Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4076 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 18/02/2020), n.4076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27960/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

G.L., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Saldutti ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via L.

Malagotti n. 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6225/02/14 della Commissione tributaria

Regionale di Roma, depositata il 20/10/2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/12/2019 dal

Consigliere Stefano Pepe;

udite le conclusioni rassegnate dal Sostituto Procuratore Generale

Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Pasquale Pucciariello per

la ricorrente e dall’Avv. Andrea Saldutti il resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con avviso di rettifica e liquidazione notificato il (OMISSIS) relativo all’atto di compravendita di un locale ad uso negozio sito in (OMISSIS), registrato il 31/07(2007, l’Agenzia dell’entrate accertava, in base ai valori OMI, il valore dell’immobile in Euro 900.000,00 a fronte di quello dichiarato di Euro 500.000,00.

2. Il contribuente, in qualità di parte venditrice, proponeva ricorso avverso il suddetto avviso adducendo il difetto di motivazione dello stesso in quanto faceva riferimento ai soli valori OMI senza alcuna verifica dello stato dei luoghi, risultando, poi, il prezzo dichiarato oggetto di una precedente pattuizione tra le parti con la quale veniva concesso all’acquirente (Parioli & Caffè s.r.l.) l’opzione di acquisto dell’immobile per l’importo di Euro 500.000,00 ed essendo, infine, l’ipoteca iscritta per il doppio del valore mutuato pari, quest’ultimo, a Euro 450.000,00.

3. La CTR, con sentenza n. 6225/02/14 depositata il 20.10.2014, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, riteneva ritenuto congruo il valore dell’immobile indicato dai contribuenti in Euro 500.000,00.

4. Avverso tale sentenza l’Agenzia dell’entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. G.L. ha depositato controricorso chiedendo l’inammissibilità e infondatezza dell’avverso ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52.

La ricorrente rileva che la CTR nel violare le disposizioni indicate non ha tenuto conto che l’avviso impugnato, oltre a richiamare le tabelle OMI si fondava sulla perizia di stima commissionata dalla banca erogatrice del mutuo ipotecario concesso ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile oggetto della compravendita; iscrizione che comprendeva sia la quota capitale (Euro 450.000,00) che quella interessi (Euro 450.000,00). In sostanza, a parere della ricorrente, l’ipoteca era stata iscritta per un valore doppio rispetto al capitale in quanto il debito contratto dall’acquirente era di complessivi Euro 900.000,00, pari al valore dell’immobile concesso in garanzia.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52.

Con tale censura la ricorrente rileva la sostanziale omessa motivazione da parte della CTR nella parte in cui ha ritenuto inidonee, ai fini probatori circa il diverso valore dell’immobile, le tabelle OMI e, al contrario, idonea la scrittura privata intervenuta tra le parti con la quale il contribuente aveva concesso alla Parioli & Caffè srl l’opzione di acquisto dell’immobile oggetto dell’avviso di rettifica per Euro 500.000,00. Tale pronuncia, a parere della ricorrente, non terrebbe, infatti, conto degli ulteriori elementi sui quali l’avviso impugnato si fondava nonchè della sentenza n. 226 del 2001 con la quale la medesima CTR, nell’ambito del giudizio tra l’Agenzia dell’entrate e la parte acquirente, afferente il medesimo avviso di rettifica, aveva riconosciuto le ragioni della prima.

3. I due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.

Il D.P.R. n. 131 del 1986 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), all’art. 52 (Rettifica del valore degli immobili e delle aziende), ai commi 2 e 2 bis, prevede che l’avviso di rettifica deve contenere “l’indicazione del valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti in esso descritti, degli elementi di cui all’art. 51 in base ai quali è stato determinato, l’indicazione delle aliquote applicate e del calcolo della maggiore imposta, nonchè dell’imposta dovuta in caso di presentazione del ricorso” e che “la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L’accertamento è nullo se non sono osservate le disposizioni di cui al presente comma”.

L’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore se da un lato mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale fase contenziosa e, quindi, a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa così da porlo in condizione di prestare acquiescenza o di dare avvio ad apposito ricorso giurisdizionale, dall’altro, deve fondarsi su presunzioni gravi precise e concordanti.

Questa Corte, con indirizzo condiviso dal Collegio, ha precisato che: “In tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. n. 9474 del 2017). Il principio è applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea (Cass. n. 11439 del 2018). Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (Cass. n. 25707 del 2015). Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonchè lo stato delle opere di urbanizzazione (Cass. n. 18651 del 2016; Cass. n. 11439 e 21813 del 2018).

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento e la sua interpretazione da parte di questa Corte, nell’avviso di rettifica in esame l’Agenzia dell’entrate – per come risulta dagli atti di parte (ricorso e controricorso) e della sentenza della CTR – dà conto di essere pervenuta a determinare il valore dell’immobile in Euro 900.000,00 tenuto conto della sua condizione concreta per effetto della quale ha ridotto a tale somma quella risultante dalla mera applicazione delle tariffe OMI (secondo la quale il valore sarebbe stato di Euro 970.000,00), assumendo all’uopo rilievo la perizia effettuata dall’Istituto bancario intervenuto ai fini della concessione del mutuo (di Euro 450.000,00) alla parte acquirente e della conseguente iscrizione di ipoteca (per l’importo complessivo di capitale e interessi di Euro 900.000,00); importo quest’ultimo corrispondente, a parere dell’Agenzia, a quello del valore dell’immobile.

Tale ultima affermazione è frutto di una errata interpretazione normativa.

Il D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), art. 38 (Nozione di credito fondiario), prevede che “Il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”, stabilendo il successivo art. 39, comma 3, (Ipoteche) che “il credito della banca relativo a finanziamenti con clausole di indicizzazione è garantito dall’ipoteca iscritta fino a concorrenza dell’importo effettivamente dovuto per effetto dell’applicazione di dette clausole. L’adeguamento dell’ipoteca si verifica automaticamente se la nota d’iscrizione menziona la clausola di indicizzazione”.

Da tali disposizioni si evince, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, che l’iscrizione ipotecaria non costituisce quell’elemento grave preciso e concordante utile al fine di individuare il reale valore dell’immobile oggetto di compravendita per come indicato da questa Corte.

La ratio dell’iscrizione è, infatti, quella di garantire l’Istituto di credito anche per tutti gli interessi legali e moratori, le spese legali e giudiziarie “fino a concorrenza dell’importo effettivamente dovuto” che, eventualmente, sarà tenuto a sostenere nel caso in cui il mutuatario non paghi il proprio debito e si debba procedere al pignoramento immobiliare. L’iscrizione ipotecaria, quindi, viene effettuata dagli Istituti di credito per un valore percentuale calcolato sull’importo totale del mutuo e non sul valore dell’immobile; quest’ultimo, infatti, viene determinato da una preventiva perizia al solo fine di individuare l’ammontare del credito che può essere coperto dal bene.

Nella fattispecie assume rilievo la circostanza che la quota capitale di mutuo concesso è di Euro 450.000,00 inferiore e, dunque, logicamente compatibile al prezzo dichiarato dalle parti di Euro 500.000,00; prezzo che, peraltro, risulta essere stato indicato da quest’ultime in un precedente accordo con il quale l’una concedeva all’altra l’opzione di acquisto in esame da esercitarsi entro 17 mesi.

4. Il ricorso va pertanto rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.000,00 oltre spese prenotate a debito e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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