Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4081 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 18/02/2020), n.4081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12324/2016 proposto da:

EMMEGI s.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), con sede legale in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore D.R.P.

(C.F.: (OMISSIS)), nata a Taranto il (OMISSIS); DOGRE s.r.l. (C.F.:

(OMISSIS)), con identica sede legale, in persona del legale

rappresentante pro tempore e Presidente del Consiglio di

Amministrazione T.C. (C.F.: (OMISSIS)), nato a Taranto il

(OMISSIS); rappresentate e difese dall’Avv. Stefano Fumarola (C.F.:

(OMISSIS)) e dall’Avv. Samuele Donatelli (C.F.: (OMISSIS)) ed

elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. Giovanni

Battista Conte, in Roma alla Via Ennio Quirino Visconti n. 99, come

da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

LU.CAR s.r.l., con sede in (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante L.G., nato a Taranto il

(OMISSIS) (C.F.: LGG GCR 62A22 L049L), rappresentata e difesa

dall’Avv. Giuseppe D’Agostino (C.F.: DGS GPP 47E27 L049A) del Foro

di Taranto, con domicilio eletto in Roma, alla Via Dei Gracchi n.

92, presso lo studio dell’Avv. Pierfrancesco Torrisi, giusta procura

speciale resa su foglio a parte unito al controricorso;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 07/28/2016 emessa dalla CTR Puglia in data

08/01/2016 e notificata il 15/03/2016;

udita la relazione della causa svolta all’adunanza camerale del

4/12/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Avverso la sentenza n. 222/05/11 del 28.10.2010 della CTP di Taranto, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla LU.CA.R. Srl avverso l’avviso di accertamento emesso dalla Emmegi S.r.l., nella qualità di concessionario della riscossione dei tributi locali per conto del Comune di Taranto, per il recupero della TOSAP – anno d’imposta 2006 – in relazione all’area di servizio di distribuzione carburanti sita in Taranto alla Via Pergusa (e, più specificamente, con riferimento all’area occupata dal chiosco, dalla pensilina e da cinque serbatoi), per l’importo complessivo di Euro 24.295,00, proponeva appello la predetta concessionaria Emmegi, deducendo la illegittimità della sentenza per aver erroneamente ritenuto spettante l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. e).

Sosteneva l’appellante che non ricorrevano le condizioni previste nella menzionata disposizione, ovvero: la previsione in convenzione della devoluzione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune del manufatto realizzato al termine della concessione e che tale manufatto potesse essere adibito a servizio pubblico.

Resisteva la contribuente con controdeduzioni depositate in data 12.8.2011.

Con sentenza dell’8.1.2016 la CTR Puglia rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. e), il beneficio della esenzione è direttamente correlato alla ricorrenza contestuale della duplice condizione: deve trattarsi di impianto adibito ai servizi pubblici e ne deve essere prevista (in convenzione), alla scadenza della concessione, la devoluzione al patrimonio del Comune;

2) dalla lettura della convenzione non vi erano dubbi sulla sussistenza di entrambe le condizioni, atteso che, quanto alla natura di servizio pubblico dell’Impianto di distribuzione, soccorreva la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che inequivocabilmente definiva tale impianto “servizio pubblico soggetto a concessione”, laddove in relazione al secondo presupposto, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale era implicitamente stabilita dagli artt. 4 e 8 della Convenzione, a nulla rilevando l’art. 11 richiamato – a contrariis – dall’appellante, in quanto tale disposizione era chiaramente finalizzata a regolare la diversa ipotesi dei rinnovo della concessione, fissandone le condizioni di concedibilità.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso la Emmegi s.r.l. e la Dogre s.r.l., sulla base di due motivi. La LU.CAR s.r.l. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza camerale, la resistente ha depositato memorie illustrative.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, lett. e), artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR erroneamente, a suo dire, interpretato la Convenzione stipulata tra le parti, in particolare ritenendo che una devoluzione solo eventuale degli impianti al termine della convenzione potesse considerarsi quale “devoluzione gratuita” degli stessi e, quindi, integrasse uno dei due elementi indefettibili richiesti dalla norma per il riconoscimento dell’esenzione.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, lett. e), sono esenti dalla Tosap “le occupazioni con impianti adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all’atto della concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla provincia al termine della concessione medesima”.

In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), ai sensi del R.D. n. 1175 del 1931, art. 200, lett. g), nonchè del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, lett. e), sono esenti dal relativo pagamento le occupazioni finalizzate alla gestione di un impianto di distribuzione di gas metano, svolte nell’ambito di un rapporto di concessione di servizio pubblico, qualora sia prevista, al termine di quest’ultimo, la devoluzione gratuita all’ente pubblico territoriale concedente degli impianti ad esso adibiti (consistenti nel complesso di beni ed attrezzature all’uopo necessari; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11687 del 11/05/2017).

