Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4082 del 02/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4082 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 22250 2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A.

C.F. 97103880585,

in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

4714

DI MENNA STEFANIA;
– intimata –

e sul ricorso 22760-2010 proposto da:

Data pubblicazione: 02/03/2016

DI

MENNA

STEFANIA

DMNSFN70E69C632F,

C.F.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIORGIO SCALIA
12, presso lo studio dell’avvocato MARCO GATTI,
rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO FAUGNO,
giusta delega in atti;

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 8996/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/09/2009 R.G.N.
9928/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
verbale Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale, accoglimento per
guanto di ragione del ricorso incidentale.

– ricorrente –

?N.
R.G. 22250+22760/2010

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 22971/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Roma, tra l’altro, in accoglimento della domanda proposta da Stefania Di

termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 31-101998 al 31-1-1999, per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccril 1994 come
integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., e condannava la società a riammettere
in servizio la lavoratrice e a pagarle, a titolo risarcitorio, le retribuzioni dalla
messa in mora fino al ripristino del rapporto.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone
la riforma con il rigetto della domanda di controparte.
La Di Menna si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 28-9-2009, in
parziale accoglimento dell’appello, respingeva la domanda risarcitoria della
Di Menna.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con
cinque motivi.
La Di Menna ha proposto autonomo ricorso con un unico motivo.

:

La società, dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso di
controparte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ai
sensi dell’art. 335 c.p.c..

Menna nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del

Con il primo motivo del ricorso della società si censura l’impugnata
sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del
rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una
qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto,

domanda e la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso,
con onere, in capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a
contrastare tale presunzione.
Il detto motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai
fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle
parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune
volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390,
Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319,
Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del
‘lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso” (v, da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n.
5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione,

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per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della

15,

‘onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
Chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo
Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n.

Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha rilevato che “il silenzio da
solo non basta a manifestare la volontà del lavoratore di porre fine al
rapporto di lavoro, se non in quanto accompagnato da altre circostanze
significative che la società appellata nella specie ha solo genericamente
dedotto, talli non potendosi considerare la fisiologica accettazione del
trattamento di fine rapporto ed il procacciamento necessitato di altre fonti
di sostentamento, da valutarsi ai diversi fini della sussistenza o della
consistenza di un danno risarcibile, senza contare che dalla cessazione del
rapporto di lavoro a termine tra le parti sono trascorsi meno di quattro anni
nel caso di Di Menna”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati,
risulta altresì congruamente motivato e resiste alla censura della
ricorrente.
Con il secondo motivo la ricorrente rileva che la lavoratrice, invitata a
riprendere servizio dopo la sentenza di primo grado non si è presentata ed
è stata licenziata con lettera del 10-10-2006, così dimostrando la carenza
\\E teresse sulla prosecuzione del rapporto.
-k Tale motivo è inammissibile giacché da un lato non specifica se ed in
4uali termini la circostanza sia stata dedotta dinanzi alla Corte di merito e
dall’altro non contiene alcuna censura rivolta all’impugnata sentenza, bensì

3

5887).

nvoca semplicemente la pretesa rilevanza di un fatto che non è oggetto del
A

presente giudizio e che non incide affatto sulla legittimità o meno della
declaratoria di nullità del termine apposto ai contratto del 31-10-1998.
Con i successivi motivi terzo, quarto e quinto (quest’ultimo anch’esso

violazione di legge e di vizio di motivazione, l’impugnata sentenza nella
parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al citato (primo)
contratto in quanto stipulato (per “esigenze eccezionali…”) oltre la
scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell’acc. az. 25-91997 ed all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura
meramente ricognitiva dei detti accordi.
Tali motivi sono infondati e vanno respinti.
In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, “in materia di
assunzioni a termine dei dipendenti postali, l’art. 23 della legge 28 febbraio
1987, n. 56, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di
individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto
di lavoro, ha consentito il ricorso ad assunzione di personale straordinario
nei soli limiti temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con
conseguente esclusione della legittimità dei contratti a termine stipulati
oltre i detti limiti; resta altresì escluso che le parti sociali, mediante lo
`sti mento dell’interpretazione autentica delle vecchie disposizioni
co/trattuali ormai scadute (volta ad estendere l’ambito temporale delle
stesse), possano autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti
non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita, tanto più
che il diritto del lavoratore si era già perfezionato e le organizzazioni

