Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4082 del 19/02/2013
Civile Ord. Sez. 6 Num. 4082 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 16640/2011 proposto da:
CURRELI Peppino (CE.: CRR PPN 35P09 A407T), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Massimo Frongia ed elettivamente
domiciliato presso lo studio degli Avv.ti Gianluigi Cocco e Stefano Lenzi, in Roma, piazzale
– ricorrente —
Clodio, n. 13;
contro
MANCA Giuseppe (C.F.: MNC MRC 55B28 E004H), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Giovanni Lo Schiavo e domiciliato “ex
lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione; – controricorrente e
MUGGIRON1 Laura ? PADDEU Anna Maria J2, eg:1-ereb ;
– intimata-
per la cassazione della sentenza n. 145 del 2011 della Corte di appello di Cagliari,
depositata il 12 aprile 2011 (e notificata il 20 aprile 2011).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
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Data pubblicazione: 19/02/2013
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Antonietta Carestia, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in
atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 9 ottobre 2012, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con sentenza non grado del Tribunale di Oristano sez. dist. di Sorgono n. 14 del 2005, con la quale era
stato riconosciuto, in favore dei sigg. Curreli Peppino e Vacca Giovanna, il diritto di
accedere al vano sottotetto dell'edificio sito in Aritzo, alla v. Maxia n. 17, nel quale
ciascuno di loro, oltre a Manca Giuseppe e Muggironi Laura, proprietari dell'unità abitativa
ubicata all'ultimo piano, avevano un appartamento. Contro la sentenza del giudice di
secondo grado proponeva impugnazione per revocazione il Manca Giuseppe sostenendo
che la decisione era stata determinata da un errore di fatto, risultante dagli atti del giudizio,
poiché il collegio aveva fondato il suo "decisum" su un errato presupposto conseguente ad
una inesatta lettura dell'atto pubblico per notar Scano del 23 febbraio 1978, prodotto dai
sigg. Curreli e Vacca e relativo all'acquisto della loro unità immobiliare.
Nella costituzione del solo Curreli Peppino, previa sospensione dell'efficacia esecutiva
della sentenza impugnata e dei termini per la relativa proposizione del ricorso per
cassazione, La Corte cagliaritana, con sentenza n. 145 del 2011, depositata il 12 aprile
2011, ravvisata l'ammissibilità della formulata istanza, revocava la sentenza della stessa
Corte di appello n. 318/2009 limitatamente alla statuizione relativa alla domanda proposta
da Curreli Peppino e Vacca Giovanna di condanna di Manca Giuseppe ad eliminare le
opere che impedivano l'accesso al sottotetto del fabbricato condominiale sito in Aritzo, v.
Maxia, 17 e, nel merito, rigettava la domanda medesima avanzata dagli stessi Curreli e
Vacca. Con la stessa sentenza la Corte adita in sede revocatoria condannava i sigg.
Curreli e Vacca al pagamento delle spese giudiziali.
2 definitiva n. 318 del 2009 la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza di primo Nei confronti della richiamata sentenza adottata in sede di revocazione (notificata il 20
aprile 2011) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 18 giugno 2011 e depositato
il 10 luglio 2011) il Curreli Peppino, basato su due distinti motivi.
Si è costituito in questa fase con controricorso il solo intimato Manca Giuseppe.
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell'art. 395 n. 4) c.p.c. sul con la relativa domanda, il Manca aveva, in effetti, inteso introdurre una richiesta di
riesame delle risultanze testimoniali e ,quindi, dell'intera vicenda di merito, contestando, in
ogni caso, che si versasse in una ipotesi di errore di fatto con riferimento agli elementi
dall'atto pubblico per notar Scano del 23 febbraio 1978, il quale, in ogni caso, non
atteneva ad un fatto essenziale e decisivo.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto l'omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione della sentenza impugnata circa i punti controversi e decisivi per il giudizio
attinenti alla nuova e diversa lettura del suddetto atto pubblico con le altre risultanze
probatorie, avuto riguardo, in particolare, alla supposta esistenza di un vano scale.
Rileva il relatore che entrambi i motivi svolti dal ricorrente possano ritenersi
manifestamente infondati, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui
all'art. 380 bis c.p.c., in relazione anche all'art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
Con riguardo alla prima doglianza si osserva che la Corte di appello ha rilevato la
sussistenza dell'errore di fatto determinato dalla circostanza che dalia comparazione fra il
contenuto del richiamato atto pubblico del 1978 e la frase riportata nella sentenza oggetto
di revocazione il giudice aveva riprodotto materialmente in modo difforme dal testo la frase, estrapolata dall'atto e relativa all'elenco delle parti comuni cedute agli acquirenti "pro
quota", laddove — in ordine alla determinazione della quota proporzionale per ciascun
appartamento sulle parti comuni - nel primo atto dopo la parola "vano" era inserita una
virgola, prima della indicazione della copertura del fabbricato, mentre nella sentenza
3 presupposto della prospettazione dell'inammissibilità dell'istanza di revocazione poiché, impugnata la parola "vano" era seguita da un trattino collegato alla parola copertura del
fabbricato, così lasciando desumere che il vano anziché riferito alle scale costituisse un
unico corpo con la copertura dell'immobile.