Ciò debitamente premesso, a ben vedere, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la concessionaria nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, è appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

Nel caso di specie, la CTR non ha erroneamente individuato o applicato il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, ma, pur individuando correttamente la duplice condizione cui è subordinato il riconoscimento dell’esenzione (la necessità che si tratti di un impianto adibito a servizi pubblici e che sia prevista – in convenzione -, alla scadenza della concessione, la devoluzione al patrimonio del Comune), ha ritenuto che entrambe le condizioni ricorressero nella fattispecie concreta. Nessuna censura è stata, invece, sollevata con riferimento al profilo motivazionale della sentenza impugnata, fermo restando che, in ogni caso, la CTR non avrebbe omesso l’esame di alcun fatto storico.

1.2. Avuto riguardo, invece, all’asserita violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., va evidenziato che l’interpretazione di un atto negoziale (nel caso di specie, della convenzione posta alla base della concessione) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e s.s., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, come nella fattispecie in esame, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006; conf. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009 e Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014).

Del resto, anche a voler accedere in astratto alla differente interpretazione delle clausole offerta dalla ricorrente, per quanto il rinnovo della concessione del diritto di superficie, in presenza delle condizioni prescritte dall’art. 11, impedirebbe nell’immediatezza la destinazione a titolo gratuito in favore del Comune dell’impianto di distribuzione carburanti, ciò non esclude di per sè che alla scadenza del rapporto siffatta destinazione (con conseguente acquisizione al patrimonio comunale) si realizzi. In quest’ottica, non si sarebbe in presenza di un devoluzione eventuale, ma di una devoluzione certa e solo differita.

Senza tralasciare che, a ben vedere, l’art. 4 della convenzione, se letto in combinazione con l’art. 11, non esclude la devoluzione a titolo gratuito dell’impianto in favore dell’ente pubblico territoriale, ma si limita a prevedere, come del resto è ovvio, che, qualora la concessione di superficie venga rinnovata (per una durata non superiore a quella originaria di 60 anni), il Comune non abbia la facoltà di destinare la struttura a terzi.

D’altra parte, con riferimento al contratto con cui il concessionario del servizio di distribuzione di carburanti affida a terzi la gestione di un impianto di sua proprietà, il D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, art. 1, comma 6, e la L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 19, comma 4, che della prima norma costituisce disposizione interpretativa come tale riguardante anche i contratti preesistenti, stabiliscono un limite all’autonomia contrattuale, prevedendo l’inderogabile gratuità della cessione al gestore dell’uso degli apparecchi di distribuzione e delle relative attrezzature sia fisse che mobili, comprese le apparecchiature per l’erogazione e il pagamento, sia anticipato che posticipato, del rifornimento, con nullità delle pattuizioni contrarie e loro sostituzione con le previsioni di legge, in attuazione della finalità generale d’impedire che la libera iniziativa privata possa dar luogo a speculazioni tali da contrastare la necessità di assicurare sicurezza, continuità e regolarità al suddetto servizio pubblico (Sez. L, Sentenza n. 239 del 12/01/2012).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. e), e D.Lgs. n. 32 del 1998, artt. 1 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che non esisteva il requisito dello svolgimento di “servizio pubblico” (recte, dell’occupazione realizzata con impianti adibiti a servizi pubblici) nell’attività di distribuzione carburanti svolta da parte della Lu.Car s.r.l. con le occupazioni tassate.

2.1. Il motivo è fondato.

Di recente, Sez. U, Ordinanza n. 13664 del 21/05/2019, sia pure in tema di giurisdizione, ha statuito che, perchè la concessione in godimento per lo svolgimento dell’attività di distribuzione di carburanti – di un’area appartenente ad un Comune – possa essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio e che, per quanto qui rileva, difettava il secondo requisito, atteso che l’attività di distribuzione di carburanti, in precedenza soggetta a concessione prefettizia, era divenuta, ai sensi del D.Lgs. n. 32 del 1998, art. 1, un’attività liberamente esercitabile sulla base di una semplice autorizzazione comunale, anche su suoli di proprietà privata.

Tanto è vero che, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 32 del 1998, è cessato il regime di concessione degli impianti di distribuzione dei carburanti, venendo sostituito con quello autorizzatorio.

Nè in termini ostativi rilevano le due pronunce menzionate dalla resistente a pagina 9 del controricorso, atteso che Cass., Sez. III, n. 11059 del 26.7.2002 si riferisce ad un contratto di comodato avente ad oggetto un impianto di distribuzione di prodotti petroliferi, con le relative attrezzature in esso installate, cessato alla data del 31 dicembre 1984, laddove Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3444 del 28.5.2004 ha ad oggetto un contratto del 1984 con il quale il Comune di Monteroni aveva affidato ad una società il servizio di raccolta, trasporto e distruzione dei rifiuti per un periodo di nove anni.

3. Alla stregua di quanto precede, la sentenza impugnata, in accoglimento del secondo motivo, deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nel senso di rigettare il ricorso originario della contribuente, difettando uno dei due requisiti indefettibili per poter beneficiare dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, lett. e).

L’essersi consolidata la giurisprudenza di questa Corte, in merito alla esclusione della natura di pubblico servizio dell’attività di distribuzione di carburanti, in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione giustifica la compensazione integrale delle spese del giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa per intero le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 18 febbraio 2020

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