Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4078 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/02/2017, (ud. 12/01/2017, dep.16/02/2017),  n. 4078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24297-2013 proposto da:

B.S., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA VALLE PIETRO 2, presso lo studio dell’avvocato CIRO

PAPALE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 132/4/2013, emessa il 7/02/2013, della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il

07/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

B.S. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza di discussione), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 132/04/2013, depositata in data 7/03/2013, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico del contribuente (esercente la professione di avvocato) per IRAP dovuta e non versata in relazione all’anno d’imposta 2004 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame del contribuente, hanno sostenuto che, nella specie, l’autonoma organizzazione dell’attività professionale si evinceva dall’utilizzo, sulla base di quanto dichiarato dallo stesso contribuente, di personale dipendente (“una segretaria ed un fattorino ad ore addetto alle pulizie”), dalle quote di ammortamento per beni strumentali e dalle spese per compensi a terzi collaboratori (altri professionisti “che con la loro attività sono intervenuti in procedimenti specifici…al fine di meglio valutare le singole cause o le singole problematiche”).

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Il ricorrente ha depositato memoria. Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo ed il terzo motivo, la nullità della sentenza per omessa motivazione sulle eccezioni sollevate dal contribuente in appello.

2. I motivi sono inammissibili alla luce della nuova disposizione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ai ricorso essendo stata la sentenza impugnata depositata nel marzo 2013), come interpretato dalle SSUU di questa Corte (v. sentenza n. 5083/2014), non essendo denunciato l’omesso esame di un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti. Solo in memoria, la parte ricorrente ha qualificato il primo motivo, diversamente ed inammissibilmente, come vizio di nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “di norma di legge”, non avendo i giudici di appello accolto le eccezioni di nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione e mancanza di prova, a carico dell’Ufficio, in ordine al requisito, presupposto impositivo dell’IRAP, dell’autonoma organizzazione.

4. La censura è inammissibile, in quanto si lamenta il mancato accoglimento di eccezioni di nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento, senza riprodurre integralmente, nel rispetto del principio di autosufficienza, il contenuto dell’atto impositivo, alla luce del costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 9536/2013, Cass. n. 22003/2014; Cass. n. 2928/2015; Cass. 12048/2016).

5. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione sull’eccezione, relativa alla tardiva costituzione in giudizio dell’Ufficio erariale (oltre il termine di gg. 60 dalla notifica del ricorso), e per la conseguente erronea applicazione della statuizione relativa alle spese processuali.

6. La censura è infondata. Questa Corte (Cass. 18962/2005; Cass. 6734/2015) ha già chiarito che “in tema di contenzioso tributario, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23 entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi. Peraltro, qualora tali difese non siano concretamente esercitate, nessuna altra conseguenza sfavorevole può derivarne al resistente, sicchè deve escludersi qualsiasi sanzione di inammissibilità per il solo fatto della tardiva costituzione della parte resistente, cui deve riconoscersi il diritto, garantito dall’art. 24 Cost., sia di difendersi, negando i fatti costitutivi della pretesa attrice o contestando l’applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente, sia di produrre documenti ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell’art. 58 D.Lgs. medesimo”.

7. Con il quinto motivo, si deduce la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere i giudici della C.T.R. liquidato le spese processuali in mancanza di una nota spese, non depositata dall’Ufficio.

8. Anche detta censura risulta infondata. Questa Corte ha da tempo precisato (Cass. 3023/2012; Cass. 19269/2005) che “il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., anche d’ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese, prevista dall’art. 75 disp. att. c.p.c., ma il giudice non è onerato, in tal caso, dell’indicazione specifica delle singole voci prese in considerazione”.

8. Infine, il ricorrente lamenta, con il sesto motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per mancata pronuncia sulla richiesta, formulata in appello, di applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, che prevede la non applicazione delle sanzioni in caso di incertezza sull’interpretazione della norma tributaria.

9. La censura è, del pari, infondata.

Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, l’accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente (la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità, cfr. Cass. nn. 22890/2006; Cass. 25676 del 2008; Cass. 7502/2009; Cass. 8823 e 4031 del 2012; Cass. 24060 del 2014; Cass. 440 e 9335 del 2015).

Nella fattispecie, detta richiesta è stata pacificamente formulata, per la prima volta, in appello dal contribuente, in violazione del divieto di introdurre una domanda nuova in appello (o un’eccezione nuova non rilevabile d’ufficio), ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e, nel processo tributario, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57. In relazione al potere delle Commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e ribadito, con più generale portata, dai D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e quindi dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, la controricorrente ribadisce che la disapplicazione delle sanzioni costituisca un potere-dovere delle Commissioni tributarie, esercitabile (in ogni stato e grado) non solo su istanza di parte ma anche d’ufficio. L’assunto non è tuttavia meritevole di accoglimento. Il principio invocato, sulla base dell’art. 8 delle norme regolatrici il processo tributario ed alla luce di risalente giurisprudenza di questa Corte, non implica, infatti, che il giudice possa disporre la disapplicazione delle sanzioni d’ufficio, quindi senza richiesta di parte, ma solo che la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione, quando domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati, può essere accertata anche dal giudice di legittimità. In tal senso si è già pronunciata questa Corte (Cass. n. 25676 del 2008; Cass.14402/2016).

10. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimata svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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