Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 408 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 19/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23554/2014 proposto da:

A.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

VATICANO 84, presso lo studio dell’avvocato TOMMASINA MAZZONE,

rappresentata e difesa da sè medesima;

– ricorrente –

contro

V.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 815/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato A.M.C.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo del ricorso e il rigetto dei primi due motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di intimazione di sfratto per morosità A.M.C., proprietaria per successione mortis causa dell’immobile sito in (OMISSIS), condotto in locazione da V.M., convenne in giudizio la conduttrice dinanzi al Tribunale di Milano per sentir convalidare lo sfratto per morosità ed emettere a carico dell’intimata ingiunzione di pagamento per la somma di Euro 1.382,30, lamentando la morosità a titolo di canoni e spese maturate nel 2008 e per il versamento nel mese di luglio 2008 del minor importo di Euro 2245 rispetto a quello maggiore dovuto pari a Euro 3.211,91, in violazione degli obblighi contrattuali.

La convenuta si costituì contestando la sussistenza della dedotta morosità ed eccepì l’esistenza di un accordo di corresponsione degli oneri accessori unitamente al canone in una somma concordata in via forfettaria, intervenuto con l’originaria locatrice, C.M., nonchè l’unilaterale imputazione da parte dell’intimante, dell’intera somma trimestrale percepita a titolo esclusivo di canoni di locazione. Il Tribunale adito, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., n. 14.040 del 14 dicembre 2012, rigettava la domanda di risoluzione del contratto e di condanna della convenuta al pagamento degli oneri accessori. Avverso tale decisione A.M.C. propose appello, cui resistette V.M..

La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 14 marzo 2014, rigettò l’impugnazione.

A.M.C. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di merito.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “Nullità della sentenza – Violazione dell’art. 281 sexies c.p.c. – Omessa motivazione – Illogicità e contraddittorietà”.

Assume la ricorrente che la sentenza sarebbe inficiata da nullità insanabile, non avendo la Corte di merito esaminato la censura di nullità della sentenza di primo grado, per pretesa non conformità al modello legale (per la mancata indicazione delle conclusioni indicate dalle parti e per il difetto di una concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di fatto e di diritto), proposta con il primo motivo di appello, nè avendo la medesima Corte congruamente motivato la propria decisione del punto, in quanto la sentenza impugnata non conterrebbe ragioni oggettivamente idonee a giustificare la decisione di rigetto e la motivazione non sarebbe “nè logica… e neppure ordinata”, ma sarebbe “chiaramente apodittica”. Rappresenta, inoltre, la ricorrente che, in primo grado, l’udienza di discussione si sarebbe tenuta il 19 novembre 2012 mentre la sentenza sarebbe stata pubblicata il 14 dicembre 2012, senza che nella stessa venisse fatta menzione alcuna delle precedenti attività.

1.1 Il motivo è inammissibile, per genericità in quanto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non è stato riportato testualmente, nel motivo di ricorso all’esame, il primo motivo di appello con il quale la ricorrente sostiene di aver censurato la sentenza di primo grado con riferimento al profilo che si assume non correttamente esaminato dalla Corte di merito.

2. Con il secondo motivo, rubricato “art. 360, n. 4: nullità della sentenza per omessa motivazione”, la ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia assolto l’obbligo di motivazione correlato in concreto ai motivi di diritto e non abbia neppure dimostrato di aver esaminato le singole specifiche censure proposte dalla ricorrente e di averle ritenute infondate per ragioni specificamente indicate. Ad avviso della ricorrente la Corte avrebbe “omesso totalmente di argomentare in ordine al secondo motivo di diritto – “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., vizio di ultrapetizione” – con il quale… la ricorrente” aveva “censurato la decisione evidenziando l’omessa e corretta interpretazione della pattuizione contrattuale prevista dall’art. 13 del contratto locatizio valevole tra le parti, costituente… l’oggetto del giudizi(o)” e parimenti la sentenza impugnata sarebbe “viziata da nullità per omessa motivazione delle ragioni motivi portare al motivo n. 3”.

3. Il terzo motivo è rubricato come segue. “art. 360, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto: 1) violazione dell’art. 112 c.p.c.; 2) violazione dei canoni legali di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e segg.; 3) violazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova; 4) violazione dell’art. 155 c.p.c., comma 4; 5) violazione dell’art. 1453 c.c.. Omessa motivazione”.

4. Il secondo e terzo motivo, che ben possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili per sostanziale genericità.

In particolare il terzo motivo propone una congerie di questioni, sotto profili giuridici oggettivamente diversi (violazioni di norme sostanziali, e processuali nonchè vizi di motivazione), il che non giova alla comprensibilità delle stesse doglianze proposte.

Va peraltro evidenziato che alle appena evidenziate carenze del ricorso non può porsi rimedio con le memorie ex art. 378 c.p.c.. Ed invero con dette memorie, destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare, eventualmente, le tesi avversarie, non è possibile specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo, e tanto meno, dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte (Cass., sez. un., 15/05/2006, n. 11097; Cass., ord., 18/12/2014, n. 26670; Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass., ord., 22/02/2016, n. 3471).

5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

6. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità, nei confronti dell’intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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