4

indicato come quarto), la ricorrente principale censura, sotto i profili di

indacali non possono disporre dello stesso.” (v. fra le altre Cass. 16-112010 n. 23120).
In particolare, come è stato precisato, “con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con

hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998 per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v.
Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008 n.
21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 23-82006 n. 18378).
Il ricorso della società va pertanto respinto.
Passando all’esame del ricorso della Di Menna, va osservato che la
stessa, con l’unico motivo, lamenta che, erroneamente e senza adeguata
motivazione la Corte di merito ha rigettato la domanda risarcitoria

gilevando che la messa in mora era intervenuta oltre il triennio dalla

ì

,,

essazione del rapporto.
Al riguardo, osserva il Collegio che (a prescindere da ogni

considerazione sulla correttezza o meno della statuizione impugnata in
base alla disciplina previgente) nella fattispecie è applicabile lo

ius

5

il successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le parti

guperveniens, rappresentato dall’art. 32 commi 5, 6 e 7 della legge n. 183
del 2010.
Tale disciplina (v. fra le altre Cass. 31-1-2012 n. 1409, Cass. 29-22012 n. 3056), applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di

interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è
fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio di liquidazione del
danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle
“obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di
commisurazione del danno secondo la legislazione previgente”.
La norma, che “non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno
dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto,
assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato”, in base ad una “interpretazione costituzionalmente
orientata” va intesa nel senso che “il danno forfetizzato dall’indennità in
esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che
corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di
esso e dichiara la conversione del rapporto”, con la conseguenza che a
partire da tale sentenza “è da ritenere che il datore di lavoro sia
indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a

i

corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di
mancata riammissione effettiva” (altrimenti risultando “completamente
svuotata” la “tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a
tempo indeterminato”).

6

legittimità (v. già Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), alla luce della sentenza

; Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte
Costituzionale, “il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione
dell’aliunde perceptum. Sicché l’indennità onnicomprensiva assume una
chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in

occupazione”.
Peraltro, “la garanzia economica in questione non è né rigida, né
uniforme” e, “anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dall’art. 8 della
legge n. 604 del 1966, consente di calibrare l’importo dell’indennità da
liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende.
Così interpretata, la norma citata, risultata “nell’insieme, adeguata a
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi”, ha
superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con
riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 primo comma della
Costituzione.
Successivamente, è stata emanata la legge n. 92 del 28-6-2012, che
all’art. 1 comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica (in
senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da
questa Corte di legittimità), ha così disposto: “La disposizione di cui al
comma 5 dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel
sènso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal
lvoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al
periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del
rapporto di lavoro”.

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mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un’altra

Infine, in attuazione della delega di cui alla legge n. 183 del 2014, il
recente d.lgs. n. 81 del 2015, nel disporre un riordino del contratto di
lavoro a tempo determinato dettando una disciplina organica dello stesso,
tra l’altro, per quanto qui interessa, all’art. 28, commi 2 e 3, ha regolato

determinato in contratto a tempo indeterminato e all’art. 55 lett. f) ha
abrogato i commi 5 e 6 della legge n. 183 del 2010.
A seguito di tale ulteriore ultimo intervento legislativo si è posta,
quindi, la questione se nella fattispecie in esame – nella quale questa Corte,
con riguardo alle conseguenze risarcitorie, è investita da validi e pertinenti
motivi di ricorso (cfr. fra le altre Cass. 1-10-2012 n. 16642) da parte della
lavoratrice – debba trovare applicazione l’art. 32 della 1. 183 del 2010
ovvero l’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015.
Tale questione è stata risolta da questa Corte (v. Cass. 20-10-2015 n.
21266) nel senso della irretroattività della nuova disciplina di cui all’art. 28
cit. e della applicabilità della stessa soltanto ai contratti di lavoro stipulati
dalla data di entrata in vigore del d.lgs. citato (25-6-2015), così
perdurando la applicazione della pregressa disciplina di cui all’art. 32 della
I. 183/2010 in relazione ai “giudizi pendenti” relativi ai contratti precedenti.
Pertanto, nella fattispecie, ratione temporis, deve applicarsi l’art. 32
della I. n. 183/2010, per cui, nei sensi e nei limiti di tale ius superveniens
“?

va accolto il ricorso della Di Menna, in tal modo risultando assorbita ogni
questione riguardante la normativa previgente, con la conseguente
cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e con
rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale

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l’indennità prevista per i casi di trasformazione del contratto a tempo

provvederà alla determinazione del dovuto, statuendo anche sulle spese di
/legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso della società, accoglie nei

sentenza in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese, alla
Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Roma 3 dicembre 2015
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

limiti di cui in motivazione il ricorso della Di Menna, cassa l’impugnata

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