Come giustamente ha evidenziato la Corte territoriale non si trattava, nella specie, di
un'erronea qualificazione o di interpretazione delle risultanze documentali riconducibili al tradottosi nella supposizione dell'esistenza di un elemento la cui veridicità era esclusa,
però, dallo stesso atto pubblico, dal momento che la sentenza impugnata era, appunto,
incorsa in un travisamento del fatto (la sussistenza di un vano-copertura del fabbricato)
che era stato affermato in contrasto con la prova scritta acquisita, in cui di tale "vanocopertura" non vi era traccia (cfr. Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 8180 del 2009).
Pertanto, correttamente, la Corte sarda ha ravvisato l'ammissibilità dell'impugnazione per
revocazione, ricorrendo una ipotesi di errore di fatto sussumibile nell'ipotesi di cui all'art.
395, n. 4, c.p.c. e motivando adeguatamente e logicamente sull'essenzialità e decisività di
tale errore, poiché la decisione impugnata era stata fondata in via principale proprio
sull'erronea percezione del contenuto dell'atto, senza il quale l'altro elemento probatorio
richiamato unicamente quale dato confermativo di quanto emergeva dalla travisata
previsione contrattuale non sarebbe stato, di per sé, sufficiente a dimostrare la fondatezza
della domanda proposta a suo tempo dai sigg. Curreli e Vacca, a differenza, per l'appunto,
dell'erronea percezione del contenuto dell'atto pubblico. In altri termini, la Corte
cagliaritana ha idoneamente illustrato che, in difetto della sussistenza del fatto così come
erroneamente percepito dal giudice nella sentenza oggetto di revocazione e contrastante
con l'atto pubblico (ovvero in assenza dell'immaginario vano-copertura), le ulteriori
risultanze processuali sarebbero divenute irrilevanti. In altre parole, la Corte di appello ha
giustificatamente ritenuto che l'erronea percezione del contenuto del suddetto atto
pubblico non solo aveva determinato in modo essenziale la valutazione della fondatezza
4 predetto atto pubblico, ma di un'errata percezione del contenuto materiale di tale atto, della domanda dei sigg. Curreli e Vacca ma aveva costituito il presupposto logico per
ravvisare la conseguente rilevanza delle correlate deposizioni testimoniali che, senza il
menzionato errore percettivo documentale, non sarebbe stata ritenuta tale.
Con riferimento alla seconda doglianza il relatore ritiene che essa sia stata formulata in
modo inammissibile perché con la stessa ricorrente tende a voler mettere in discussione della parziale o contraddittoria valutazione delle deposizioni dei testi Meloni e Pili, senza
riportare, in modo autosufficiente, il contenuto delle dichiarazioni ritenute rilevanti in
funzione di un possibile diverso esito nel merito della controversia (cfr., ad es., Cass. n.
4405 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 17915 del 2010, ord.). Del resto è risaputo che il
ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della motivazione della
sentenza, deve contenere la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle
argomentazioni sulle quali si basano la decisione (o il capo di essa) censurata, ovvero la
specificazione di illogicità, o ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, e
A, quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli
stessi, mentre non può farsi valere il contrasto dell'apprezzamento dei fatti compiuto dal
giudice di merito con il convincimento e con le tesi della parte, poiché, diversamente
opinando, il motivo di ricorso di cui all'ad. 360 n. 5 c.p.c. finirebbe per risolversi in una
richiesta di sindacato dei giudice di legittimità sulle valutazioni riservate ai giudice di
merito. Oltretutto, all'esito dell'adeguata valutazione dei complessivi elementi probatori, la
Corte di appello si è conformata al costante principio affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte (v. Cass. n. 8968 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 17249 dei 2011, ord.)
secondo cui il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito
all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere
l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una
camera d'aria e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da
5 le risultanze documentali rinvenibili nella descrizione del suddetto atto pubblico e si duole consentirne l'utilizzazione come vano autonomo. In tale ultima ipotesi, l'appartenenza del
bene va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo il
sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per !a sua
esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 n. 1 c.c.
è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, all'esercizio di un servizio di interesse condominiale.
In virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso le questioni di
diritto dedotte con il ricorso (al primo motivo) in modo conforme alla giurisprudenza di
questa Corte senza che siano stati offerti elementi per mutare il pregresso orientamento
(cfr. Cass., SU., ord., n.19051/2010) ed essendo rimasta esclusa la configurazione dei
dedotti vizi motivazionali, si deve ritenere, in definitiva, che sembrano emergere le
condizioni, in relazione al disposto dell'art. 380 bis, comma 1, c.p.c., per poter pervenire al
possibile rigetto totale del proposto ricorso per sua manifesta infondatezza >>.
Rilevato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, non risulta depositata alcuna memoria
difensiva ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del
controricorrente, nella misura liquidata come in dispositivo, nel mentre non occorre
adottare alcuna statuizione sulle spese inerenti il rapporto processuale intercorso tra lo
stesso ricorrente e le altre due intimate, non avendo queste ultime svolto attività difensiva
in questa sede.
P.Q.M.
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risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale, all’uso comune oppure
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del
controricorrente, delle spese del presente giudizio liquidate in complessivi euro 2.200,00, di
cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 24 gennaio 2013.