazione, spettava all’odierno ricorrente fornire la dimostrazione documentale dell’avvenuta puntuale deduzione, nei precedenti gradi di merito, di specifici fatti e circostanze di per sè idonei a sostanziare ciascuna (o almeno una, o taluna) delle ipotesi di potenziale grave danno alla persona rilevanti ai sensi dell’art. 14 cit. ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria rivendicata;

a tale riguardo, varrà infatti precisare come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzi la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;

è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);

nel caso di specie, l’odierno istante non si è attenuto al rispetto di tali principi nell’argomentazione delle censure in esame (nelle parti e nella misura in cui risultano dirette a contestare la violazione, da parte della corte territoriale, di norme sostanziali e/o processuali, o l’omesso esame di fatti decisivi controversi, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria), atteso che lo stesso ricorrente, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente attestato la mancata esposizione, da parte del ricorrente, già sul piano dell’allegazione processuale, di fatti tali da giustificare la prospettazione di un paventato danno grave rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione circa gli atti e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti il ricorso effettivo di detto errore, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure in tal senso formulate al fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti in connessione alla conferma del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria in ciascuna delle forme previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

devono, viceversa, trovare accoglimento le doglianze illustrate dal ricorrente con riguardo all’erroneità della decisione impugnata in ordine alla conferma del rigetto, pronunciato dal primo giudice, della domanda diretta riconoscimento della c.d. protezione umanitaria;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio personalizzato mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla biografia) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;

in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica vulnerabilità) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (qualitativa) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver genericamente sottolineato come le modalità dell’impegno lavorativo seguito dall’odierno richiedente in Italia non appaiano idonee “a favorir(n)e uno stabile inserimento” (fl. 7 della sentenza impugnata), ha inammissibilmente trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza delle censure esaminate entro i limiti in precedenza specificati (segnatamente coincidenti con la questione connessa al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria), dev’essere disposta la corrispondente cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, cuì è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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